Accesso alle tecnologie

06/10/2020

 

“La pandemia ha aggravato in tutti i settori il digital divide, allargando la faglia tra chi ha accesso alle tecnologie e chi ne è sprovvisto.”

BeSwit è un progetto – ancora allo stato di prototipo – proposto da un italiano nel 2016, che aveva come obiettivo il mettere in contatto i lavoratori in regime di smart working con l’offerta di spazi adibiti ad uso ufficio in affitto. Dopo che la pandemia di COVID-19 ha moltiplicato esponenzialmente il numero dei “lavoratori agili”, evidenziando i molti benefici che questo sistema porta ai lavoratori stessi e all’ambiente, il progetto potrebbe ottenere nuova linfa – ma non sarebbe il solo.

Basta una rapida ricerca su Google per trovare diverse offerte di affitto riguardo a locali adibiti con postazioni da ufficio e comfort vari per i lavoratori “nomadi”. Certo, ciò fa emergere le storture di un’organizzazione urbanistica che basava la propria stessa esistenza sulla presenza negli uffici di lavoratori e impiegati e sul relativo indotto, e che adesso fatica a reinventarsi e riutilizzare spazi rimasti vuoti. Ma soprattutto, mette in evidenza come anche un apparente processo di “democratizzazione” del lavoro, non più a chilometri da casa bensì nel bar all’angolo o addirittura nella propria stanza, contenga in sé profonde diseguaglianze che potrebbero presto emergere. Prendere in affitto un locale a prezzi più alti, perché dotato di servizi migliori, potrebbe anzi segnare un’ulteriore discrepanza rispetto a lavoratori che faticano ad accedere invece a servizi essenziali come una connessione stabile e adeguatamente veloce. E il discorso non vale solo per il mondo del lavoro, ma anche e soprattutto per quella che dovrebbe essere la realtà sociale più di tutte votata all’uguaglianza: ovvero la scuola.

Se le università e l’istruzione superiore si sono mosse per conto loro, in maniera comunque lenta, ma intraprendendo strade che potrebbero portare a cambiamenti radicali nella sua stessa struttura, la scuola non ha sfruttato la pausa forzata per pensare a modi per implementare strumenti tecnologici nell’erogazione della didattica in maniera coerente e organizzata. Al contrario si è ripresentata a settembre in maniera più caotica e disorganizzata di come si era lasciata a marzo. E al di là di sporadici ed episodici bonus, “connettività” et similia, milioni di ragazzi – soprattutto nelle periferie e nelle aree interne, proprio le zone per le quali l’istruzione rappresenta un trampolino sociale – continuano a vedersi negato questo diritto perché non dotati di un PC, di un tablet, di una connessione ad internet adeguata. O più semplicemente di uno spazio fisico nelle abitazioni da dedicare alla didattica a distanza.

Secondo il rapporto 2020 DESI (Digital Economy and Society Index) elaborato dalla Commissione Europea, l’Italia è al 25° posto sui 28 paesi membri UE per digitalizzazione. I dati, nello specifico, mostrano una grave carenza in tre settori analizzati su cinque: il capitale umano (ovvero il livello di competenze digitali di base e avanzate), l’uso dei servizi internet e l’integrazione delle tecnologie digitali. Carenze che si registrano in tutti i settori e su tutti i fronti. Quello dei servizi di pagamento digitale, ad esempio: per i dati 2019 dell’Osservatorio Mobile Payment & Commerce del Politecnico di Milano l’Italia è 24esima in Europa per transazioni pro capite, ma secondo analisi più recenti questa modalità di pagamento ha retto meglio l’impatto della COVID-19 per la maggior sicurezza del contactless dal punto di vista sanitario.

Anche per quanto riguarda le competenze individuali, come detto, la situazione è preoccupante. Solo il 42% degli italiani ha competenze di base, rispetto al 58% della media europea. E la quota di laureati nel settore TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) non promette miglioramenti in futuro, attestandosi all’1% sui laureati totali contro il 3,6% di media. Sul fronte della connettività, recita il report DESI, “l’Italia è molto avanti sul fronte del 5G, ma è in ritardo in termini di diffusione delle reti ad altissima capacità (VHCN)”.
Il ritardo della banda ultralarga, oltretutto, non sembra destinato a risolversi a breve: secondo Infratel, società del MiSE, le lacune verranno colmate tra il 2022 e il 2023. Lasciando scoperte soprattutto le aree interne e i borghi che potrebbero invece ottenere nuova linfa dai servizi tecnologici e in particolare dal trasferimento dei “nomadi digitali”. Infine, perfino le questioni geopolitiche possono costituire un ostacolo nell’accesso alle tecnologie. Uno dei primissimi provvedimenti adottati dal governo Conte bis è stato l’adozione del Golden power per la rete 5G, considerata un’infrastruttura strategica. Gli USA sono da tempo in pressing sull’Italia perché impedisca al colosso cinese Huawei di entrare nella gestione della nuova rete, seguendo l’esempio di Regno Unito, Francia e Belgio. Ma ciò significherebbe anche meno concorrenza e, probabilmente, prezzi più alti e tempi più lunghi. Washington val bene una messa? Forse, ma non in videochiamata.

Articolo di Simone Martuscelli

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