Inquilini di tutto il mondo unitevi!

04/05/2020

Le coordinate essenziali della vita di milioni di persone sono venute meno con la pandemia. L’economia produttiva, almeno in parte, si è fermata e tante sono le persone che si sono ritrovate in difficoltà, senza fonte di guadagno, nei casi migliori costrette ad attingere ai propri risparmi per poter tirare avanti.

Il Governo con il decreto Cura Italia ha sospeso il pagamento dei mutui e ridotto l’affitto per i locali commerciali. Per quanto riguarda gli affitti ai privati, che in Italia secondo i dati Istat riguardano ben 5 milioni di famiglie, è stato messo a disposizione uno strumento (Modello 69) che – sulla base volontaria di un accordo tra inquilini e proprietari – consente per i primi una riduzione temporanea del canone affitto e per i secondi il blocco delle imposte. Nulla è stato fatto per tutti i casi in cui i proprietari non erano d’accordo sull’autoriduzione.

“Abbiamo trasferito 46 milioni alle Regioni da destinare ai Comuni e agli inquilini che non possono far fronte al pagamento dei canoni di locazione e hanno subito sfratti per morosità incolpevole”– dichiarava la Ministra alle Infrastrutture e ai Trasporti Paola De Micheli – “È una misura eccezionale per tamponare le ricadute sui più deboli della crisi sanitaria ed economica che stiamo vivendo. Un sostegno concreto ai cittadini per l’accesso alla casa in locazione e a quei proprietari che hanno dovuto rinunciare a un’importante fonte di guadagno”. Il fondo spacciato per Bonus eccezionale dalla Ministra De Micheli, in realtà è un rifinanziamento annuale del Fondo Morosità Incolpevole istituito nel 2013, necessario per tamponare gli effetti della crisi del 2008 sul mercato immobiliare e che produsse ripercussioni disastrose sulla gestione delle abitazioni e le aree urbane.

Questo laissez faire, che nella pratica ha rimesso le responsabilità dell’emergenza ai singoli, si è tradotto in un disastro per migliaia di persone che non possono permettersi di pagare l’affitto. L’assenza di un vero intervento di rifinanziamento ha costretto precari, studenti e lavoratori in nero a misurarsi con dure scelte da prendere. Per alcuni pagare l’affitto al proprietario avrebbe significato affrontare un periodo di incertezza nel mettere qualcosa a tavola, viceversa non pagarlo avrebbe causato una situazione difficile per il proprietario – il cui affitto, spesso, costituisce una parte consistente del reddito. Secondo l’Agenzia delle Entrate, infatti, in Italia sono 6 milioni di proprietari che hanno un reddito fino a 10.000 euro l’anno.

L’emergenza nella (a)normalità 

Le politiche degli ultimi vent’anni riguardo il diritto alla casa – l’abbandono dell’equocanone, il costante de-finanziamento del Fondo per il sussidio all’affitto, l’assenza di un Osservatorio per la condizione abitativa (previsto dalla legge 431/98) e la deregolamentazione sulla Sharing economy – ci avevano già suggerito chi avrebbe pagato caro il prezzo di questa emergenza. Essa amplifica le disuguaglianze pre-esistenti, da questo punto di vista perde l’aspetto naturale e imprevedibile che spezza una certa continuità storica per affrancarsi invece al culmine di questa continuità. Essendo anche il risultato di politiche pregresse, l’emergenza ci costringe a fare i conti con la nostra (a)normalità. Le città che viviamo oggi sono soggette a fenomeni di gentrificazione e turistificazione che si ripercuotono sul settore delle locazioni commerciali ed abitative. Il problema è chiaro quanto complesso, con la nascita della sharing economy la morfologia urbana è cambiata radicalmente (vedi Presente 2019 Turismo – Adattare, adattarsi).

“La proliferazione di Airbnb” – scrive Sarah Gainsforth, autrice del libro Airbnb Città merce – “è avvenuta in un contesto di recessione economica, di precarizzazione del lavoro, di contrazione dei salari, di aumento del costo della vita e di emergenza abitativa diffusa. In questo scenario, Airbnb si presenta come una soluzione a un problema che di fatto contribuisce a creare. […] La possibilità di un guadagno rapido offerta a utenti “ordinari” ha prodotto l’interiorizzazione di un modello di speculazione che, prima dell’avvento della piattaforma, era prerogativa di attori professionali e impersonali. Insomma, con Airbnb siamo diventati tutti speculatori “.  

In sostanza Airbnb, negli anni della crisi, senza alcun intervento dello Stato, ha saputo incontrare le necessità dei proprietari che in gran parte sono passati dal mercato degli affitti privati a quello turistico degli affitti brevi poiché gli è stata offerta la possibilità di realizzare guadagni facili. Questo ha compromesso la condizione di tutti coloro vivono in affitto medio-lungo, portando innalzamento dei costi degli affitti, riduzione dell’offerta di case soprattutto in tutte quelle città in cui vi è una grande domanda come Firenze, Bologna, Milano e Roma. Fin da subito questi fenomeni hanno creato un divario tra le aree ad elevato utilizzo turistico e quelle destinate alla comunità residente, dando vita a una forte tensione sociale (vedi Scomodo n°29 La città inamministrabile III – COZY CITY).

Del Fondo Morosità Incolpevoli – di cui sopra – possono usufruirne (o dovrebbero) le oltre 1 milione e mezzo di famiglie che erano in difficoltà con il pagamento dell’affitto già prima della pandemia, ma “se nel 2018 ci sono state 11.823 richieste di esecuzione di sfratto presentate, 30.127 sfratti eseguiti, 56.140 provvedimenti emessi” – come scrive la stessa Sarah Gainsfarth su ValigiaBlu,“qualcosa non ha funzionato”. Le modalità di erogazione inefficienti hanno portato all’utilizzo solo della metà del Fondo a causa della grande quantità di bandi e graduatorie da superare ma anche per impossibilità da parte degli inquilini di dimostrare la morosità non avendo contratti regolari, molto spesso per imposizione dei Padroni di casa.  Per “non lasciare indietro nessuno” è necessario un fondo 7/8 volte maggiore rispetto a quello attuale – come suggerisce Pensare Urbano, Laboratorio per il Diritto alla Città nato nel 2018. Per comprendere il divario da colmare basta pensare che soltanto Roma negli anni 2000 percepiva un fondo pari a 30 milioni. L’unica mossa fatta dal Governo ad oggi rimane un Ordine del Giorno approvato dal Senato, risalente al 9 aprile, in cui si impegna a stanziare risorse ingenti per coprire gli affitti di lavoratori e studenti fuorisede, impegno che dopo due mesi da inizio emergenza non è stato ancora concretizzato.

Resistenza ai tempi del Covid-19

Di fronte l’inerzia delle istituzioni, pratiche dimenticate rinascono, in tutto il mondo. Nonostante le restrizioni e il divieto di manifestazione, attraverso la prossimità con i vicini di casa e gli spazi virtuali è nato il movimento RentStrike. “Se non guadagniamo, non paghiamo l’affitto” queste sono le parole con cui è cominciato lo Sciopero degli affitti nella West Coast americana, per poi diffondersi a macchia d’olio nelle Canarie, in Italia, in Francia, aree del mondo dove quello dell’abitazione è ormai un terreno di scontro quotidiano. In America, precisamente a Seattle e San Francisco, dove Google e Amazon prendendo possesso dello spazio urbano, hanno reso le città estremamente care e invivibili. Ma anche in Italia il problema è emerso con forza, emblematico è il caso di un’intera palazzina in sciopero a Bologna che ha deciso di non pagare più l’affitto alla società che lo possiede. L’avvocato Maria Elena Scavariello che risiede nel palazzo dichiara: “La società ha un patrimonio di 15 milioni di euro e incassa ogni mese circa 15mila euro d’affitto. Abbiamo inviato una PEC per indicare l’oggettiva e comprovata impossibilità di assolvere al pagamento dell’affitto, chiedendone la sospensione. Si tratta di un’emergenza economica planetaria e ciascuno deve fare la sua parte: per loro è questione di rendita, per noi di sopravvivenza“.

Dal movimento, dai sindacati e dalle associazioni le richieste sono molteplici. Pensare Ubano, Link coordinamento Universitario e Unione inquilini hanno promosso un appello che richiede al governo l’istituzione di “un fondo straordinario con erogazione immediata per il contributo affitto, che permetta di coprire le spese degli inquilini e di tutte le categorie, evitando episodi di morosità“. Il SUNIA – sindacato inquilini della CGIL – chiede di rifinanziare il fondo per il sussidio all’affitto, un contributo del 70% del canone da erogare ai proprietari di casa. NoiRestiamo in aggiunta richiede l’abolizione della legge 491/98. Il movimento RentStrike richiede al governo: blocco degli affitti e delle utenze, condono straordinario per tutti coloro che si trovano in condizione di morosità incolpevole, socializzazione delle case abbandonate per i senzatetto e di rompere la discrezionalità nel rapporto inquilino-proprietario con fondi a base regionale per sostenere gli affittuari con i piccoli proprietari e dimezzare l’affitto per i grandi proprietari.

Il paradosso della faccenda è che i più restii alla richiesta di autoriduzione dell’affitto siano proprio i grandi proprietari, come risulta dalle molteplici esperienze riportate nei gruppi social Emergenza Affitto e Bollette Covid-19. Riguardo lo stanziamento di fondi governativi è necessaria una distinzione tra piccoli e grandi proprietari, perché dei fondi ne usufruiscano coloro che ne hanno veramente necessità, per questo si potrebbe porre il criterio di stanziamento sulla base delle condizioni di reddito famigliare con modalità d’accesso rapide: “In altre parole, sarebbero le/i proprietari/e a dover richiedere un contributo per la propria sussistenza, a fronte della propria dipendenza economica dal canone d’affitto. Per gli affittuari invece il canone dev’essere semplicemente bloccato, non sospeso” recita la proposta nel report dell’Assemblea Nazionale RentStrike.

All’interno della questione dell’affitto si inscrive quella delle utenze. È necessario un blocco di tutte le bollette e le utenze per aziende che, come Eni e Enel, ogni anno fatturano miliardi e sono tra i principali responsabili dell’inquinamento ambientale. Promuovere questa rivendicazione significa non permettere ai signori che profittano sull’ambiente e le persone di praticare ulteriori speculazioni. E poiché le contrattazioni con le grandi multinazionali sono impraticabili la richiesta si rivolge direttamente all’esecutivo.

Conflitti in divenire 

L’emergenza Covid-19 ci mette a confronto con le contraddizioni della nostra epoca e del nostro modo di vivere. In quest’ottica il diritto all’abitare non può prescindere dalla lotta per un reddito di quarantena per agire in una prospettiva di lungo periodo. La politica deve necessariamente ricalibrare il proprio raggio d’azione partendo da un unico assunto: diritto all’abitare. Con l’arrivo di maggio e l’inesorabile giorno di pagamento affitto, il settore manifatturiero, edilizio e il commercio all’ingrosso riaprono ma gran parte dei lavoratori legati alla ristorazione, al turismo, allo spettacolo, alla cultura, ai servizi di cura non essenziali continueranno a non percepire un reddito.

Chi pagherà il costo della crisi? Diventa immediatamente centrale. Conosciamo bene chi già ne sta facendo le spese, ma intanto è un fatto e noi dobbiamo trasformarlo in una decisione. I fatti si possono ribaltare, le decisioni sono politiche.

Con il Cura Italia gli sfratti sono stati bloccati fino al primo settembre, una data che potrebbe tramutarsi in tragedia per migliaia di persone che hanno aderito allo sciopero e potrebbero essere sfrattate di casa, se il governo non attua una misura immediata di blocco degli affitti. In questo scenario il RentStrike può assumere un ruolo fondamentale, come rete di solidarietà e sostegno per le mobilitazioni del domani attraverso comitati di quartiere o condominio, perché a pagare il prezzo della crisi non siano sempre gli ultimi. Come diceva qualcuno: la solidarietà è un antivirus, usiamola.

Articolo di Christian Saracino