Non solo Aleksej Naval’nyj: viaggio nel mondo dell’opposizione russa

Ecco i principali canali di informazione che costituiscono la galassia anti-Putin in Russia.

Le recenti proteste in Russia portano molti occidentali a porsi delle domande: perché i manifestanti non sono tutelati e perché i diritti del cittadino non sono rispettati? In base a cosa una manifestazione può dirsi “non autorizzata”? La Costituzione della Federazione Russa garantisce il diritto di riunione pacifica e senza armi all’articolo 31, ma non comprende, o meglio, non esplicita il divieto di ingerenze e controlli da parte dell’amministrazione o dell’autorità giudiziaria, a differenza della Costituzione della Repubblica Italiana, dove è sancito il diritto di manifestare liberamente e previsto solamente il dovere di preavviso alle autorità, che possono vietarle solo per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica (art. 17 Cost.). Sfruttando proprio la sinteticità e la mancanza di limiti tali da garantire il diritto dei cittadini, nel 2004 è stata introdotta la legge № 54-Ф3 (modificata in alcune sue parti lo scorso anno) che va a disciplinare l’intera materia a livello federale e  introduce la necessità di un’autorizzazione da parte del Tribunale. Il tanto discusso referendum costituzionale dello scorso anno ha poi introdotto delle modifiche che sanciscono il primato del diritto interno su quello internazionale, indebolendo di fatto il ruolo dei tribunali internazionali come la CEDU e rendendo quindi più difficili le pressioni esterne. Un simbolo di questa arbitrarietà e della creazione di un sistema politico-giudiziario è stato l’arresto nel 2019 della diciassettenne Ol’ga Misik mentre leggeva la Costituzione, ma ovviamente anche l’arresto e la detenzione di Aleksej Naval’nyj, di alcuni suoi collaboratori e parenti e, specialmente, il processo, avvenuto nel commissariato di polizia di Khimki, poco tempo dopo il suo ritorno in patria il 18 gennaio scorso.

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Aleksej Naval’nyj: ritratto di un nazionalista democratico

In Russia “jabloko” non è solo il termine che traduce “mela”: è anche il nome di un partito politico liberal-democratico, che infatti porta una mela nel proprio logo. In Jabloko, Aleksej Naval’nyj muove i suoi primi passi in politica nel 2000, a 24 anni. Ma dallo stesso partito viene espulso, sette anni più tardi, per “aver causato danno al partito; in particolare per attività nazionaliste”. Nel 2006, infatti, si fa notare per la partecipazione alla “Marcia russa”, una sfilata di gruppi dell’estrema destra. La stampa lo descrive come un organizzatore, ma lui nega sostenendo di aver presenziato alle riunioni come osservatore per garantire il diritto di manifestare. Nel giugno del 2007 Naval’nyj fonda il movimento Narod (“popolo”) insieme allo scrittore Zachar Prilepin, veterano della Cecenia. Naval’nyj definisce l’ideologia del movimento come “nazionalismo democratico”, termine al quale si richiamerà spesso per illustrare le sue posizioni politiche. Nello stesso anno si fa notare per un video in cui definisce gli immigrati musulmani e caucasici degli ‘scarafaggi’ da sterminare, in una campagna a favore dell’uso delle armi da fuoco. Ma se già Churchill nel ‘39 indicava nella tutela dell’interesse nazionale la chiave per risolvere quell’”indovinello, avvolto in un mistero, all’interno di un enigma”, come meravigliosamente definiva la Russia, Aleksej Naval’nyj si accorge ben presto che il campo dei partiti nazionalisti è sovraffollato e non concede margini di crescita.

La svolta arriva con l’interesse verso la lotta alla corruzione endemica che affligge il Paese. Nel 2008 investe 300mila rubli in azioni di cinque compagnie petrolifere, chiedendo in quanto azionista alcuni documenti che ne investighino la trasparenza: diventa, insomma, un investitore attivista. Nel dicembre 2010 lancia il progetto RosPil nel quale pubblica i risultati delle sue inchieste, che mostrano contratti sospetti legati al governo russo per un valore di 155 milioni di rubli. La Russia inizia ad accorgersi del blogger anti-corruzione e i finanziamenti tramite crowdfunding crescono in maniera esponenziale. Anche l’occidente si interessa a Naval’nyj: in particolar modo quando, durante una protesta nel dicembre 2011 per denunciare brogli compiuti durante le elezioni parlamentari di quell’anno, l’attivista viene arrestato e condannato a quindici giorni di carcere. Il suo arresto viene assunto a paradigma della situazione russa, e già a fine 2011 il britannico The Times lo inserisce tra i 100 profili da tenere d’occhio in vista del 2012, mentre Time lo cita tra le 100 persone più influenti al mondo: è la nascita della narrazione di Aleksej Naval’nyj come oppositore principe di Putin. 

Da questo momento in poi le strade di Alexej si sdoppiano, e riscuotono fortune assolutamente diseguali. Se il Naval’nyj attivista e blogger porta avanti, attraverso il suo FBK (il Fondo anti-corruzione) importanti inchieste contro il colosso Gazprom e personaggi noti come l’ex presidente Dmitrij Medvedev, il magnate Roman Abramovich e lo stesso Putin, in politica le cose non sembrano girare. Nel 2012 Aleksej Naval’nyj fonda un suo nuovo partito, “Alleanza del Popolo”, che nel tempo cambierà nome in “Partito del Progresso” fino all’attuale “Russia del futuro”. Ma nessuno di questi partiti riuscirà mai ad ottenere la registrazione o a presentarsi a un’elezione, a causa dell’ostruzionismo della burocrazia russa. Naval’nyj riesce a prendere parte a una sola elezione, quella del sindaco di Mosca nel 2013. Qualche tempo prima un sondaggio online lo aveva visto trionfare con il 45% delle preferenze tra i papabili candidati, ma le urne confermano la massima secondo cui “in Russia si vota, quando si ha il diritto di votare, per il partito al potere”: e premiano l’uscente Sobyanin già al primo turno. Il resto, dall’avvelenamento e l’arresto fino alla recente condanna a più di due anni di carcere per il caso Yves Rocher, è stretta attualità. Ricostruendo la sua storia, però, è più facile capire perché, come testimoniano a Scomodo alcuni giovani russi, Aleksej Naval’nyj «è un simbolo importante, ma non sarebbe un buon presidente». Sono le battaglie rappresentate da Naval’nyj – lotta alla corruzione, maggiore democrazia – a trovare l’adesione di una nuova generazione di russi, molto più del personaggio in sé, per la verità piuttosto contraddittorio. La Russia vuole fare ciò che Aleksej Naval’nyj dice, ma non ciò che fa.

 

Stampa libera, proteste e social media: cosa separa Padri e Figli in Russia 

Se a Naval’nyj va il merito di essere riuscito ad attrarre l’attenzione mondiale per la sua abilità mediatica e investigativa, bisogna però anche considerare il ruolo organizzativo dei social media e l’eco prodotta da tutta la stampa indipendente. In primo luogo, è necessario citare la piattaforma russa Telegram, molto criticata perché covo dell’estrema destra mondiale ma nondimeno fondamentale per la riuscita delle recenti e future manifestazioni. Si tratta infatti di un luogo difficilmente controllabile dalle autorità e quindi adatto sia a normali cittadini stanchi di Putin sia a suprematisti bianchi. Ovviamente un ruolo di rilievo lo ha anche Twitter dove personalità politiche d’opposizione come la giurista Ljubov’ Sobol’, la portavoce di Naval’nyj Kira Jarmyš e Leonid Volkov aggiornano i propri seguaci sulle notizie dell’ultimo minuto e, dal 25 gennaio, sulle successive proteste. Meno conosciuto al pubblico occidentale ma popolarissimo in Russia è il social Vkontakte, molto simile a Facebook.

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Ci sono poi i vari canali di YouTube che per molti giovani russi hanno ormai sostituito la televisione. Piattaforme come Dožd’ (“Pioggia”) e Nastojaščee Vremja (“Tempo Presente”), quest’ultimo finanziato dagli Usa e parte del progetto Radio Free Europe, trasmettono in diretta continua, sono sempre presenti sui teatri più importanti della vita politica russa e, fattore fondamentale, non nascondono i fatti spiacevoli. La censura e la propaganda operata dai media tradizionali come Pervyj Kanal, Rossiya e RT (Russia Today), diffuso in cinque lingue, ha spinto infatti molti ad allontanarsene a favore di YouTube. La televisione, come spesso accade, è infatti totalmente monopolizzata dal governo e l’audience è principalmente composta da adulti e anziani. 

Per quanto riguarda la stampa, la Russia ha visto una riduzione drastica del panorama indipendente che ora conta solo una decina di testate nazionali autorevoli. Tra le più influenti ricordiamo Meduza che è in realtà basata in Lettonia e ha anche una sezione, con meno contenuti, in lingua inglese. Simile a Meduza ma con meno cronaca e più indagine è Proekt che a volte traduce in inglese le sue inchieste più interessanti, come quella sul misterioso arricchimento di una conoscente di Putin, Svetlana Krivonogikh. Questa donna riappare anche nella videoinchiesta di Navalny sul palazzo di Putin. A questi conviene aggiungere Mediazona, The Bell, Znak, The Insider e Tjournal. Inevitabile poi citare il settimanale su cui scrisse Anna Politkovskaja, ovvero la Novaja Gazeta che, grazie a quella sua giornalista assassinata in ascensore, è diventata un simbolo mondiale della libertà di stampa.   

Per il pubblico anglofono esiste il The Moscow Times, liberal e occidentalizzato ma anche Riddle Russia; per articoli più dettagliati esiste invece il think thank Carnegie Moscow che produce analisi puntuali sulla situazione in Russia e nell’ex Unione Sovietica. Vi è poi tutto il complesso di Radio Free Europe/Radio Liberty che, seppur critico del Cremlino, è finanziato da fondi americani, fatto che ovviamente ha delle conseguenze sui contenuti. 

Ovviamente va considerato che gran parte della stampa è in qualche modo legata a Putin, non solo quella statale ma anche quella privata, spesso tramite i famosi oligarchi russi. Uno di questi giornali privati è Kommersant che dal 2011 ha affrontato una serie di licenziamenti e sostituzioni che lo hanno portato sotto l’ala governativa. Questo processo, raccontato in un articolo di Meduza, si è verificato per molte altre testate e canali televisivi. Un caso interessante è quello della rete televisiva Ria-Novosti. Fondata nel 1941, essa rappresentava un raro caso di compagnia statale critica verso il potere, per questo è stata silenziata nel 2013 e sostituita con la becera propaganda di Russia Today. Simile al caso di Kommersant è quello di Vedomosti, giornale acquisito da un oligarca vicino a Putin a metà 2020, fatto criticato da Reporters Senza Frontiere. Per quanto riguarda le agenzie stampa invece sono presenti la Tass, propaganda governativa, e l’indipendente Interfax

Oltre al mondo dei media e delle testate di partito e quelle indipendenti, vi è una frammentazione palpabile all’interno della società russa tra padri e figli, anziani e giovani. Ce l’hanno testimoniato Petr e Roman, due ragazzi che provengono dallo stesso Paese, ma con vite differenti: il primo studente universitario al primo anno di management sportivo e originario di Nizhnij Novgorod, mentre il secondo di Novosibirsk, ma al momento in Italia. 

Entrambi hanno evidenziato questo bipolarismo tra chi sostiene le proteste e l’operato di Naval’nyj e chi lo vede come un agente straniero o come un mero oppositore di Putin. Bipolarismo che corrisponde a una frattura generazionale: vi sono i più anziani, cresciuti in un Paese chiuso in un sistema monopartitico che sono classificabili come conservatori e rappresentano il grosso del bacino elettorale di partiti quali “Edinaja Rossija” (Russia Unita, il partito nato per sostenere Putin) o

“Kommunističeskaja Partija Rossijskoj Federacii” (il Partito Comunista della Federazione Russia, guidato dal membro della Duma di Stato Gennadij Zjuganov); vi sono poi i più giovani, molti dei quali ancora non possono votare, nati in un periodo di maggiore apertura verso l’Occidente di cui perciò risentono fortemente l’influenza . A partire dall’annessione della Crimea nel 2014 però c’è stata una brusca frenata e un deterioramento dei rapporti con l’Occidente.  Putin ha iniziato a muoversi su una linea politica ancora più nazionalista che ha ridato estrema importanza alle celebrazioni del Giorno della Vittoria (9 maggio) per celebrare la vittoria nella Seconda Guerra Mondiale e ha portato al referendum del 2020. 

Tuttavia, come ribadisce Roman, alla frangia di popolazione che si oppone a Putin non importa assolutamente che ci sia un’alternativa migliore dell’attuale Presidente. Ciò che vogliono è un ricambio e un rinnovamento all’interno delle istituzioni, segno di maggiore democrazia. Questo vale innanzitutto per la persona che riveste il ruolo di Presidente: “Non riguarda il candidato, ma la rotazione del potere. Abbiamo molte persone di talento che potrebbero portare avanti il Paese”.

 

Articolo di Simone Martuscelli, Gabriele Vallin, Luca Zucchetti