In aperta campagna

Una linea rossa unisce le proteste ambientaliste in Francia e Germania. Iniziative radicali, che scelgono di colpire direttamente le infrastrutture responsabili della crisi climatica. Un doppio reportage da Lützerath e Sainte-Soline.

20/02/2023

Negli ultimi mesi, in Francia e in Germania ci sono state due grandi proteste ambientaliste. Le loro modalità sono molto diverse dalle maggiori manifestazioni degli ultimi anni. Invece di riunirsi in luoghi simbolici e facilmente accessibili delle più grandi città gli attivisti invadono i cantieri di grandi opere inquinanti in costruzione. Migliaia di persone in mezzo al fango, di fronte ad altrettanto numerosi schieramenti delle forze dell’ordine. Raccontare queste due manifestazioni – attraverso testimonianze e informazioni di prima mano – serve a capire cosa spinge studenti, attivisti e lavoratori ad andare in trasferta in aperta campagna, rischiando arresti e denunce.

Fra le rovine di Lützi

Verso metà gennaio, nelle vicinanze di Lützerath, in Renania, è stata indetta una protesta per fermare lo sfratto degli attivisti climatici che occupavano il villaggio ormai fantasma, con l’intento di ritardarne il più possibile la demolizione.

RWE, multinazionale energetica tedesca, ha programmato da tempo di allargare la miniera di Garzweiler, per estrarre un imponente giacimento di carbone. Da alcuni anni gli attivisti che si identificano sotto la sigla Lützerath Bleibt! (Lützerath rimane) portano avanti l’occupazione degli edifici disabitati della zona – tutti acquistati dalla compagnia dopo il ricollocamento dei circa 100 abitanti – gestendo orti, cucine collettive e organizzando eventi a supporto, fra le altre cose, della giustizia climatica, delle comunità LGBTQIA+ e della federazione kurda in Rojava. Hanno anche costruito case sugli alberi, teleferiche e altissimi pali per rendere più difficile l’eventuale sgombero. La seconda settimana di gennaio la polizia tedesca ha iniziato una serie di interventi per sfollare e distruggere ogni edificio, uno alla volta: al 14 gennaio restano in piedi ancora forse un fienile e le strutture sopraelevate. 

L’intero paesaggio intorno a Lützerath è piatto, con il panorama che si estende ininterrotto fino all’orizzonte. Il carbone ha sempre avuto un ruolo centrale nella storia di questa pianura. La ricchezza di questa risorsa e la vicinanza con la Ruhr, un’altra parte della Renania poco più a nord, permisero, quasi due secoli fa, il boom dell’industria energetica, che rese questa regione una delle più importanti della seconda rivoluzione industriale. Ancora oggi, la Renania Settentrionale-Vestfalia rimane uno dei principali poli industriali d’Europa, e il primo stato in Germania per PIL.

Tuttavia, negli ultimi 50 anni si è piano piano smesso di chiamarla «Land von Kohle und Stahl», «Terra di carbone e acciaio». Molte miniere di carbone si sono esaurite e sono state chiuse, come quella di Zollverein, ad Essen, che è ora patrimonio UNESCO. In altre, invece, si continua a scavare, senza intenzione di fermarsi per un altro decennio

I manifestanti che hanno deciso di partecipare alla protesta di metà gennaio sono circa 10 mila. Il giorno della manifestazione, verso mezzogiorno la colonna di persone che battono la stradina di campagna che porta al villaggio si fa sempre più folta man mano che ci si avvicina a Lützerath. La terra è ormai brulla, poiché i terreni intorno sono tutti di proprietà della RWE e quindi incolti, ma a separarla dal cielo c’è una lunga colonna di persone che avanza a passo regolare. Dietro di loro, due imponenti strutture si stagliano verso l’alto, un po’ inclinate. Potrebbero sembrare torri di vedetta o di edifici improvvisati dai manifestanti. In realtà sono delle imponenti strutture che fanno da contrappeso all’ancora più imponente macchina escavatrice della miniera, una bestia d’acciaio alta 100 metri e larga 50.

Il corteo termina più avanti, in un campo che è ormai solo fango, dove attivisti vari stanno sventolando le loro bandiere. Si riconoscono colori di Letzte Generation (Ultima generazione), ma anche i simboli di Extinction Rebellion e di Fridays for Future. In questo campo fangoso e affollato è stato allestito anche un palco, da cui vari speaker stanno esponendo a turno, in tedesco o in inglese, le ragioni della protesta, intervallate da canzoni rap sulla lotta climatica. È da lì che Greta Thunberg, che aveva annunciato da tempo la sua partecipazione, farà il suo discorso fra qualche ora. 

Proseguendo verso la miniera, l’unica cosa che separa una grande distesa di fango dall’altra sono piccole dune, non più alte di un metro e mezzo, che tuttavia non permettono di capire cosa si trovi dall’altro lato. Per proseguire bisogna scavalcare. Una volta in cima, tutti quelli che ci salgono si fermano per un attimo, come stupiti: dall’altro lato è possibile vedere la miniera di Garzweiler. O, piuttosto, una parte. La cava è così grande che scompare all’orizzonte. A sinistra, un enorme e profondo buco nel terreno, totalmente deserto se non per qualche camionetta della polizia e l’altrettanto enorme macchina escavatrice. A destra, una striscia di terreno puntellata dalle forze dell’ordine e, in fondo, quel che rimane della frazione di Lützerath. Una ragazza dice che un giorno questo sarà un lago vastissimo, ma non il più grande della zona. Al momento, la miniera misura circa quarantotto chilometri quadrati, praticamente due volte la grandezza del primo municipio di Roma. La miniera di Hambach, anch’essa un futuro lago, raggiunge gli ottantacinque chilometri quadrati

Avanzando verso le rovine di Lutzi, come la chiamano molti attivisti, la terra si fa ancora più fangosa. Nei pressi del primo cordone di polizia non vi è traccia di strade battute e bisogna stare attenti a dove si cammina per il rischio di rimanere impantanati. Gli agenti di polizia, in assetto antisommossa e con la visiera abbassata, non si muovono facilmente nonostante i grossi stivali (diventerà poi virale il video di un manifestante vestito da stregone che prende in giro i poliziotti immobilizzati). A un certo punto un poliziotto annuncia con il megafono che, se la grande massa di protestanti davanti alla linea non si disperderà entro dieci minuti, verrà utilizzata la forza. Poco dopo, un tambureggiare: una fila di manifestanti vestiti di viola e a volto parzialmente coperto si avvicinano con strumenti a percussione improvvisati. Dopo aver inscenato un piccolo concerto danzante, formano di nuovo una colonna e si avviano verso la linea della polizia. Una folla li segue: straripano sul piccolo dosso di terra presidiato mentre i gendarmi non riescono a fermarli tutti. Viene spruzzato dello spray urticante e il vento lo diffonde per decine di metri. Dopo qualche tentativo di arginare l’avanzata della folla con sferzate di manganelli, la polizia sceglie di ritirarsi. 

Lützerath

 

Dall’altra parte del crinale, di fronte a una folla oceanica, appare l’ultima linea della polizia, serratissima. Dietro di loro una fila di camionette e un’alta recinzione intervallata da pali con grandi fari in cima: impedisce che nuovi attivisti si uniscano a quelli che ancora resistono nella città. Da quel punto si riescono a vedere: sugli alberi oltre la palizzata si scorgono figure affacciate dalle case sugli alberi rimaste. Al centro del bosco resiste un’altissima colonna, sulla cui cima un attivista sfida la pioggia, il freddo e il vento. A quell’altezza le gru della polizia non possono arrivare. 

Dopo poco gli attivisti cercano di sfondare anche questa linea, ma è impossibile. Alcuni contingenti di polizia caricano, altri minacciano di usare gli idranti, che dopo poco sparano in aria, contribuendo a peggiorare la viabilità nel fango. È ormai pomeriggio inoltrato e la folla si sta diradando. Sulla via del ritorno, un’altra fila di camionette giace abbandonata, impantanata nel fango. Si scorgono alcuni manifestanti nei pressi delle ambulanze mentre ricevono cure per le percosse subite e coperte termiche per prevenire l’ipotermia.

«Sono stati momenti bruttissimi, ho avuto paura per quello che sarebbe potuto succedere» dice Arba, 23 anni, un’attivista presente alla manifestazione. Racconta di come la polizia, durante i momenti più concitati poco fuori Lützerath, stesse caricando disordinatamente. Lei, mentre non riusciva a muoversi per il fango, è stata colpita dallo spray e ha perso la vista per qualche minuto: riusciva solo a sentire le urla della gente colpita dalla polizia e ha pensato al peggio. Arba è rimasta incolume, altri sono stati meno fortunati: dice che una ragazza che conosce ha riportato ferite, mentre al marito è stato rotto il naso ed è stato arrestato. Inoltre il sindacato dei giornalisti ha riportato che durante la protesta la polizia ha limitato la libertà di stampa, rendendo necessario un accredito approvato dalla RWE e dalla polizia stessa, bloccando l’accesso arbitrariamente, e usando violenza su alcuni reporter

Arba ha iniziato il suo attivismo con Fridays for the Future e ha preso parte, qualche anno fa, a un Climate Camp a Wurzburg. «FFF è considerato fra i più moderati nell’ambiente dei movimenti ambientalisti», spiega, «ma con il peggiorare della situazione climatica capisco l’approccio più radicale che gruppi come Last Generation e Extinction Rebellion hanno». Arba illustra il punto di vista dell’attivismo contro il carbone della RWE. La lettera degli scienziati per il clima, come anche i comunicati degli altri movimenti, espongono il parere di vari studi (come questo dell’Istituto Tedesco per la Ricerca Economica) secondo cui la quantità di carbone estraibile da lì sotto sarebbe così grande da rendere impossibile, per la Germania, il rispetto dei limiti di emissioni previsti dall’Accordo di Parigi, ovvero i limiti che permetterebbero alla temperatura globale di innalzarsi non più di un grado e mezzo. Il governo tedesco sostiene invece che permettere alla RWE di scavare quel carbone sia un patto con il diavolo necessario all’attuale politica energetica: in cambio di questa concessione la compagnia chiuderà le centrali a carbone entro il 2030 e non il 203. Arba, come molti altri, non è d’accordo: un cambiamento nel Sistema europeo per lo scambio delle quote di emissione (ETS) renderebbe le centrali a carbone economicamente insostenibili entro il 2030 in ogni caso. Il permesso finale di scavare a Lützerath, quindi, viene considerato un regalo frutto del lobbismo della RWE.

Molti attivisti, a seguito di ciò, si sono sentiti traditi da Die Grünen, il partito dei Verdi, che aveva ottenuto un buon risultato nelle scorse elezioni ed è ora al governo sia a livello nazionale che nei land. Dopo aver ricevuto supporto da parte dei cittadini preoccupati per il cambiamento climatico, i ministri verdi hanno invece ora acconsentito a un piano del genere. Come conseguenza di questo supposto tradimento, il 12 gennaio alcuni attivisti hanno occupato per 10 ore la sede di Dusseldorf dei Verdi della Renania Settentrionale-Vestfalia. Molti coetanei di Arba, che hanno votato per loro, dicono di essere molto delusi. Ma forse lo farebbero ancora, «perché nessun altro partito prende seriamente la questione climatica in ogni caso». 

 

Se anche la Germania si distingue tra i Paesi europei per le modalità estreme di protesta dei suoi ambientalisti, in Francia, qualche mese prima, un’altra manifestazione contro una grande opera in costruzione ha avuto dinamiche simili. 

Acqua e cemento 

Dal 28 al 30 ottobre 2022 a Sainte-Soline, nelle Deux Sèvres, in Francia, una manifestazione di 7000 ambientalisti ha interrotto i lavori di un cantiere per la costruzione di una mega-bassine, collettore d’acqua dannoso per gli ecosistemi e l’agricoltura sostenibile. «Sembrava di stare in guerra» racconta uno studente della banlieue parigina presente all’iniziativa che preferisce restare anonimo. La manifestazione si è svolta come un vero e proprio scontro militare tra manifestanti e polizia: ore di corsa nei campi sfondando le linee di sbarramento delle forze dell’ordine, così viene descritta la «Battaglia di Sainte-Soline» dai partecipanti e dai media militanti. Nonostante il bilancio di decine di feriti tra manifestanti e polizia, l’obiettivo della mobilitazione, interrompere la costruzione dell’infrastruttura, è riuscito. il cantiere infatti è rimasto bloccato per 10 giorni

 

Le méga-bassines, finanziate perlopiù con denaro pubblico, sono giganteschi collettori idrici a scopo agricolo: raccolgono l’acqua dalle falde acquifere e dai fiumi per evitare danni ai raccolti e fare fronte alla siccità, problema che quest’estate in Francia si è posto molto seriamente. Presentate come soluzione alle conseguenze agroindustriali della crisi climatica, gli ecologisti le hanno invece etichettate come greenwashing, criticando l’insostenibilità economica e ambientale del programma macronista. I principali soggetti politici che rappresentano l’opposizione al progetto sono una federazione di agricoltori, la Confédération paysanne, il comitato Bassines Non Merci – No Bassaran e l’organizzazione ambientalista Soulèvements de la Terre, che propone di dare una sintesi pratica a queste esperienze numerose e eterogenee. Assieme a loro ci sono anche deputati della NUPES, coalizione parlamentare di tutti i partiti di sinistra in opposizione a Macron, tra cui i Verdi. Queste diverse organizzazioni hanno pianificato la mobilitazione e bloccato il cantiere appena aperto. «Eravamo tantissimi, non mi era mai successo che fossimo un numero tale e così determinati a raggiungere l’obiettivo, a ogni costo» racconta un militante.

 

Oltre a raccogliere l’acqua piovana, le méga-bassines si approvvigionano dalle falde acquifere, accumulando l’oro blu d’inverno, per utilizzarlo nell’agro-industriale nei periodi di siccità estiva. Un problema denunciato dalle sigle che organizzano il movimento contro i collettori, che sottolineano come solo una piccola percentuale dell’acqua sarà destinata direttamente all’agricoltura alimentare mentre la maggior parte all’allevamento; è soprattutto che questa sarà a disposizione esclusiva di una «oligarchia agricola» costituita da pochi grandi grandi produttori locali, riuniti nella cooperativa dell’acqua dipartimentale. La popolazione ha reagito, oltre al rifiuto di un ecomostro sui propri territori, anche in vista di uno stravolgimento del tessuto economico e della produzione agricola locale.

Sainte-Soline

 

Lo Stato ha messo a disposizione di questi grandi agricoltori il progetto e le risorse economiche necessarie: i privati della cooperativa si difendono dalle accuse dicendo che loro hanno semplicemente posto al governo il problema della siccità, e che la soluzione proposta, le mega-bassines, dipende esclusivamente dalla politica agroindustriale governativa. Secondo le organizzazioni si tratta di «accaparramento» e di «guerra» dell’acqua come risposta dello Stato francese alla crisi climatica, che per i livelli di gravità raggiunti mette seriamente in dubbio l’accesso alle risorse idriche nel cuore d’Europa.

 

In seguito al lancio della mobilitazione per l’ultimo weekend di ottobre, venerdì 28  la polizia ha cercato di bloccare le principali strade per Sainte-Soline nel tentativo di intercettare i militanti e impedirgli di raggiungere il sito, dove il dispositivo schierato era di 1700 agenti e 6 elicotteri secondo le stime dei partecipanti «Siamo dovuti passare per strade sterrate e sentieri di campagna» raccontano altri militanti presenti, ventenni fuoriusciti dal Comitato antifascista di Poitiers, capoluogo della regione. «Quando siamo arrivati, verso ora di cena, abbiamo trovato un’atmosfera calorosa e piena di energia. Abbiamo fatto una riunione logistica per preparare lo svolgimento dell’incursione, eravamo già qualche migliaio». Nonostante la zona fosse stata interdetta ai non residenti il pomeriggio del giorno dopo, sabato 29 ottobre, 7000 persone (4000 per la prefettura) tra cui vari deputati della NUPES si sono addentrati nelle campagne intorno al cantiere, una fossa di 16 ettari. Divisi in tre cortei hanno attraversato i terreni circostanti con l’aiuto dei residenti, mentre la polizia cercava di interrompere l’avvicinamento ai terreni impiegati alla costruzione dell’infrastruttura. «Tutti i piccoli coltivatori locali che non manifestavano erano dalla nostra: ci hanno fatto entrare nelle loro case e ci hanno dato viveri e medicinali». Dopo tre ore uno dei tre cortei è riuscito per primo a penetrare nel cantiere, raggiunto poi dagli altri due. Gli impianti in costruzione sono stati parzialmente danneggiati, e il giorno dopo si contavano 61 feriti tra i ranghi della polizia e 50 in quelli dei militanti. «Abbiamo vinto noi, per una volta», commenta convinto un militante. «O almeno subito dopo gli scontri e una volta finita la manifestazione avevamo l’impressione che i numeri fossero di gran lunga a nostro favore». Sono seguiti gli arresti di 40 persone, identificate e già note al Ministero dell’Interno, ha dichiarato il Ministro Darmanin, che oltre a qualificare i manifestanti come ecoterroristi ha denunciato la «provocazione di alcuni deputati», facendo riferimento ai parlamentari di sinistra che hanno partecipato alla manifestazione. I deputati presenti invece hanno denunciato di essere stati vittime di repressione violenta da parte delle forze dell’ordine.

Sempre i Soulèvements de la terre (letteralmente “Sollevazioni della terra”) il 10 dicembre hanno diffuso un comunicato che rivendicava il sabotaggio di numerose apparecchiature industriali del cementificio Lafarge della Malle a Bouc-Bel-Air nelle Bouches-du-Rhônes, nei pressi di Marsiglia. L’azione è stata fatta in continuità con altri blocchi di cantieri e sabotaggi a siti dell’azienda, identificata dal collettivo come uno dei principali responsabili dell’inquinamento e delle emissioni nell’Esagono. Il gruppo Lafarge-Holcim è stato perseguito legalmente a causa del sostegno economico offerto allo Stato islamico in Siria, spiega il comunicato, denunciando una continuità tattica tra i suoi interessi e quelli dei servizi segreti francesi. «Distruggono le nostre condizioni di vita e il nostro ambiente per costruire un mondo di cemento e morte, che sia fatto di greenwashing basato sulla neutralità del carbonio o di cementi a basso contenuto di Co2, prodotti incenerendo i rifiuti».

 

In effetti il movimento ecologista francese si è storicamente caratterizzato per una grande determinazione: le ZAD, territori a statuto giuridico speciale, scelti come zone dove aprire cantieri per la costruzione di grandi opere, spesso sono stati occupati e ribattezzati Zones à défendre (zone da difendere) per impedire la realizzazione di infrastrutture dannose per l’ambiente. Alla base c’è la stessa idea di difesa del territorio e degli ecosistemi del movimento No Tav italiano. A Notre-Dame-des-Landes dove nel 2008 era stata prevista la costruzione di un aeroporto, l’occupazione ha resistito alla repressione e il progetto governativo è stato abbandonato definitivamente nel 2018

 

Sia in Francia che in Germania, sono sempre più comuni le iniziative radicali che scelgono di colpire bersagli direttamente responsabili della crisi climatica. Come sottolineato dalle organizzazioni e dai partiti coinvolti, il deterioramento della situazione ambientale costringe gli attivisti ad assumere linguaggi di lotta sempre più pesanti, e l’accettazione di un confronto violento, non più mediabile, con lo Stato. Il fallimento delle ultime Cop per il clima ne è una prova, sostengono i Soulèvements de la terre. In Francia, è stato chiamato un altro weekend di mobilitazione a fine marzo, nel Poitou-Charentes. 

 

Foto di Philipp Gehrhardt per Lützerath e Choupette per Sainte-Soline

Articolo di Ismaele Calaciura e Ruggero Marino Lazzaroni. Ha collaborato Lilian Gallina