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Bella di papà
La figura del padre nella cultura contemporanea
A marzo 2021 è arrivato finalmente in Italia grazie a Blackie Edizioni e alla traduzione di Veronica Raimo e Alice Spano il saggio Bella di papà di Katherine Angel, pubblicato originariamente nel 2019 da Peninsula Press con il titolo Daddy Issues.
L’autrice si occupa principalmente di disfunzione sessuale femminile, psichiatria, sessuologia e femminismo; e fa parte, inoltre, del comitato direttivo del Birkbeck Institute for Gender and Sexuality. Il saggio riflette molte di queste tematiche, mantenendo però il focus del discorso sul rapporto padri-figlie e cercando di far emergere il nucleo di questo rapporto e le sue principali forme di criticità dalla sfera privata in cui si trovano solitamente relegate.
Il testo ripercorre una lunga carrellata di libri e prodotti cinematografici che si occupano, in vario modo, della figura paterna, fotografata all’interno di vari contesti. Molte delle riflessioni dell’autrice però, in particolare nelle pagine d’apertura, hanno a che fare con la dimensione del raccontarsi. La scrittura sulla quale Angel riflette è, infatti, quella in prima persona, che parte dalla vita di chi scrive e ne fa emergere frammenti chiave, in grado di esporre parti del soggetto ma anche di creare una fonte essenziale di protezione, che aiuti a trovare il modo di “esistere come sé stessi, di relazionarsi agli oggetti come sé stessi, di avere un sé in cui ritirarsi per trovare pace”, come scriveva lo psicoanalista Donald Winnicott. Il percorso di riflessione sulla scrittura continua tra le pagine, in particolare attraverso costanti richiami a Virginia Woolf, che in Una stanza tutta per sé e Le tre ghinee riserva un ruolo chiave alla scrittura delle donne e alla loro possibilità di iniziare ad esercitare un’influenza forte se padroneggeranno “l’arma dell’indipendenza di pensiero frutto dell’indipendenza economica”.
L’autrice rimette poi al centro la riflessione sulla figura paterna, sostenendo una tanto acuta quanto veritiera argomentazione su come nel panorama femminista contemporaneo la parola patriarcato sia recentemente tornata a occupare uno spazio dominante all’interno del discorso, scordandosi sempre, però, di riflettere sul ruolo di chi a questo termine ha effettivamente dato il nome, e cioè il padre. Negli ultimi anni, mentre alcune riflessioni sul nesso tra capitalismo, lavoro di cura e oppressione di genere tornavano timidamente in auge, portando a riflettere sui sistemi produttivi e sul ruolo della casa nelle dinamiche della famiglia nucleare, anche il concetto di patriarcato si è rifatto strada nel dibattito. Questo, però, è andato principalmente a inserirsi all’interno di quegli slogan tanto cari al femminismo mainstream, che ne hanno fatto il baluardo di diversi merchandising d’eccezione, oltre che di un male superiore perfetto a cui infliggere la colpa di ogni male senza troppo preoccuparsi di sviscerare e riflettere sul suo effettivo ruolo e significato all’interno della società e delle sue dinamiche di potere.
Angel rimette al centro il termine patriarcato, non nella dimensione svuotata in cui oggi lo conosciamo, ma conferendo alla parola la complessità che le appartiene, riflettendo sulla romanticizzazione del legame padre-figlia e sull’errore di decostruire e sviscerare sempre lucidamente le daddy issues delle figlie, ma di rado le daughter issues dei padri. Queste seconde sarebbero infatti le responsabili di una sempre più frequente fantasticheria sull’amore incestuoso, che ha portato a rendere la figura della figlia il massimo simbolo della sessualità paterna, che cessa di esistere quando l’innocenza della figlia scompare e che vede nel riconoscimento e nell’identificazione con i suoi pretendenti, oltre che nella gelosia per loro, un motivo ricorrente del suo rapporto con lei.
Nel freudiano complesso edipico la figura paterna occupa uno spazio chiave per la costruzione dell’individuo, e il suo intervento, vissuto dal bambino come traumatico, gioca un ruolo essenziale all’interno della diade madre-figlio, che consente al bambino di allontanarsi dalla madre. Va così a incarnare, come dirà Lacan, la “figura che vieta”, e a costituire, all’interno della storia della psicoanalisi, secondo Jessica Benjamin, “il padre della liberazione» in opposizione alla «madre della dipendenza”. Cruciale è, all’interno di questi delicati equilibri, il ruolo dell’aggressività, alla quale Freud e Winnicott conferivano due valori differenti: per Freud questa costituiva una reazione nei confronti della realtà e uno sfogo dovuto alla frustrazione per i nostri desideri che il mondo non era in grado di soddisfare; secondo Winnicott invece l’aggressività costituiva il punto di svolta in cui il bambino, per sviluppare una percezione di sé autonoma dal genitore, doveva risultare nei suoi confronti aggressivo. Angel riflette così, attraverso alcuni di questi studi psicoanalitici, sulla dimensione della rabbia, sulla collera che le figlie possono provare nei confronti dei padri, sulla possibilità di eliminare i daddy issues liberandosi dalla figura paterna e sul rapporto inscindibile che lega amore e odio, perchè “dobbiamo essere in grado di odiare per poter amare”.
Questo saggio di Angel costituisce una lettura importante, che nell’arco di poche pagine, e attraverso un codice narrativo estremamente fruibile conduce un profondo viaggio nella cultura contemporanea, alla ricerca dei principali snodi che riguardano la figura paterna e il suo ruolo all’interno della famiglia e della società.
Articolo di Arianna Preite