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Il Cile dice “No” alla nuova Costituzione
Ieri in Cile si è tenuto il referendum per approvare o rifiutare la nuova costituzione, scritta dopo la ondata di proteste del 2019 e 2020 (il cosiddetto Estallido Social). Se approvata, avrebbe sostituito quella attuale, emanata sotto la dittatura di Pinochet; tuttavia ha vinto il no, col 62,5% dei voti. Un risultato che ha sorpreso tutti, attivisti e costituenti in primis. E forse proprio questo stupore spiega in maniera eloquente uno dei tanti motivi che hanno portato alla disfatta: la assemblea, e il dibattito pubblico attorno ad essa, non sono stati in grado di cogliere le sensazioni di quella parte di popolazione che nel 2020 non era in piazza a protestare, al di là di Santiago e la Plaza Dignidad. Fin dal primo momento in cui nel referendum del 2020 è emersa la volontà popolare di cambiare la costituzione, la destra e la classe dirigente si sono coalizzate per portare avanti una macchina del fango mediatica a suon di fake news mirate a spaventare i cittadini: eliminazione della proprietà privata e aborto fino al nono mese erano solo alcuni degli spauracchi agitati dai principali media nazionali. Di fronte a questa enorme potenza di fuoco, effettivamente, risultava difficile contrastare quella che a tutti gli effetti era una campagna elettorale in piena regola, guidata innanzitutto dagli avversari di Gabriel Boric, il neoeletto presidente di centro sinistra che per i manifestanti è stato il volto del cambiamento, nonché principale supporter di una nuova costituzione.
Manifestazione a favore del NO a Santiago (Via The Clinic)
Ciò che è mancato, secondo vari esperti e analisti politici, è stata la istituzionalizzazione del processo costituente; Flavia Torrealba, leader di Apruebo Dignidad, considera un “grave errore” l’aver lasciato che “i partiti fossero in prima linea nella campagna a favore del SÌ, facendo mancare la impronta istituzionale richiesta dal momento storico”. In breve, è avvenuta una stretta identificazione tra Boric e nuova costituzione, perciò in un momento di grave crisi nazionale la vittoria del Rechazo (‘rifiuto’) può essere letta alla luce della volontà di castigare il governo per l’instabilità in cui versa il Paese. La assemblea inoltre non è stata in grado di risultare accessibile, nel linguaggio adottato e nei concetti espressi, a una vasta fetta della popolazione: temi come il femminismo, la tutela ambientale e il rapporto con le popolazioni originarie (es. i Mapuche) sono fondamentali e vanno senz’altro inseriti nella carta costituzionale, ma non sono stati veicolati in modo comprensibile per una società che in poco tempo è stata attraversata da molti cambiamenti, e non ha sempre avuto il tempo o gli strumenti per metabolizzarli. In questo senso è emblematico che la maggior parte dei voti per la destra alle elezioni presidenziali sia arrivata dalle regioni più a sud, dove ormai da anni continuano la militarizzazione del territorio e il conflitto tra esercito e Mapuche. I cileni non hanno trovato rassicurazioni sui loro timori nella Assemblea Costituente, che ha proposto giustamente di riconoscere la multietnicità del Cile, senza però essere in grado di smentire le illazioni dei conservatori su presunti risvolti catastrofici ed espropriazioni terriere.
Esercito arresta una donna Mapuche (Via Felipe Duran Ibanez)
Questa sconfitta non segna certo la fine della sinistra in Cile, ma è un duro colpo per il movimento, soprattutto perché il prezzo pagato dai manifestanti in piazza è stato altissimo: il bilancio finale dell’Estallido è stato di 31 morti, 460 vittime di lesioni oculari, un numero indefinito di desaparecidos e più di duemila denunce contro la polizia per abuso di potere. Un prezzo che ora risulta intollerabile e quasi vano per molti dei militanti e civili che hanno partecipato all’epoca. Il motivo per cui i cileni ritengono necessario cambiare la costituzione, il motivo per cui sono disposti a rischiare la vita negli scontri con la polizia, è molto semplice: il Cile vuole tagliare i ponti con la parentesi più buia della storia nazionale, di cui la carta è diretta espressione. È evidente in più punti del documento, ad esempio nell’ampio ventaglio di poteri concesso al presidente, nella discussa legge antiterrorismo che veniva usata contro i dissidenti e che oggi serve a reprimere le proteste, o nella totale assenza di qualsiasi accenno alle popolazioni indigene, unico caso latinoamericano. Il regime stesso di fatto è stato un esperimento politico per testare le politiche neoliberiste in chiave anticomunista nella Guerra Fredda, col supporto statunitense. Quelle politiche, sancite dalla costituzione, dopo anni continuano a martoriare il Paese.
Ora è tutto da rifare. Gabriel Boric ha subito chiesto di aprire il confronto tra partiti per riscrivere il testo, ma il futuro è incerto: i conservatori puntano a spostare la discussione nel Congresso, dove avrebbero più margine di manovra, se non a rifiutare direttamente la possibilità di una nuova costituzione. Per strada monta la rabbia dei manifestanti, che promettono un nuovo Estallido Social. La nazione si trova ancora una volta di fronte a un bivio: distaccarsi dal passato dittatoriale, pur con tutte le incertezze del caso, o proseguire sulla stessa strada, che finora non ha portato risultati positivi. Certo è che l’Estallido è uno spartiacque che renderà difficile qualsiasi tentativo di tornare a una situazione precedente al governo attuale, visto l’enorme tributo di sangue dei cittadini. Il Cile dunque andrà avanti, a un prezzo ancora non calcolabile.
Articolo di Gaia Di Paola