Martedì 29-09-2020
ore 19:55
Avete presente lo Stoico di Centocelle? Il Marco Aurelio di Via Bresadola? Ormai è una celebrità nel quartiere e non solo. Tre quarti di Roma lo conosce, o se non lo conosce quantomeno lo ha sentito nominare e lo rispetta. Testardo come un mulo, dice che la sua vita è cambiata dopo aver letto un libro comprato al mercatino vicino Piazza Esedra. Se gli chiedi il titolo, o l’autore, cambia discorso, a chi dice un nome, a chi dice che non se lo ricorda, a chi Non l’ho mai saputo ma che te frega non è mica questo l’importante. L’ultima è che l’ha riportato indietro. Da schivato ad adulato, ha raggiunto ciò che tutti noi Bighelloni, ligi esponenti del va bene così, non vogliamo neanche considerare — troppo grande il pensiero, troppo pesante il rimorso di non poterlo mai neanche sfiorare. Per restare coerenti con noi stessi, che è un po’ in fondo la morale comune, il problema non ce lo poniamo proprio.
E pensare che fino a qualche tempo fa con lui ci uscivamo anche. Certo non proprio sempre, ecco, ogni tanto. Tipo quando eravamo nove a calcetto e il campo era già stato pagato, oppure quando da bambini era l’unico ad avere la Play nuova — bei pezzi de merda. Fatto sta che un paio di annetti fa si è dimesso con un bel vaffanculo da Bighellone part-time — diciamo contratto a zero ore, o a chiamata, tanto per far valere quei sei mesi di Giurisprudenza che mi sono fatto — s'è letto quel libro e s'è messo in proprio. Ora è il leader maximo degli Stoici. Non lo pensereste mai, ma ha una vera schiera di adepti, chi ci crede ciecamente, chi lo fa per curiosità, chi vuole solo far parte di qualcosa. Tra Centocelle, Pigneto e Quarticciolo è pieno di gente che segue le sue orme, e che addirittura lo supera cimentandosi in radicali virtuosismi dello Stoicismo Romano 2k20, gesti abbastanza eclatanti infervorati dal desiderio primordiale de fa vede a tutti chi ce l’ha più grosso. Si parte da cose del tipo sveglia all’alba ogni giorno estate inverno e corsetta tonificante a Villa Gordiani — tra Stoici, Olimpionici e Spadaccini ormai sempre occupata — poi ci stanno quelli che non se fanno le pippe, quelli che non scopano, quelli che il caffè senza zucchero, chi proprio senza caffè, chi ha tagliato l’acqua calda, chi dorme per terra, chi se fa Largo Preneste Piazza Trilussa in bici, chi regà ve giuro ha disdetto Netflix, e poi ce stanno loro due, Claudio Zotti e Maurizio Carlino, che campano senza internet. Claudio ha regalato il cellulare al cugino per evitare tentazioni; Maurizio, membro anziano che del cellulare se ne era già sbarazzato da un po’, s'è comprato una bici in fibra de vibranio con i soldi fatti dando indietro il Mac. Entrambi Wi-Fi free a casa, per la strada predicano i benefici di questa svolta a tutti i meno interessati, li vanno proprio a scegliere tra quelli seduti al bar della Sapienza con due cellulari e Apple Watch e a cui proprio non potrebbe fregare di meno. Oltre a non avere internet, hanno pure pochi amici poracci.
Io in tutto questo sono quello che sta a bestemmià mentre cerca di legare il motorino alla fermata dell’auto. Tra un paio d’ore li beccherò tutti, gli Stoici, alla festa d’addio per Marco Aurelio, che fa uno strappo al suo credo solo stasera per salutare tutti quanti in una volta.
Domani si trasferisce a Cambridge, e lo fa per la consacrazione internazionale suppongo. Già me lo immagino, il nostro eroe che atterra, e un manipolo di uomini inviati dall'Università fuori Heathrow pronto ad accoglierlo, una roba del tipo trombe e carrozze e inchini e servitù. Ma questo gesto, nel caso qualcuno avesse dubbi, sarà stoicamente rifiutato, Queste frivolezze non mi si addicono, non ne sono degno, dirà loro voltandogli le spalle, e si avvierà a piedi verso la sua destinazione, in silenzio e tra le facce lunghe de ‘sti pori cristi che rimetteranno basiti le trombette nelle custodie e malediranno i santi che se maledicono nella lingua loro, ora non so quali esattamente.
Ma la verità è che non gli si può dire niente, a Marco, un po’ perchè è un bravo ragazzo, un po’ per le guardie del corpo. No dai, le guardie del corpo non ce l’ha, solo qualche Stoico Radicale. E poi a questa festa ha invitato tutti, pure noi Bighelloni, perché secondo me sotto sotto ci vuole bene.
ore 22:12
La macchina l’ho presa io, Caterina ha fatto un po’ di storie ma neanche troppe. Mi dice che l’ha lasciata tra il leccio e il pino e che ora sta a me trovarla, al che le rispondo Ok e lei ci rimane un po’ male. Prima di uscire ho avvertito gli altri sul gruppo e aspettato quei classici cinque minuti per permettere a tutti di fingere di non aver letto il messaggio.
Sotto al portone becco la signora Nadia di ritorno dal solito giro del palazzo con Gilda, un’abitudine veloce e indolore dettata da una comunione di intenti, arti doloranti e fiati corti, se sta a fa vecchia come a me, tra un po’ me piscia direttamente in balcone, la stessa battuta ogni volta che la incontro, fisiologica come il colpo di tosse che la precede e la risata che la segue, e ho sempre l’impressione che quelle siano le prime parole della sua giornata.
Per trovare la macchina ci metto poco. Dopo una fase iniziale di girotondi e imprecazioni, la svolta arriva appena realizzo che una Ka gialla è più facile da individuare rispetto a un leccio. La trovo sotto a due alberi, vicino alla Snai. Prima di salire giro una sigaretta, che tanto qua la vedo lunga.
I lampioni sono accesi, quasi tutti, l’unico spento, fatalità, è quello sopra al dare precedenza. Dall’altro lato della strada, fuori al Ritrovo, una fila in attesa del tavolino, alcuni Spritzaroli con già un bicchiere in mano fumano e chiacchierano, ammirevoli nella tranquillità che solo l’esperienza porta; i Tosti invece, meno in confidenza con il concetto di attesa, sembrano più scazzati e magari pensano d’andassene.
Ribe decide di sorprendere tutti e risponde con ‘io me sto a mette le scarpe’. Mi avvio. Giro l’angolo ma il semaforo è rosso e scalo in folle.
Un paio di annetti fa, quando la notte dormivo poco e manco il rimedio naturale de Carletto risultava vincente, lessi una cosa su Facebook riguardo i microsonni di Napoleone. Dallo scetticismo iniziale al vabbè proviamoci fu un attimo, e così un post condiviso da uno che non vedevo dalle elementari si trasformò in esperimento — un esperimento mai del tutto iniziato, ma comunque apprezzabile l’audacia. Insomma a quanto pare Napoleone non dormiva di notte, ma era solito intervallare piani di conquista a microsonni molto corti di tipo cinque minuti, e vedendo dove è arrivato uno ce li fa due pensierini sull’efficacia. Il post, altrimenti debole in credibilità, alludeva ad uno studio condotto dalla University of Wisconsin-Eau Claire, di cui onestamente ignoravo l’esistenza, che avrebbe stilato un listone con tutti i benefici che questa scelta avrebbe portato all’uomo occidentale moderno. In effetti ho controllato e lo studio esisteva, la lista c’era ed era pure bella lunga. Erano inclusi aspetti come ‘più tempo libero’ e ‘maggiore flessibilità’, e un tale John Bonneville assicurava in un due righe a fine pagina come questi benefici oscurassero gli svantaggi, che seppur pochi, sarebbero stati pubblicati ugualmente in breve tempo, perché niente per loro importava quanto la trasparenza. Nonostante la ricerca fosse datata 2011, il post 2012, e l’amico mio l’avesse condiviso nel 2018, l’uomo occidentale moderno sta tuttora aspettando questo listone degli svantaggi. Nessuno reclama però, e mi piacerebbe pensare che sia per l’alto tasso di soddisfazione, ma non ho le prove.
Alla fine mi convinsi che rispetto a festeggiare Capodanno tutte le sere, sonnellini stile liceo sparsi per la giornata non sarebbero stati poi così male, anzi, avrei dovuto giusto assecondare la palpebra quando scendeva. La sera stessa in cui decisi di provare tornai a dormire per bene. Vedete, a volte basta un piano B. Ma ‘sto concetto di centellinare, di frazionare qualcosa di grande e spaventoso in dosi più accessibili mi è rimasto, e lo attuo con cadenza più o meno regolare su molti altri aspetti della mia vita, come l’introspezione, su cui però sono abbastanza metodico. Se per il sonno il trigger era la palpebra, per farmi partire la nave basta la luce rossa di un semaforo. Forse il paragone stona un pochino, perché in questo caso non assecondo proprio nulla, anzi, diciamo che sfogo. Con alcuni semafori, tipo questo, ho più affinità, e i pensieri si formano più facilmente. Con gli altri di solito riesco a trattenermi, ma in questi giorni me li faccio andare bene lo stesso. Ho infatti deciso di estendere la mia affinità a più semafori, tra i quali quello di Porta Maggiore, che con i suoi bei cinque minuti di piede sul freno risulta molto funzionale alla causa, perché il volume di lavoro è tanto e va suddiviso il più possibile. Per questo motivo rallento al verde quando ho la sensazione che stia per diventare giallo, e a volte anche quando non ne sono così sicuro. Più rossi colleziono, meglio dormo la sera.
Nonostante tutti gli accorgimenti, questa restrizione dei semafori risulta sempre più difficile da mantenere. Gli sarà capitato anche a Napoleone di sforare la regolina dei microsonni e dormire tutta la notte. Generalmente però posso garantire per questo tipo di ansia a singhiozzo, funziona e va via con una suonata di clacson.
ore 22:41
Cima e Zanna scendono quasi subito, Ribe ci mette venti minuti in più. Cammina verso di noi e sembra che lo faccia per farci un piacere, fa la sua solita battuta sulla Ka, e per quanto mi sforzi di essere infastidito alla fine resto coerente e mi va bene così. Ai piedi c’ha le solite sneakers, belle logore com’è giusto che sia, ma i lacci sembrano del tutto normali, nessun segno di sfregamento, o sfilacciamento, nessuna prova di uno sforzo eccessivo, che ne giustifichi un utilizzo quantomeno prolungato, se non anomalo.
Mezz’ora. Trenta minuti per allacciare un paio de scarpe. Ma va bene così.
Va bene così.
Io le chiedo, Vostro Onore, ma come faccio a non incazzarmi?
Mi faccia consultare il Grande Almanacco Ciabattino dei Lacci. Ecco, pagina 452. Tempo massimo concesso per le AirMax: 15.04 secondi per scarpa. Raddoppiamo, 30.08. Ora tornando al messaggio inviato dall’imputato, ‘me sto a mette le scarpe’. Mi faccia leggere i miei appunti. Ecco, inviato alle ore 22.15, secondi e centesimi ignoti, di Martedì 29 Settembre 2020. L’arrivo del Ribe nell’autovettura è invece documentata per le ore 22.41 spaccate
Questo significa, mi scusi, se la matematica non è un’opinione, che il Ribe ci ha fatto aspettare la bellezza di almeno 25 minuti, secondi e centesimi ignoti, oltre il tempo massimo stabilito, con possibilità di sforare nei 26 minuti. Corretto?
Corretto. Ma mi dica, se neanche il codice morale è da considerarsi un’opinione, ad un Bighellone come lei, questa faccenda non dovrebbe andare bene?
Lei ha ragione, in fondo va davvero bene così. ‘Na bomba proprio.
Cosa avrei fatto se fossi stato uno studente nel ‘68? È una cosa che di solito penso fermo al semaforo. Avrei preso parte alla lotta o mi sarei fatto i cazzi miei? Non che un’allacciata tardiva di scarpe debba scatenare gli stessi scontri dell’epoca, ma un accenno di visceralità proporzionale al tempo perso qua seduti mentre lui sfora di mezz’ora il tempo massimo stabilito, beh quello sì.
Perché non riguarda solo me. È universale la faccenda, anche Cima e Zanna dovrebbero aderire, e invece stanno al telefono e se ne fottono.
Poi, quando scatta il verde, in genere realizzo che non sarei neanche stato uno studente perché ai tempi non era richiesto, e vedendo con chi avrei dovuto spartire gioie e sofferenze, forse va bene così.
Daje Ribe muovi il culo che è tardi, dice Cima dopo averlo visto, Non vorrai mica fa incazzà il festeggiato. Poi parte co’ la psicoanalisi e te spiega con faccia mista a disgusto e carità che quello che sei, quello che fai, e soprattutto quello che non fai, è facilmente tracciabile — e conseguentemente imputabile — alle tue amicizie delle elementari.
Se penso a ‘ste amicizie, dice Ribe salendo in macchina, Me sa che tutti i torti non ce l’ha.
Non me guardà a me che alle elementari già me stavi sui cojoni.
Poi comincia una di quelle conversazioni ad incrocio, in cui nessuno sa chi abbia la precedenza o a chi debba dar retta, un groviglio di frasi incompiute e rimandi ad argomenti appena superati, un voltarsi incerto di teste e linee di risposta che intersecano linee di domanda sbagliate, come quando nonno e nonna te parlano contemporaneamente di due cose diverse, magari perché non si rendono conto, perché non sentono, oppure perché percepiscono la voce dell’altro come una sorta di rumore bianco, il sottofondo perenne della loro vita, e quindi ti trovi seduto che guardi nonna ma ti rivolgi a nonno, e alla notizia della nascita della nipotina della signora del terzo piano rispondi confermando come l’anno scorso avesse fatto in verità più caldo, e in tutto questo, quindi, Zanna chiede se sappiamo dove andare, Ribe risponde che Marco Aurelio non deve aver corso molti rischi con le sue grandi amicizie da bambino, Cima guarda Zanna e insiste sul fatto che da piccolo lui non ce se inculava de pezza e che c’aveva de meglio da fa’, Ribe dice che lui pensava lo sapessimo noi dove fosse ‘sta festa, Zanna dice che Cima spara solo stronzate, Cima dice Tu madre, Zanna risponde Ma’a tua, Ribe ride mentre ci ricorda di quella volta in cui abbiamo fatto crede’ a Marco Aurelio che piacesse ad Alessia, e io nel frattempo sto zitto e scrollo Facebook però a ‘na certa uno se rompe pure il cazzo perché prima andiamo prima torniamo e quindi Me dite ‘ndo cazzo devo andà?
Mo’ controllo su Facebook, dice Cima, che però s’è appena accorto di avere il cellulare scarico. Manco questo sei bono a fà, due secondi e vedo io, dice Ribe guardando il cellulare, Tocca andà al Tribe.
Quanto tempo che non ci vado. Non è che muoia dalla voglia ma vabbè dai, poteva annà peggio. Pensate se ce toccava l’Atik, dice Zanna mentre io metto la freccia e penso tra a me e me che se mi ricordo bene dove si trova il Tribe a quest'ora parcheggio lo troviamo domani.
Perché che c’ha di male l’Atik?, chiedo.
Ma se po’ sapé ‘ndo vivi? Ogni tanto te giuro che me lo chiedo. Ormai non ce puoi mette piede senza becca’ qualche Artista.
A proposito d’Artisti, ma lo sapete che stasera beccamo er Guelfo Grigio?
Vabbè mica fa più l’Artista lui, ora è un Elitario.
Poco più avanti c'è il semaforo con la Serenissima. È verde, ma comincio a scalare. Me becco un par de vaffanculo ma va bene così.