-
PROGETTI EDITORIALI
-
PRESENTE 2021
-
LE NOSTRE VITTORIE
La redazione under 25 più grande d'Italia
Abbonati Accedi
Mercoledì 30 Settembre 2020, ore 19:11
Parcheggio vicino al palo della luce, o meglio ci lego il motorino attorno, ma fa lo stesso. Mi avvio con il casco in mano, poi me ne accorgo. Torno indietro e lo attacco alla sella che non voglio altri impicci. Si accende la luce in alto ed è arancione. Controllo l’ora perchè mi sembra prestino per l’illuminazione, come se fosse compito mio giudicare, ma guardandomi attorno mi ricordo che se è buio è lì che l’uomo interviene, in questo caso il tizio che spinge il pulsante per accendere tutti i lampioni de Roma. Può anche esse che siano automatici, che si accendano da soli, e che quindi l’omino, se mai esistito, ora se trovi senza lavoro. Forse stava già pensando alla pensione quando duecentomila anni fa hanno abbandonato il caro vecchio pulsante. Ma allora pensa quelli a cui lui ha rubato il posto, quelli con il bastone dalla punta incandescente e le lampade ad olio. Forse quando è stato il turno suo di lavorare avrà mandato a casa i vecchi lampionai, che puzzavano di benzina e avevano le mani nere di grasso. Mandati a casa da un pulsante. Rimpiazzati, ma con le mani che gli avranno puzzato finchè hanno campato. Ci sarà stata una rivoluzione vera e propria, con la nuova elettricità priva di odori e gli oli che non hanno mai avuto chance di difendersi, antiquati e poco pratici come erano, e sticazzi del tipo di luce, del colore, del vecchio col bastone e una borraccia piena di benzina. Magari se l’ala Nostalgica dei Palazzinari prenderà veramente il comando come sembra, magari in quel caso si tornerà di nuovo al lampionaio e alle mani sporche. Marco Aurelio sarebbe felice, ma forse sarebbe ancora più felice se tornassimo al fuoco. Cambridge taglia i cavi dell’elettricità, Efesto > Edison scritto sui muri di tutta la città vecchia. Non sarei sorpreso di leggere una cosa del genere tra qualche giorno, saprei che avrà trovato sudditi anche là. Quanto rido se trovo ‘sto libro. Quanto rido.
Mi giro una sigaretta. Vicino al mio palo della luce ce n’è un altro, e poi un altro, e un altro ancora, in una fila di biciclette e motorini legati che porta fin su al Mercatino, tra i portoni degli uffici e le serrande abbassate a metà, i sampietrini e il marciapiede e le persone che ci camminano sopra, dirette giù verso via Nazionale e ancora più in là verso la fermata della metro. Per Via delle Molte Scritture nessuno parla, e nonostante la ZTL aperta passano poche macchine. Mi incammino controcorrente e mi sposto in mezzo alla via, cercando di ricordare la prima volta che sono entrato dentro ‘sto posto, fallendo, perché al momento manco l’ultima mi viene in mente. A grandi linee riesco a rivedere gli spazi stretti e le pile su pile di pagine e polvere, l’impressione di essere al chiuso in un luogo tecnicamente all’aperto, i venditori in trincea dietro le edizioni più mega-iper-introvabilissime-della-storia-forever che hanno solo loro e che sicuro non trovi da quello de fronte. A me basta che abbiano un’edizione sola, o che almeno qualcuno sappia de che sto parlando. Conoscendo Marco Aurelio, restituendo il libro poco prima di partire avrà donato al venditore qualche gadget Stoico, una miniatura di lui a cavallo, un poster, che ne so, per renderlo evidente, un’investitura a luogo di pellegrinaggio per i posteri. Eccome qua, il primo pellegrino.
Alla fine della salita, come a ingoiare i sanpietrini della via, c’è un capannone di lastre di latta, con travi di ferro usate come assi e stipiti, come colonne in pratica, piantate per sorreggere un tetto a punta fatto da lamiere troppo più basso delle norma. Da fuori il mercatino sembra essere un ammasso di ferraglia verde in disperato bisogno di una riverniciata, de ‘na mano de antiruggine, de qualsiasi cosa; un bunker, un ex hangar urbano del primo dopoguerra punico, perchè l’impressione è quella di avere di fronte una legione romana schierata a testuggine, aperta in qualche punto ma per il resto difficilmente perforabile. Nessun venditore si affaccia all’esterno, e quindi tra una colonna e un’altra, lungo tutto il perimetro del Mercato, quello che si vede è il retro delle bancarelle, un susseguirsi di lamiere de latta verde con dei volantini attaccati dove la vernice ha retto meno — poi il tetto è basso e i banchi so’ alti, e tra il soffitto e l’ultimo libro rimane quindi solo uno spazio piccolissimo, l’unico punto debole della testuggine. A questo bisogna aggiungerci che l’entrata è una, stretta e chiusa da una porta di legno con l’insegna in alto e una tabellina con gli orari appiccicata con lo scotch.
Dallo spazietto in alto fuoriescono le luci del turno serale, e devo dire che almeno hanno fatto un bel lavoro a mantenere l’arancione dei lampioni. Si sentono anche dei suoni, rumori di scatoloni trasportati e chiacchiere, e nel silenzio fa strano perché le voci sono amplificate. È sera e tutti stanno tornando a casa, tranne me e i venditori di libri. Pure i lampionai sarebbero sulla via di casa, pronti a lavarsi le mani. All’omino del pulsante invece le mani non avranno mai puzzato. Sicuro ce teneva, le trattava bene. In fin dei conti ce lavorava con quel dito. Pensa lui però, come deve essersi sentito quando gli hanno detto Bello te mannamo a casa, da domani non ce servi più. Pensa essere così importante che te sostituiscono col niente. Almeno i lampionai oltre al grasso sulle mani avevano avuto un qualche tipo di rimpiazzo, lui manco quello.
Alla fine c’è gente messa peggio de me, finché non me puzzano le mani de benzina, sia chiaro, si vedrà poi quando cominceranno a lavarsi a fatica.
Mercoledì 30 Settembre 2020, ore 19:38
La tomba de Tutankhamon, quando l’hanno aperta, a confronto era un aerosol.
Millenni di decomposizione organica, erosioni, polveroni e maledizioni, eppure so’ sicuro che il tizio che ha rotto il sigillo avrà respirato aria più fresca di quella che stavo a respirà io fino a qualche momento fa. Che non è solo il ricircolo d’aria a mancare, è proprio l’ossigeno, rarefatto che manco Sette Anni in Tibet; e le pagine dei libri, milioni di pagine una sopra l’altra, cementificate ormai da muffa e umidità e diventate un tutt’uno con il luogo, tipo stalagmiti e stalattiti, che non sai se quella che hai davanti cresce dal basso o pende dal soffitto.
In allerta, ma neanche troppo, tra le colonne di carta e quelle di stagno, c’è qualche persona di cui si vedono solo i capelli. Quando una ventina di minuti fa sono entrato, il ciondolo dietro la porta li ha fatti sbucare tutti, capelli e teste e occhiali affacciati oltre il loro orticello a vedere l’intruso alla fine del corridoio. Passato lo shock iniziale se so’ belli che scordati de me, e ognuno è rintanato, tornando alla propria declinazione di nullafacenza, al passatempo preferito, il che a me andava bene, mai stato un amante di conversazioni con capocce senza busto, considerando anche le rotture de cojoni recenti — e il libro poi, sempre dando per scontata la sua esistenza, beh ‘sto libro sarà pubblicizzato no?, pensavo, se io fossi il possessore lo sbandiererei ai quattro venti, rispettando sempre lo statuto di segretezza 007 stilato da Marco Aurelio su pergamena, ma comunque farei presente alla clientela di esser stato il banco dove la leggenda ebbe inizio, Marco Aurelio cominciò qui la sua carriera, prima tappa del pellegrinaggio. ‘Sto cojone, non ce voglio ripensà.
E poi la storia del gadget Stoico, ero sicuro che il prescelto avesse un vessillo di rappresentanza, e su quello non me so’ sbagliato più di tanto, perché il primo banco appena entrato sulla sinistra aveva in bella vista, a mo’ di tendina sopra la cassa, una tela con una S rossa dipinta, e allora me so’ detto Tana per Marco!, e invece no, manco pe’ niente, perché una volta lì davanti scopro che la stessa tela sputata ce l’aveva anche la dirimpettaia, e il vicino di banco, e quello dopo, quello dopo ancora, pure quello in fondo alla fila, che la teneva legata all’estremità di una canna di metallo pronta a sventolare alla prima folata, e così via per tutte ‘ste cazzo de bancarelle lungo tutti i cunicoli de ‘sto dungeon de merda. S de Stoico.
Ho girato per un po’ in cerca dell’opposto, di qualcuno che non spiaccicasse in faccia al mondo il proprio Stoicismo, di qualcuno che avesse tirato il sasso e nascosto la mano. Ma niente, ‘sta cazzo de mano la tenevano tutti in bella mostra, tutti coraggiosi là dentro. Vedendomi passare più volte davanti alla propria bancarella, qualche venditore di quelli più intraprendenti si era finalmente deciso a vende qualcosina, e chiedi là, chiedi qua, Conosci Marco Aurelio?, E certo che lo conosco, non la vedi la S?, Ah sì, la S di stronzo intendi?, e passa al prossimo perché quello ormai me lo so’ bruciato, e quindi Cerchi un libro in particolare?, Sì ma ancora non so quale? Almeno sai che genere? Il genere esatto non lo so, posso dare un’occhiata alla sezione proibita?, Ma se può’ sape’ che cerchi?, Ma sì, ‘na classica roba alla lavaggio del cervello, der tipo leggimi-e-rincojonisciti?.
Ma la ricerca ha fruttato poco o niente, e quindi ho deciso de uscì un attimo a fumamme la sigaretta che m’ero girato appena sceso dal motorino. Sono dieci minuti che non entro, me ne sono già fumate due.
Stasera fa quasi fresco, forse al ritorno me ne pentirò, ma dopo venti minuti di apnea là dentro manco la Siberia me basterebbe.
La S de Stoico.
Da dentro continuano a venire voci, ma nessuno parlava quando c’ero io. È del tutto buio ora. Mi appoggio con una mano ad un palo e guardo in alto verso la lampadina, come se chiama quel coso?, lumino?
La S de Stoico, e il libro col cazzo che l’ho trovato. Quello sta a Cambridge a taglià i fili della corrente e io il libro col cazzo che l’ho trovato. Manco l’ho cercato se può dì.
Dall’altro lato della strada, un venti metri più giù, un signore spegne le luci del negozio. Da sotto la saracinesca chiusa per metà esce una ragazza, che l’uomo saluta con una mano prima di spingere la saracinesca con un piede. Si tira su il colletto e si avvia anche lui giù per Via Delle Molte Scritture.
Butto la sigaretta per terra e infilo la mano nella tasca di dietro per prendere il tabacco.
La S de Stoico, e il libro non l’ho manco cercato. Rientro e che gli dico? La storia de Marco Aurelio sul plenilunio, o quella della vocazione?, quella del l’ho letto in una notte?, o quella dei due mesi che ha impiegato per via della complessità? Posso accennare alla lunghezza biblica di questo libro, magari può aiutare a farsi un’idea, e se non lo capiscono allora posso dirgli della brevità dell’opera e della potenza di ogni singolo capitolo. Posso nominare le nazionalità dell’autore, quella Libanese, Turca, Islandese, Neozelandese, Calabrese che ha vissuto sempre al Nord, Romana, Latina, Frosinone. Forse dovrei dirgli che è un classico, su questo er fenomeno si era sbottonato abbastanza, in qualche società lo sarà di sicuro, un classico moderno però, neo pubblicato a quanto si direbbe, essendo stato lui il primo a leggerlo, non so come, avendolo comprato qua dentro.
Dalla salita arriva prima la voce, Te chiamo dopo, e poi Maurizio Carlino, il SuperStoico tecnologicamente autonomo, che appena mi vede se sbriga a infilà il cellulare nel taschino de quel camicione che non se toglie più. Mi fa un saluto con la testa. Io je lo faccio di ritorno, e lui gli ultimi dieci metri fino alla porta li fà mezzo correndo, Bel cellulare, gli dico prima che sparisca all’interno.
La S de Stoico, e io manco so se ‘sto libro esiste oppure no, se c’ha preso tutti per il culo, se è meglio andà via.
Dalla grata sotto ai miei piedi sale il casino allucinante di una metro, una sorta de lamento metalmeccanico dall’oltretomba — una metro talmente veloce da non avere le carrozze, fatta di terra che trema, luci e rumore, metallo su metallo, next stop Repubblica, left side exit. La gente però riesco a vederla in quei dieci secondi, tra una fessura della grata e l’altra, appiccicata e incazzata che torna a casa, e nessuno che se guarda in faccia, i più fortunati seduti e gli altri che se arrangiano. Forse è lì che sta la città stasera, incapsulata e sparata verso casa, magari ce sta posto pure per me, che vicino a ‘sto lampione fa quasi freddo. Sfilo l’accendino dalla tasca e faccio per accendere la sigaretta. Nel portarla alla bocca noto una macchia nera che parte dal filtro e a quanto pare arriva fino al palmo della mia mano sinistra, quella che avevo appoggiato al palo, ora sporco de’ ‘na strisciata di grasso così densa e nera che pare un tatuaggio. Basta, va bene così. M’avvio.
Hai sbagliato domande, stellina, dice una voce dietro di me e io smetto di camminare.
Mi giro. Fuori dalla porticina di legno, appoggiata, c’è una donna, una signora, con una sigaretta in mano e lo sguardo fisso su me. Una signora, che indossa un vestito lungo e porta i capelli sciolti e due pendenti alle orecchie.
Di solito fumo dentro, ma stavolta ho fatto n’eccezione. Avevo come il presentimento di trovarti qua, dice, e si avvicina.
Che intende con le domande?
Ma sì, tesoro, quella roba là. Dico quella scenata che hai fatto dentro, stellina bella. Lavaggio del cervello, S de stronzo e reparto privato, com’è che hai detto?
Sezione proibita, dico io. Perché, che avrei dovuto chiedere?
Amore, è semplice, dovevi solo entrare, farti un giro se t’andava, certo, e poi chiedere di Eugenia, e tutto sarebbe andato liscio. Non ti saresti incazzato inutilmente, ti saresti evitato qualche parola alle spalle, e a quest’ora potevi già stare a casa.
Nelle narici una combinazione di fumo e incensi, e lei è talmente vicina che se fossi un esperto potrei distinguere la marca e l’anno di produzione dei suoi preferiti.
Sempre che poi non ti andava di rimanere, riprende, guardandomi.
Vabbè, dai, ho capito. È stato un piacere signora, e ricomincio a camminare verso la discesa.
Gliel’ho venduto io il libro a Marco Aurelio, sai? A Marco Aurelio, e anche quello prima. Come te chiami te?
Sal, dico girandomi
‘Namo Sal, viè dentro che te faccio vede.
Mercoledì 30 Settembre 2020, ore 20:00
La sua bancarella è diversa dalle altre. Sebbene l’ingresso sia vicino e visibile senza problemi dalla sua postazione, per qualche motivo non è vero il contrario — forse per ragioni di prospettiva, o profondità, o per uno scarsa visibilità generale, boh — tanto che nella mia perlustrazione precedente devo essece passato di fronte senza accorgermene. Pure lei espone il simbolo di appartenenza, la tela con la S ben distesa sopra la cassa, ma se quello che mi ha detto fosse vero non potrei darle troppe colpe. Ciò che distingue il suo banco dal resto è la presenza di libri più o meno recenti, sistemati nel consueto equilibrio verticale, ma in maniera tale che queste installazioni cartacee non diano al cliente l’impressione di trovarsi di fronte a qualche tipo di rudere sedentario, bensì ad un organismo vivente e mutabile, dallo scheletro delicato, quello sì, insomma, me sto a incartà, quello che intendo è che se uno vuole tirà fuori un libro singolo da una delle mille pile, lo può fare, e se ce mette un po’ d’attenzione può anche esse che non se faccia male.
Si siede sulla seggiolina e mi fa segno di guardarmi attorno, poi si piega per prendere uno dei gattini in ceramica che era caduto per terra. Lo tira su e lo risistema al suo posto tra gli altri gattini vicino ad una scatolina di incenso e una bottiglietta di chinotto.
Come mai lo cerchi?
Sono un grande ammiratore delle opere del Marco Aurelio. Mi piacerebbe sapere di più sulla sua formazione…culturale. Etica. Sociale. Idealogica.
Ah sì?
Eh già.
Senti stellina, te l’ho già detto che ‘sto tono qua dentro non funziona, dice, e ha gli occhi fissi su di me e un sorriso a bocca stretta che le va da orecchio a orecchio.
In verità mi ha detto che le domande erano sbagliate, mica er tono.
Sono la stessa cosa, amore. Tra qualche anno capirai.
Ok.
Leggiti questo, mi dice alzandosi per estrarre un libro da una pila. Tiè, e me lo tira.
È questo il libro? Lo rigiro tra le mani, non è molto grande. Manca er titolo però, e pure qualche pagina, dico io.
No, non è questo. Te pare che te lo tirerei così. Questo se chiama Non me devi raccontà fregnacce, è una lettura molto educativa.
Appoggio il libretto sul bancone.
L’ho scritto io, sai? L’ho fatto leggere a tutte le persone della mia vita. Ce ne fosse stato uno che l’abbia capito.
Sarà scritto difficile.
Perché lo cerchi?, riprende dopo un po’.
Te l’ho detto. Sono curioso.
Che sei Gemellli?
Mo’ questa me chiede pure la mano. Je darei quella sporca in caso. No, non me pare, je dico.
Quando sei nato?
Serve anche il passaporto per comprarlo ‘sto libro? Devo avere l’autorizzazione scritta? Magari firmata e inceralaccata da lui?
Mesà che sei Toro.
Da quel che so potrei anche esse tutta la fattoria.
Wow. Va bene amore, ora vai và. Torna a casa.
E il libro?
E i toni?
Ma scusi ma ha cominciato lei.
Ma te non sei nella posizione, tesoro.
?
Sei te che vuoi il libro. E sono io che posso decide se dattelo, e nel dirlo si accende una sigaretta, oppure no. Non mi guarda più ora. Dietro di lei, appese su di una libreria, ci sono delle lucette colorate, e sulla mensola sottostante c’è una lampada ad olio.
Voglio capire come un cojone come Marco Aurelio possa aver fatto successo.
Bene, dice lei aspirando, ce voleva così tanto?
Ma scusi, ma non può semplicemente darmi il libro?
Lei fa per rispondere ma io la interrompo subito, Non voglio fare il polemico o niente, so’ solo curioso.
Allora lo vedi che sei Gemelli, e mi raggiunge nel corridoio del Mercatino, Non posso che no, ci sono delle regole. Vedi?, e indica una spilletta sulla spalluccia del vestito, ancora ‘sta S.
Gli Italiani sono poco Stoici, non leggono, e i Romani ancora di meno. Certe amicizie so’ più che mai importanti, dice, e io a ‘sto punto me chiedo solo quanto manca al colpo di stato, ‘na Marcia Stoica pt.2, un Golpe Stoico.
Un tizio a cavallo con una schiera di camicioni marcia su Roma e arriva al Campidoglio! Artista immortala su Instagram Marco trionfante al centro della piazza. La foto è virale!
#NoFilters #BeLikeMarco #L4L #Stoico #2k20
No, certo, tutto chiaro, dico io.
Chiaro no? Vabbè passiamo alle cose formali.
Torna dietro il bancone, spegne il mozzicone, e per un po’ sparisce dietro i libri. Riappare poi con un foglio ed una penna.
Allora tesoro metti nome e cognome quì, una firmetta qua sotto, data lì, e per piacere se puoi scrivere il motivo della tua visita.
Che fine farà poi ‘sto foglio?
Vedi là, e mi indica una colonna di cartelle alta quasi fino al soffitto, Appena raggiungo una buona quantità di pratiche punto a finirla.
Famo finta de credece. Firmo e le restituisco tutto.
Ah tesoro, mi sono dimenticata, dovresti specificare il Clan di appartenenza.
Marco Aurelio lo sa, non penso ci sia bisogno di scriverlo.
Lei mi fissa, Mai pensato di abbandonarlo?
Mai.
I tuoi compagni sanno che sei quì?
Volevo dirglielo, ma mi sono scordato.
Ok, capito, mi dice, e infila il foglio in una cartella senza abbassare lo sguardo. Da sotto alla tastiera del PC ne sfila un altro. Lo porta vicino agli occhi e si schiarisce la voce.
Con la presente, io, Eugenia Wallace, ex A.d degli Scribacchini, mi impegno ad informarla, nel pieno delle mia capacità mentali, fisiche, spirituali, ed extrasensoriali, e con un certo dispiacere, si figuri, l’importanza del cliente è per me la priorità, che il libro che Lei sta cercando, purtroppo, e ancora me ne rammarico, non è reperibile, né qui, né nel Mercatino, e neanche su Amazon. Per di più, la esorto a desistere nella propria ricerca. La esorto in primis come amica, e in secundis come conoscente. Nessuna copia del libro è in circolazione, sprecherebbe solo tempo. Il titolo del libro rimarrà ignoto.
Non si faccia troppe domande ma si dia delle risposte, in amicizia, l’autrice del libro.
Alza lo sguardo dal foglio e sorride, Mi dispiace, è la procedura. Potessi decidere io la renderei più corta, ma sai com’è la burocrazia, poi quella Stoica soprattutto, che te ne parlo a fare.
Fai sul serio?
Che intendi?
La lettera e tutto.
Sì, l’ho scritto io il libro, mi ha preso più tempo degli altri, ma vedendo il successo ne è valsa la pena, che ne pensi?
Senti ridamme quer foglio che m’hai fatto firmà.
Tesoro, mi dice, Mi dispiace ma non posso.
Vabbè bella. Mi giro e me ne vado, vaffanculo a te agli Scribacchini e a ‘sto libro de merda che non esiste.
Nessuno però mi vieta di venderti il libro che Marco Aurelio cercava quel giorno.
Aridaje.
Glielo aveva consigliato un ragazzetto con gli occhialoni che spesso me viene a trova qua al Mercatino, e quando me va anche su fino a casa. Fu proprio a casa durante una delle tante sigarette canterine che, a difese abbassate, gli dissi di aver finito di scrive ‘sto libro. Gli regalai la prima copia ma dubito lo abbia letto. Quel che so è che un par de giorni dopo s’è presentato qui per ringaziarmi e per riconsegnà il libro, Bellissimo, m’ha detto, Ma ho poco spazio in libreria. Mi disse che lo avrebbe consigliato — sulla fiducia, suppongo— ad un suo conoscente, un Aspirante Fallunnone mi pare lo chiamò. E quando gliel’ha consigliato, Marco Aurelio c’ha creduto sulla parola, ed è subito venuto qua chiedendomi de ‘sto libro. All’epoca era abbastanza diverso da ora, così decisi di non venderglielo. Non mi sembrava il tipo. Gli diedi un altro libro, e a quanto pare il lavoro mio lo so fà bene.
E a me invece lo venderesti per pietà?
Ehh quanto sei permaloso, dice, e sparisce nuovamente dietro i libri. Poi ne sbuca fuori con un altro libro dalla copertina rigida rossa. Saranno al massimo cento pagine, forse meno.
Viè qua, prendi questo, e me lo passa. Come quello di prima, neanche questo ha un titolo.
Te me sembri più svejo de Marco, mi dice, Forse lo saprai sfruttà mejo. Per quell’altro non te ce avvelenà, non è quello di cui hai bisogno. Cambià vita è più difficile di costruirne una nuova.
Per questo non lo faccio.
Ok, come dici te. Leggilo però, e damme trenta euro, mi dice sorridendo.
Articolo di Federico Guida