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Colloqui con te stesso
Ep. 6
di Federico Guida
Roma, Venerdì 8 Gennaio 2021, ore 01:16
Esce di corsa senza voltarsi e sbatte la porta dietro di lui. Il vicolo è buio e silenzioso e freddo e lui indossa un cappotto col bavero rattoppato sui gomiti. Un’altra chiusura, la quinta di fila in questa settimana.
Fuori piove, l’omino del meteo c’aveva preso. Di riflesso si volta a controllare dietro e accelera il passo. Di bar aperti ce ne sono una manciata nel tragitto tra la stazione, camera sua e Via Delle Sedi Laiche, ma a quest’ora nessuno può più vendere ciò che cerca, e di caffè non ne ha proprio voglia. Si dirige lo stesso verso la nuova caffetteria Scandinava, quello che fa angolo aperto 24h, arredato scandinavamente e con prezzi altrettanto nordici. Ha voglia di tavoli di legno e odore di compensato unito a tè alle erbe. Se di alcool non se ne può avere, sente almeno il bisogno di caldo e discrezione. Cammina lungo i muri dei palazzi con l’intonaco giallo ocra, azzurri a quest’ora della notte, cercando protezione dai balconi. I lampioni colorano i marciapiedi e i sampietrini circostanti, e la pioggia cade e ticchetta un ritmo cadenzato sul metallo delle lucerne. Ora aumenta d’intensità, e Maurizio accelera. Da dietro provengono rumore di passi. Si volta, non c’è nessuno. Accelera ancora. Un paio di metri più in là i sampietrini si aprono in un cratere che è ormai riempito dall’acqua. Quando ci arriva vicino fa attenzione e ci passa di lato. La pioggia continua a battere sui lampioni. Qualcuno invece ci inciampa, in quella pozzanghera, e il rumore di un piede che affonda nella fanghiglia gli arriva inconfondibile. Non vuole neanche girarsi a vedere, accelera e basta. Sa che lo stanno pedinando. Da tempo pensa di cambiare aria, nuova zona, nuova città, un posto dove lo Stoicismo appartenga ancora al passato. Cammina veloce ora e ha difficoltà a trattenersi dal correre. Gira l’angolo e continua su questa stradina stretta e lunga, una pista d’atterraggio per aerei minuscoli segnalata dai lampioni lungo i due lati, con i palazzi alti e vicini e i tetti che sembrano toccarsi nascondendo il cielo. La pioggia però scende noncurante e ora anche il vento si incanala in questo corridoio, e ormai tra vento e scrosci distinguere il rumore dei passi è diventato impossibile. Da lontano si comincia a vedere la fine della strada e sulla destra l’insegna del caffetteria.
La fine della strada nel vero senso della parola. I piedi di Maurizio vanno da soli, il cappotto zuppo. Si volta ma non vede nessuno. La fine della strada nel senso che finisce e non continua, non dà su niente. C’è un parapetto, ora lo vede bene, ma non ci sono né palazzi a delimitarne la fine né una nuova strada. Come se i sampietrini si gettassero a capofitto in un burrone e Roma finisse con essi, sprofondasse anche lei sottoterra per poi riprendere un trenta metri più in là, dopo un salto nel vuoto, con le strade e i palazzi, con i quartieri e le luci dei lampioni.
L’insegna del caffetteria è bianca e luminosa ed è sempre più vicina. Quindici metri. Una scritta nera in maiuscolo dice The Northern Mug, e vicino alla freccia che indica l’entrata c’è scritto open 24h e Free Wi-Fi. Dieci metri. Maurizio ci arriva di corsa, gira l’angolo dopo la fine dei palazzi, di fronte ha l’ingresso e alle sue spalle il burrone, Via delle Sedi Laiche. Entra e appende il cappotto all’attaccapanni. Il locale è pulito e vuoto. La cameriera dietro la cassa si accorge del suo ingresso e gli fa un cenno con la testa. Gli va incontro senza togliersi le cuffie e Maurizio le fa segno di aspettare. Lei annuisce e torna dietro la cassa e continua a vedere il film su di un portatile che tiene dietro il bancone.
Si siede sulla panca vicino all’attaccapanni e appoggia la testa sul tavolo. Il legno è tiepido. Da dove è seduto vede la pioggia cadere con violenza sulla vetrata per poi arrendersi e scivolare giù in gocciolone. Dall’interno il suono che l’acqua fa nel colpire la porta finestra è dolce e ovattato, e così Maurizio pensa a quanto sia stupido, per la pioggia intende, scendere giù tutta incazzata per poi addolcirsi una volta incontrato qualcuno più duro di lei. Forse bastava trovare un compromesso.
Poi un’ombra. Qualcuno sul lato opposto della strada, vicino al precipizio, fermo sotto un lampione, che lo guarda e la pioggia sembra non sfiorarlo. Ha indosso una cappa che assomiglia ad un mantello, un poncho scuro che scuote prima di sparire nella notte, con una S cucita di dietro.
Esce di scatto dal locale, senza prendere il cappotto e senza dire niente alla cameriera che sembra non essersi accorta di nulla e continua a guardare fisso lo schermo. Troppo tardi, la via è deserta. Si avvicina all’orlo e si appoggia al parapetto freddo e umido.. Tira su la testa e la pioggia lo colpisce senza mostrare compassione. Anche con lui però si comporta come con la vetrata, e gli riga il viso fino al mento per poi cadergli sulla punta delle scarpe.
3.3.21
C’è una scritta in alto che prima non aveva visto. Uno striscione sospeso a mezz’aria, collegato in alto ad un palloncino, un aerostato che assomiglia un po’ ad una mongolfiera e un po’ ad una lanterna cinese; in basso, tramite delle funi, è fissato a delle zavorre sistemate nel mezzo della strada, sul lastricato di Via delle Sedi Laiche. Lo striscione è di grandi dimensioni, e la scritta stampata risulterebbe visibile anche a decine di metri di distanza. È il vento l’unico problema, che stropiccia il lenzuolo e rende difficile la lettura. Poi il vento si ferma e per un secondo Maurizio Carlino riesce a leggere ciò che è scritto vicino a quei numeri intravisti poco prima:
Quando il piacer
di moda tornerà.
Ma che cazzo vuol dire?
Torna dentro e si rimette seduto. Non ci vuole pensare, non ne sarebbe in grado. Per oggi ne ha avuto abbastanza. Finalmente tira fuori il cellulare e va su Facebook. L’hanno trovato. Hanno trovato lui e il suo cellulare. Gli ritornano in mente gli inizi, Marco Aurelio, le sue verità su cui nessuno osava mettere bocca,l’iscrizione al Clan, le prime riunioni. Tutto era diverso, tutto sembrava andare nel verso giusto, nella sua direzione. Forse al tempo qualsiasi gruppo gli avrebbe dato la stessa impressione, ma lui questo non lo sapeva. Ora che ne scappa ci ripensa, ne è valsa la pena?
Sposta lo sguardo in alto, sullo striscione sospeso a mezz’aria. Forse è bene che torni ‘sto piacere.
Roma, Giovedì 11 Febbraio 2021, ore 20:16
Passiamo ora la linea a Silvano per il meteo.
Sì, ciao Roberta. Non c’è molto da dire, il maltempo insisterà ancora per qualche giorno su tutta la penisola. Continueranno temperature basse e rovesci, neve anche a bassa quota nel weekend. Previsti episodi temporaleschi e trombe d’aria specialmente nel Centro, dove è già stata indetta l’allerta meteo. Sembra proprio che di questa pioggia non ce ne libereremo facilmente. A te la linea!
Pensa se ce stava molto da dire allora, pensa Eugenia mentre con il coltello accompagna nel cestino metà della sua cena. Le voci continuano a risuonare all’interno della stanza ma lei non ci fa più attenzione. Dopo avere pulito il piatto fino all’ultima briciola lo lascia in ammollo nel lavandino sotto il cassetto delle spezie, tra sapone e bicchieri rovesciati che galleggiano. Si volta e si appoggia alla macchina a gas. Accende una sigaretta. La cucina e la sala da pranzo sono collegate, ma si potrebbe anche dire che sono la stessa cosa e non si avrebbe torto. C’è un accenno di muro a mattoncini che prova a saparare i due ambienti, alto non più di un metro, con un ripiano di legno dove Eugenia tiene gli incensi e i Gratta e Vinci che non sono ancora stati buttati. Oltre il muretto, il divano è grande e ricoperto da un tessuto verde che al momento non segue i contorni dei cuscini e che avrebbe bisogno di una rimboccata. La finestra alla fine della stanza è rigata dalla pioggia, come lo è da settimane. La pioggia sta aumentando di intensità, e le voci del telegiornale non sono più udibili come prima.
Eugenia spegne la sigaretta. Sopra i fornelli c’è un cabina che ogni giorno si ripromette di ordinare. La chiama la Cabina dei Desideri Introvabili, la chiama così da quando abitava con Ruggero all’altra casa in Via Appia. Stavolta però la teiera la trova più velocemente del solito, ci son volute solo due o tre imprecazioni e una sedia. Ora svita il coperchio e la riempie al rubinetto, poi la sistema sul fuoco più piccolo, accende un fiammifero e appoggia la teiera — agli odori di spezie e incensi si aggiunge una nota di gas.
Fuori continua a piovere. Oggi sembra darci dentro più del solito, forse vuole rifarsi di un inizio settimana sotto tono.
La teiera le fu regalata anni e anni fa da un collega, prima del Mercatino e di questa casa. È rosa, o almeno dovrebbe esserlo. Negli anni ha perso colore. È stata persa anche lei per diverso tempo, da qualche parte in fondo alla Cabina dei Desideri Introvabili, e poi è ritornata come se n’era andata. Eugenia continua ad usarla perchè negli anni gli infusi hanno rilasciato aroma e colore all’interno. Lei sa che non si dovrebbero lasciare le erbe dentro in infusione, per tutta una serie di motivi che ha letto online, salvaguardia del rivestimento di metallo, roba di ph., basicità e corrosione le pare, ma ha bisogno di qualcosa che dimostri che niente è più come prima, né lei, né la casa, né tantomeno la teiera, e insiste quindi sulla stratificazione unisona di tempo e residui, sul bere un tè che non sappia mai di quello del giorno prima — aspetta che la teiera fischi un’ultima volta prima di strappare il foglio dal calendario a fine mese. Ora si allunga nello scompartimento delle spezie e tira fuori un barattolino di vetro con una targhetta appiccicata che dice Erbe. Il contenuto è coerente e non smentisce le aspettative. Ci infila una pallina in metallo che assomiglia ad una palla da biliardo. È retata e l’interno è vuoto. Era vuoto, perché ora Eugenia l’ha riempito con una cucchiaiata di erbe trinciate e pressate, asciugate insieme affinché gli odori dell’una diventino quelli dell’altra, per legittimare l’universalità dell’etichetta di Erbe dell’Himalaya che Renato le aveva consigliato all’Emporio.
Fuori piove ma sembra che piova anche dentro. Tuoni e vento forte, l’allarme di una macchina parcheggiata, volantini che vengono spazzati via da sotto i tergicristalli, delle bottiglie di birra che rotolano e sbattono sul marciapiede e si frantumano in mille pezzi, i locali chiusi, giù nella strada, e le luci dei lampioni che si sforzano per illuminare una città buia e chiusa dentro casa. Dalla sua di casa, Eugenia osserva senza dispiacere. La stufetta è accesa e l’acqua sul fuoco. Le sigarette le ha comprate.
E ora passiamo alla cronaca della capitale, dice la voce dalla TV, Mentre Roma rimane chiusa dietro il chiavistello, in questi giorni di pioggia incessante, è un evento particolare ad attirare l’attenzione dei pochi coraggiosi noncuranti del maltempo. Ebbene sì, alcuni manifesti sparsi lungo la città stanno da stamattina stuzzicando la curiosità dei romani. Servizio di Caterina Sullivan.
Eugenia attraversa la stanza e si siede sul divano, che un occhio alla teiera ce lo può buttare anche da qui. Di solito perde attenzione quando cominciano ad apparire giacche e cravatte, Montecitorio, Bruxelles, o si sente parlare di convegni, presidenti che volano da qualche altra parte, prezzi del grezzo in risalita, tracolli di borse. La prima metà dei telegiornali prevede la TV accesa e il divano sfatto ma vuoto. Verso fine programma, invece, quando il servizio serve a preparare lo spettatore al filmaccio successivo, le storie diventano più interessanti. Fuori la pioggia continua ancora più forte.
È da settimane che i Romani non riescono a godersi la propria città, chiusi dentro casa da una pioggia torrenziale. E che cosa rimane loro, in questo clima di terrore, se non il senso di comunità e aggregazione? Nella notte, tra i vicoli del centro, più precisamente nelle zone limitrofe a Via delle Sedi Laiche, attaccati ai muri e alle porte, ai cartelloni pubblicitari, alle saracinesche dei bar, sono apparsi centinaia e centinaia di manifesti, tutti raffiguranti la stessa cosa. È stato proprio il qui presente Signor Mario ad accorgersene, mentre accompagnava il cagnolino a fare i bisogni. Ce ne può parlare?
Sì, certamente. Innanzitutto volevo salutà Marisa che me guarderà stasera da casa, Ciao amore mio, ‘nbacione! Poi, ecco, sì, insomma, stamattina er cane voleva piscià, io gliel’ho detto Ma che non lo vedi quanto piove ma ‘ndo voi annà? Ma lui continuava a piagne e piagne e a ‘na certa me sembrava la stesse a fa sur tappeto, allora so’ sceso de corsa da sotto le pezze — ‘nsaranno state manco le sei e mezza — ‘nsomma me vesto, scendo e tra me e me penso che armeno me posso fumà ‘na sigheretta in santa pace mentre quello pisciava, e che se Sandrone aveva già aperto, me potevo pure pija rcaffè da lui. Ma quanno te ce arrivo, non me ritrovo er bar chiuso?, co’ sto manifesto appiccicato sulla tapparella, ‘ncapoccione barbuto e co ‘na cosa tra i capelli che me punta er dito? Ma guarda te questo, bastava che ce scriveva ‘chiuso’, ho pensato, e me ne so’ ito. Poi ho girato l’angolo e rivedo la stessa faccia e lo stesso dito che me punta. E così ce faccio caso, e su tutti li pizzi de Roma vedo lo stesso manifesto giallo con il tizio col cappello che me punta er dito. Io ve giuro che non ce stavo a capì niente. Fattelo dì signorina, dentro a ‘sta città so’ tutti matti.
Grazie Signor Mario. Ebbene sì, la Capitale si è risvegliata questa mattina tappezzata da questo signore anziano con il dito indice accusatorio. Un Uncle Sam romano, Zio Samu l’hanno chiamato i bambini del quartiere. Ma rispetto all’immagine tradizionale, questa ha per l’appunto delle fattezze tipicamente neoclassiche. Andiamolo a vedere da vicino. Sì, eccolo qua. Diversamente dalla controparte d’oltreoceano, questo signore come potete notare non ha la faccia burbera e la testa nascosta da un cilindro, ma ha capelli ricci e folti e una barba irsuta e ben curata. E che ne pensate, voi a casa, di questa corona di alloro? Chi potrebbe rappresentare? Alcuni hanno ipotizzato una certa somiglianza con un boss locale, un mammasantissima che va per il nome di Marco Aurelio, di cui si sono recentemente perse le tracce. Altri smentiscono questa teoria per mancanza di prove, o per un neo che dovrebbe esserci e che non è stato riportato. Ultima domanda al Signor Mario, lei che ne pensa, chi rappresenta quest’immagine?
Mah secondo me assomiglia a ‘na statua. Non lo vede che manco l’occhi c’ha. ‘Na statua del tempo dei romani eh, mica quelle d’adesso che non se capisce niente. Er disegno è fatto bene, niente da dì. Secondo me è un poeta antico, perchè non me vorrei sbaja ma quelle due righe scritte là in basso me ricordano ‘na poesia che da regazzino sapevo a memoria. Ma è passato tanto tempo, me potrei confonde. È la scritta in inglese che non la capisco proprio. Mi nipote m’ha detto che vole me, Ai uont iu, ma che vole da me mica l’ho capito bene.
Grazie ancora Signor Mario.
E de che, grazie a voi, ‘nbacio a Marisa!
Eugenia si sofferma sul manifesto, ora inquadrato bene dalla troupe. È la scritta che le interessa:
Quando il piacer,
di nuovo Sal-verà
Una E in maiuscolo è stampata sotto. Vicino una data, 3.3.2021. Le intenzioni le sembrano abbastanza chiare: un invito a unirsi, un manifesto reclutatore. Stanno radunando gente. La E può significare tutto e niente, pensa portando un dito alla bocca senza distogliere lo sguardo dallo Zio Sam neoclassico. Poi si accende un’altra sigaretta.
Come a voler dimostrare una connessione con l’evento dell’aerostato in Via Delle Sedi Laiche la scritta si presenta anche nello stesso font. Il piacere sembra il trend invernale dell’undergound romano. Le persone hanno comunque sia cominciato a porsi qualche domanda su chi potrebbe nascondersi dietro questi manifesti, ma al momento si sa poco o niente. La ditta che si occupa della pubblicità è stata interrogata, e tutto risulta regolare, i manifesti sono stati pagati cash da anonimi. Una strana vicenda che si aggiunge ad un inizio anno se non particolare, quantomeno piovoso. Non resta che aspettare i prossimi risvolti!
Da Roma è tutto, linea allo studio.
Eugenia è ancora seduta e muove tra le dita la sigaretta. Fuori ha smesso di piovere. Si concentra nuovamente sulla scritta. Le pare di aver sentito frasi simili durante qualche chiacchierata a casa sua, un motto simile, pronunciate da una bocca che ne diceva tante, e quindi poteva sbagliarsi, collegare l’inizio di qualche motto con la fine di un altro. Poteva essere tutto, ma ha come il presentimento di non sbagliare. C’è una persona che vuole chiamare, ma stasera aveva da fare, impegni improrogabili, scusa non posso. Lo chiamerà lo stesso.
Guarda fuori dalla finestra. Gli alberi sono fermi, non c’è nessuna turbolenza nell’aria. Fa strano, sembra come se fosse sbagliato.
Sal-verà, perchè il trattino però? Non è che c’ha messo di mezzo pure lui?
Avvicina la sigaretta alla bocca e fa un altro tiro. Guelfo lo conosce, me l’ha detto, dei Bighelloni e di tutto il resto. Non vorrei avesse frainteso il libro che gli ho dato. Un fischio sulla sinistra, la teiera è arrivata a temperatura. Fuori non piove più, è ufficiale. Eugenia si alza per versarsi una tazza di tè. Ha una chiamata da fare.
Roma, Lunedì 15 Febbraio 2021, ore 16:16
Alla fine ce l’hai fatta a richiamarmi.
Sì, sai com’è, tanti impegni ‘sta settimana. Poi considerando le festività recenti, dalle origini più capitalistiche che altro, sì, insomma, ieri, come festa non è che sia tanto radicata nella storia, me pare, giusto?, me pare che l’abbiano inventata quelli che vendevano i fiori, o no?, può esse che me sbajo, aspè non era stata la Coca Cola?, ah no quello era Babbo Natale, vabbè comunque non me ricordo de nessun Valentino così pio da esse santificato, e se non me lo ricordo io vuol dì che non esiste. Esiste ‘sta festa, questo sì, dai dettami economico-sociali ben definiti, convenzioni e combo ristorante-regalo che me spaventano un po’, ad essere sincero, quindi ho preso un po’ de precauzioni e me so detto la richiamo tra un po’.
Stellina bella te sei fatto troppi problemi, troppi film.
No vabbè, ma la ragione principale erano gli impegni. Esorbitanti da quando è finito il diluvio, guarda. Uno che vuole ‘na cosa, altri che pretendono spiegazioni…
Okay
Hai chiamato per vederci? Fammi controllare l’agenda un secondo. Allora considerando quel fatto per domani, quell’altro fatto sempre correlato per dopodomani, giovedì me pare de no perchè—
Ho chiamato per i manifesti.
Ah.
Bel disegno. Bel design anche. Fatto te?
Un’amica. Unita di recente ai Designerz, per l’appunto. Le direttive però le ho date io.
Okay.
Eh già.
Ma che stai a combinà? Che me rappresenta tutta sta platealità? Pure al Tg hanno fatto un servizio. L’hai visto?
Eh, no. Te l’ho detto. Tanti impegni.
Ma i soldi dove li hai trovati?
Altri amici, de Clan ‘sta volta.
Quale Clan?
Quello giusto.
Vabbè senti andiamo al dunque. Ci sta di mezzo anche quel ragazzetto che era venuto a comprà il libro, ve? Sal?
Diciamo che sta in cima più che in mezzo. Io non sono in bella vista, diciamo che organizzo. A proposito, il tre Marzo devi esserci. Si parte dalla Sede Stoica e poi si comincia.
Se parte in che senso?
Diciamo che se cammina. E si inizia, anche, almeno per lui. Ci sarà tanta gente. Ce ne sarà di più se stasera mi dice bene. Ho un meeting con gli Apolidi, li ho quasi in mano.
Ancora li frequenti?
Li ho fondati io, te pare che li lascio senza patria e senza guida?
Okay.
Mo vado.
Senti Guè, ma ci vediamo prima del tre Marzo?
Sì, dai, penso de sì. Certo, ad essere onesto ho un po’ di impegni. Vediamo.
Vabbè.
Ti scrivo io.
Okay.