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Colloqui con te stesso
Ep. 8
di Federico Guida
Mercoledì 29-09-2020, ore 4:55
Un po’ di tempo prima, alla festa d’addio di Marco Aurelio
Prima esco da sto posto meglio è.
Che hai lezione domani?, chiede Ribe.
Sì, ma sti cazzi non è questo il punto. Ce l’ho pomeriggio tardi, gli rispondo. Ho le palle strapiene de sta qua.
Mi alzo dalla sedia su cui avevo speso metà della serata e cerco con lo sguardo gli altri due, che mortacci loro chissà ‘ndo se saranno cacciati. Ma secondo te, gli chiedo, almeno a fumà na sigaretta ce posso anda’ o Marco Aurelio me sgrida?
Ha detto a tutti de aspettà ancora un pochino che poi dovrebbe darci ‘sta sorpresona.
Vabbè correrò il rischio per cinque minuti, se poi nel frattempo decide de liberarci tanto meglio.
Fa come te pare, dice lui.
Io non è che stessi proprio aspettando la sua benedizione, ma vedendo ‘sto locale e le persone che ce stanno, tra Stoici Integralisti, Pizzardones dei Rioni, e mille altri, l’ipotesi di rapimento, o che qualcuno me faccia sparì per qualche minima stronzata è abbastanza elevata. Almeno un punto di inizio per le indagini tocca fornirlo, e in questo caso Ribe sarebbe l’anello mancante tra la noia e la latitanza. Fare in modo che qualcuno possa dì a mamma che ero solo uscito a fumà ‘na sigaretta, che non ce stanno reti fittissime o storie mai rivelate che me connettono con qualche debito irrisolto, famiglia mafiosa, cazzo in culo o che ne so, che per una porco due de sigaretta me se sò belli che giocato. Che in fin dei conti sarebbe ‘na fine misera ma semplice e in linea con la mia vita. Nulla di plateale, magari misterioso, quello sì, un pezzo di cronaca con delle lacune da riempire, e ora sta a voi scoprì come mai qualcuno se possa essè accollato un rapimento de uno che probabilmente non vale manco il riscatto, perché il riscatto ci sarà ma dubito verrà pagato. Galeotta fu la sigaretta, titolone dell’ Eco dei Clan, se solo si fosse deciso a usare il cerotto, tre puntini di sospensione per rende’ tutto bello drammatico. Ma annateveneaffanculo tutti quanti. Ma pure io che me faccio rapì però, devo essere proprio un bel cojone. L’unica cosa buona che c’ho è che so’ alto una quaresima e me faccio pure mette nel sacco da un paio de scappati de casa. Dirò che erano armati, pefforza.
Ma signora Clement—
Signorina, grazie.
Signorina Clementini, ma lei è proprio sicura di aver visto due brutti ceffi incappucciati con rispettivamente — quotando la sua precedente deposizione — ‘na mazza da beisebol e ‘na lama che mortacci sua ce poteva abbatte l’alberi’? Ed è proprio sicura che fosse Mercoledì 20 Settembre verso le 5 di mattina, all’angolo con Via Delle Zoccolette?
Ce posso giurà su mi marito!
Ma scusi, ma come suo marito?
Brava signora slash signorina che depositerà in Polizia. Ma co’ na lama de 20 cm ma io che potevo fa che stavo pure mezzo ‘mbriaco?
Riesco in qualche modo a tornare alla porticina da dove siamo entrati. Lungo il tragitto non ho incontrato nessuno, né il tizio che ci ha fatto entrare, né quello della reception, che sicuramente già stanno sotto le pezze da un po’. Mentre noi che possiamo, tocca aspettare i tempi Biblici del festeggiato, lui e la sua sorpresa. È una porta di quelle col maniglione antipanico, quindi la apro tranquillamente dall’interno e appoggio con calma il cestino dei rifiuti per terra per evitare che si richiuda.
La strada penso non abbia mai smesso di essere deserta in queste cinque ore e probabilmente non lo è mai stata da quando ha aperto ‘sto posto. Tutt’ora sembra continui a mantenere un segreto anche a coloro che in teoria questo segreto dovrebbero conoscerlo. Il lato opposto è rimasto buio ed arrivarci è come nuotare controcorrente. Scopro un portone sull’altro lato che prima non era ancora stata costruito, o forse c’era e non l’avevo visto, e ‘sto portone dà direttamente sulla strada da cui è rialzato da un gradino fatto apposta per far sedere coloro che osano arrivarci. Vado per cercare il tabacco nella tasca di dietro dei pantaloni ma gli astri del cielo e la stella cometa hanno decretato che ce l’ha ancora Zanna. La voglia di fumare è tanta, quella di rientrare poca, e quindi lascio che sia la natura a indirizzarmi. E come nelle migliori sceneggiature, la natura non può che manifestarsi nella sua espressione più nobile, in una camiciona tenuta fuori dai pantaloni, lunga che pare una tunica, o una toga, un accenno di peluria sotto al mento aggiustata affinchè possa ricordare una barbetta, e una corona di alloro che già devi avere un bel coraggio ad indossarla il giorno della laurea, pensa alla tua festa d’addio. Ma se una cosa ho capito è che le apparizioni tocca assecondarle, e non questionarle, per quanto strane o stoiche possano sembrare.
Ti trovo cresciuto dall’ultima volta.
Eh, sì. Ho fatto un sacco de stretching negli ultimi mesi.
Bravo, l’attività fisica è di primaria importanza, dice Marco Aurelio mentre attraversa la via.
Ah sì? E quali discipline sono consentite ai tuoi adepti? Cosa comprende l’offerta?
Ogni tipo di sport, è chiaro. La podistica è quella che mi è più cara, ma anche le altre attività giovano il corpus come poco altro ci è disponibile in questa vita. È la competizione ad essere vietata, Sal.
Bella questa regola. Mi ci vedo a correre come ‘n cojone da solo in pista. Poi al traguardo me do ‘na pacca sulle spalle e mi infilo la medaglia. Come modo per vincere sempre lo trovo poco originale però. Sarà che so’ competitivo, ma fare sport senza avversari ha poco senso. Sarà Stoico, su questo non ci piove, ma è per questo che lo Stoicismo, senza offesa eh, non m’ha mai attirato più de tanto.
È qui che ti sbagli, è la competizione che è bandita, non l’avversario. Io corro per battere me stesso, come ognuno, ogni giorno. Batti il te stesso di oggi e di domani, dice lui.
La sua traversata non ha incontrato correnti avverse, sbandamenti o derive. Dritto al punto, e ora sta vicino a me, attaccato al lampione. La scena fa ride perché con la luce al neon e la vestaglia, Marco Aurelio si mostra in tutta la sua figura come una visione dalla libera interpretazione, chi lo vede come santo, chi come angelo, chi come fantasma de Canterville, chi come un cojone — io rientro tra questi — e chi semplicemente come un disadattato, che ad onor del vero era la mia interpretazione precedente.
Mormoro tra me e me la sua ultima frase perché non può averla detta per davvero.
Aspè, ridimmela un attimo, gli faccio, Che m’hai dato ‘na bella idea pe’ un tatuaggio, un bel lavoretto qua sul petto, che ne dici?
Mi indico il punto dove con un bel font coatto dallo spessore importante me sarei fatto tatuà la stronzata più grande che avessi sentito —sempre in via ipotetica, eh, non voglio spaventà nessuno, se fossi stato uno dei suoi intendo, de quelli più convinti. Sempre che nel giro Stoico sia ammesso tatuarsi, mo m’è venuta la curiosità de scoprì se qualche pazzo m’ha fregato l’idea. Anzi, mo’ glielo chiedo a sto str-
Che ci fai qua fuori?, dice lui anticipandomi e cambiando purtroppo argomento.
Vuoi sapè il piano originale, o quello che poi è successo realmente?
Nella vita ascetica le due cose combaciano. Sono indissolubilmente ed inevitabilmente sovrapposte.
Ti prego, gli faccio mettendomi a ride, Non me puoi dì ‘ste frasi senza preavviso, abbi pietà.
Lui non ride. O gli è vietato — che in quel caso sarebbe autoimposto —, o se l’è presa a male.
Ero solo uscito per fumare, ma ho dimenticato il tabacco dentro.
Ti dirò, dice lui, Non sono sorpreso da questa piega degli eventi. Noi ci conosciamo da molto, Sal, e non mi pare tu abbia mai sconfitto il te stesso di ieri, né tantomeno quello di domani. Posso chiederti come va nella tua vita?
Si volta per un momento per coprirsi la faccia. Poi sento un verso strano, sembra il classico colpo de tosse per coprì, per camuffà. Magari è vietato scoreggiare in pubblico, ma non sembrerebbe questo il caso. Mi pare una risata strozzata, cominciata appena dopo la domanda, come se si fosse dato una risposta da solo, con ‘sta risata de merda, che poi che mi rappresenta?, ‘na presa per il culo?, ma che me faccio prende per il culo così? Solo perché me so’ scordato il tabacco dentro questo se mette a pontificà, rievoca ricordi d’infanzia, ci conosciamo da molto, ma chi cazzo parla così? Ma manco nei film, manco in quelli doppiati male.
Benone, gli dico, perché non saprei come altro rispondere, o meglio, saprei approfondire se mi andasse, ma non mi va. Poi entrerei in materia classificata, roba da semaforo, e a parte ‘sto lampioncino qua non ne vedo di luci, manco quelle delle case, spente ormai, o rinchiuse dalle tapparelle tirate giù.
Decido di alzarmi, che questo m’ha già rotto le palle, e nel farlo sfioro involontariamente la tasche dei miei cargo. Te dirò di più, gli faccio, Mesà che oggi ho pure sconfitto il me stesso de ieri, guarda che t’ho ritrovato, dico indicando il tabacco che non se sa per quale motivo avevo infilato nei tasconi laterali.
Senti, io me vado a fumà ‘na sigaretta, se vedemo dentro tra poco?, continuo mentre comincio ad allontanarmi, Grazie per averci invitato comunque, e buona fortuna a Cambridge.
L’aria per il vicolo è ancora quella da centrale nucleare, pesante e radioattiva, e i sampietrini per terra sembrano sabbia e rendono ogni passo più faticoso. È la gravità che esercita l’entrate del Tribe a non lasciarmi andare, o forse la voce di Marco Aurelio, o meglio, la non voce, ancora non mi ha risposto, ma è come se tutti lo sapessero, le piante, le finestre chiuse, tutti gli oggetti di questo set teatrale del cazzo, tutti lo sanno che da qui a poco mi dirà qualcosa, e l’urgenza e l’attrazione del vicolo sono amplificate da questa nuova attesa di risposta. Io continuo a camminare ma mi sembra di farlo sul posto.
Attendo solo che dica qualcosa per liberarmene del tutto, me la tolgo dai cojoni e via. Spero solo non attacchi un altro pippone.
Posso chiederti una cosa?
E come no, dico girandomi.
Io non ho mai fatto parte di voi Bighelloni. C’ho provato, per anni, dalle elementari, le medie, fino a dopo le superiori. C’erano periodi in cui mi sembrava di essere più vicino a farne parte, momenti in cui mi sembravo uno di voi, il quinto Bighellone. Mi facevo andar bene tante cose. Spero che voi lo sappiate che ero al corrente del perché mi chiamavate solo una mezz’oretta prima della partita di calcetto, perché la macchina toccava prenderla sempre a me. A me andava bene così, perché ero un Bighellone. Un aspirante Bighellone, quantomeno.
Guarda che noi ti consideravamo uno di noi.
Sal, sta’ zitto, non mi prendere per il culo. Fammi spiegare. Io me lo facevo andare bene perché pensavo di condividere i vostri stessi ideali, che nessuno la pensasse come voi, come noi. Poi lessi un libro. Non ti dirò tramite cosa o chi sono arrivato al libro, ma ti dirò che è stato lì che ho capito. Mi domandai, ma qual è il nostro ideale, il loro ideale? Ma in fondo, in cosa credono questi che me fanno mette la benzina a me, che me dicono che me li ridaranno i soldi e poi non lo fanno, che me chiamano quando gli fa comodo, che dicono che è così che tocca vivere la vita, che alla fine, in fondo in fondo, va bene così anche trattare male gli amici. Lessi il libro e capii, e decisi di abbandonarvi perché dovevo prendere in mano la mia vita e perché ve lo meritavate. Anche se non penso che sul mio addio ci abbiate versato molte lacrime. Mi ricordo la tua reazione. Vabbè, daje. In quel momento seppi di aver fatto la scelta giusta.
Col tempo il mio ideale l’ho trovato, l’ho perseguito, e ho avuto successo con esso. Una cosa però ancora non mi è chiara, e ci ho pensato tanto in questi ultimi tempi, tra un successo ed un altro, quando non sono sommerso da urgenze. Nel mio ufficio ogni tanto mi ritrovo a domandarmi in cosa crediate, veramente. Quale fosse l’ideale che pensavo di condividere con voi. Cosa vi contraddistingue? Uno potrebbe dire la pigrizia, e tutta la serie di sinonimi, indolenza, negligenza — ma non penso sia possibile. Dovrebbe esistere qualcosa di più profondo, un minimo comun denominatore che sfoci in queste manifestazioni che ho appena elencato, ma che alla base abbia un fondo di sostanza. Altrimenti, chi, in piena facoltà mentale, sceglierebbe di sprecare la vita? Chi sceglierebbe di lasciar le redini e vedere la propria vita andare alla deriva? Perché è questo quello che stai facendo, Sal. E io mi chiedo, come tu riesca a star seduto, ad osservare da lontano il successo, la realizzazione personale, scivolare via senza che tu muova un dito. Senza nemmeno provarci. Anzi, impegnandoti a non provarci. Qual è questo credo così radicato in te che ti obbliga a essere paralizzato e passivo e a non voler prendere in mano la tua vita? È per questo che vi ho invitati, per chiedertelo, perché siete un caso curioso per me, perché non capisco né voi, né riesco ormai ad identificarmi nel me stesso che batto ogni giorno e che tentava in ogni modo di far parte del vostro gruppo. E anche perché mi fate anche una considerevole quantità di pena.
A noi, non lo so. Non lo so. A noi a bene così, ecco.
Non ci credo, non me venì a dì stronzate a me, a Marco Aurelio. Sono sicuro che voi non siate stupidi. Ho fatto ricerche su ricerche in questi mesi. Controllato biblioteche, addirittura quella dell’Alessandrino, incontrato professori, esperti, guru, eremiti, consultato pergamene e sezioni proibite, infranto leggi, diciamo, etiche e sociali. Ho perfino cercato su Google. Ma niente, tra la polvere non ho trovato niente che me lo spiegasse. Per un po’ ho pensate che foste dei Nichilisti, sì, dei Nichilisti camuffati che agivano come credevano, nel niente. Ma controllando sull’Almanacco, e chiedendo anche ad altri capiclan, ho realizzato che non esiste un Clan Nichilista a Roma. Allora ho scartato quest’opzione, perché in quel caso avreste potuto fondare voi quel Clan, se fosse stato quello ciò in cui credevate — o non credevate, vabbè, questo è ancora da capire.
Mentre parlava ha percorso la distanza che ci separava, e ora me lo ritrovo davanti, che parla agitando tutto il corpo. Poi si calma, mette le braccia conserte, e inserisce le mani ognuna nel polsino opposto della tunica. Fa un respiro e chiede, Siete o non siete Nichilisti?
Ma chi, noi? Boh no, non mi pare. Forse… che te devo dì?, e intanto lui si mette a ride, ride che gli manca il fiato, ride senza tossire, senza nasconderlo, senza vergogna.
Come immaginavo, dice. La voce acuta, quasi uno strillo, E pensare che senza quel libro sarei ancora un fallito come —
Poi si ferma, si irrigidisce e sbarra gli occhi per un momento. Dammi un minuto, dice, e chiude gli occhi. Respira lentamente, espirando dalla bocca. Sono dei respiri profondi come le stronzate che ha detto. Con le mani sepolte tra le pieghe de ‘sto camicione. Io gli sto davanti e osservo e non è vero che sto sprecando la mia vita, che non ne sono in controllo, sono modi di intenderla, penso, o no?, Sì, dipende da come la prendi. Non sono Nichilista, questo lo so. ‘Sta cosa l’avevo già sentita da Loretta, l’amica de mi’ madre. Qua fa un po’ caldo. ‘Sta sigaretta manco me va. E se non succede? Se sono immobile e tutto il mondo intorno a me è in movimento, di conseguenza mi muovo anche io? Relatività, no? No. Forse. Ma muoversi è positivo e stare fermi non lo è? E chi l’ha detto. Osservare o prender parte? In macchina preferisco non guidare, ma questo che c’entra? Fa caldissimo. Ho anche sete. E questo che sta a fa mo, perchè s’è seduto per terra, ma che sta a succede?
L’aria è ancora più densa, puzza, puzza de notte e de silenzio. Perchè non ci sono rumori, manco le luci ronzano. Tutto è fermo e Marco Aurelio sta a medità, e io c’ho caldissimo qua fermo, e mi gira la testa, e non è vero che la sto sprecando, sto all’università, ho fatto due esami l’anno scorso, 22 e 18, ho cambiato facoltà perché non mi piaceva, se mi dice bene posso cominciare a lavorare, la mia vita la decido io, ho ancora voce in capitolo, o no?
Scusa, non dovevo arrabbiarmi, dice rialzandosi, La collera è veleno per la mente. E soprattutto innaturale. Un’ultima cosa, un consiglio spassionato da uno che ce l’ha fatta, a differenza tua. Cerca di essere apatico. Te sei immobile, piantato al suolo, mentre dovresti seguire il flusso della natura. Devi ricercare l’apatia naturale. Segui la natura, non opporti, altrimenti rimani incastrato. Devi capire che tutto è come deve essere, ed esaltarsi, annoiarsi, rattristarsi non serve a nulla. Privati delle passioni, che oscurano la mente. Il piacere è da trovare altrove, nell’adempimento del tuo destino. Se lo trovi ovunque, vuol dire che non hai capito.
Chiude gli occhi nuovamente. Per poco però, li riapre subito.
Volevo proprio parlare con te stasera, perché ti ho sempre considerato il Bighellone meno incline al bighellonaggio. Il più sveglio. Sarebbe la volta buona di sorprendere tutti e darmi retta, che ne pensi? Senza rancore te lo dico. Magari tra qualche tempo parleremo tra pari. Ci vediamo dopo per la sorpresa.
Si volta e si incammina verso la porticina della cucina. Entra e sparisce.
Io sto fermo in piedi e non so se voglio fumare o meno. Poi prendo in mano la mia vita, e decido che sti cazzi, me la fumo, alla faccia sua. Prendo il tabacco dalla tasca. Ho ancora molto caldo e la bocca asciutta. Strappo un ciuffo di tabacco e lo spalmo sulla cartina, inserisco il filtro, giro, lecco, accendino. No, aspè. Mi tasto tutte le tasche. Niente, scherzo. Niente accendino, l’ho dimenticato dentro. Guardo in alto.
Perché non ne sono sorpreso?