Conflitto Russia Ucraina: rischio reale o falso allarme?

06/02/2022

Sono ormai più di due mesi che si parla di un’imminente invasione della Russia in Ucraina, eppure la situazione pare essere stagnante e la pace ancora il solito miraggio: il cessate il fuoco nei territoriali orientali del Donbass – dove dal 2014 imperversa un conflitto armato di bassa intensità – viene violato a fasi alterne. Questa escalation non è, perlomeno per quanto riguarda il solo conflitto russo-ucraino, che una delle tante verificatesi con il “congelamento” della guerra aperta. Ricordiamo infatti che lo scorso aprile si era verificato un simile dispiegamento di forze, puntualmente definito come una delle crisi più gravi dall’inizio del conflitto. Facendo un breve viaggio nel tempo, di queste crisi ne sono state registrate almeno una all’anno: dagli scontri tra le truppe delle autoproclamate Repubbliche Autonome di Lugansk e Donetsk e quelle dell’esercito regolare ucraino, a presunti attentati sventati dall’FSB in Crimea fino allo scontro navale del 2018 nelle acque del mar d’Azov, terminato con la cattura di tre navi ucraine. Dunque sì, il rischio di una guerra aperta esiste (ma non da oggi); ma la probabilità di uno scontro non voluto, “accidentale”, è molto più alta di un intenzionale attacco russo.

Nel frattempo, in Occidente, anche grazie alla stampa, accresce il panico: gli alleati del Patto atlantico inviano armi e aiuti militari a Kiev, riflettono su nuove sanzioni da imporre a Mosca, raccolgono le proprie difese e costringono le famiglie dei diplomatici a lasciare il paese minacciato dai russi. La preoccupazione è tale che lo scorso lunedì 31 gennaio, su richiesta degli Stati Uniti, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite si è riunito per la prima volta al fine di valutare la minaccia russa all’Ucraina. La Russia ha tentato di bloccare lo svolgimento della riunione, accusando gli Stati Uniti di cercare di “fomentare l’isteria” alimentando il dibattito. Ma l’inviato di Washington all’Onu, Linda Thomas-Greenfield, ha ribadito che l’aumento delle truppe di Mosca ha giustificato la riunione, e la mozione della Russia è stata respinta da 10 dei 15 membri, che si sono espressi a favore della posizione di Washington. Nel frattempo, il presidente russo Vladimir Putin mantiene il suo silenzio.

 

Non dimentichiamoci dell’Ucraina

E gli ucraini come stanno vivendo questa crisi? Si stanno preparando a una nuova – ed ennesima – escalation del conflitto che dal 2014 ha già provocato oltre 14 mila vittime nei territori orientali del paese?

Secondo un recente sondaggio condotto da Gradus Research, il 44% degli ucraini è convinto che la minaccia di un’invasione russa su vasta scala sia reale, mentre il 53% degli intervistati ritiene che il governo non stia facendo abbastanza per impedirlo. Tuttavia, non si può parlare di panico vero e proprio nella società ucraina di oggi: la vita quotidiana a Kiev – come anche anche nelle altre città e località ucraine – continua come al solito e le persone sono impegnate nelle loro faccende abituali; non ci sono carenze evidenti di prodotti di stoccaggio a lungo termine o di beni strategici, né gente che si ammassa davanti ai negozi per acquistarli; non ci sono code alle stazioni di servizio, né gente che gira con valigie e compra disperatamente biglietti per scappare dal paese. La maggior parte degli ucraini è rassegnata e preparata ad affrontare l’ennesima crisi in agguato che si gioca tra i poteri forti, ricordando gli eventi del 2014 che ne hanno segnato l’inizio e affrontando nel contempo anche la nuova ondata di epidemia di Covid-19. Una rassegnazione evidente che pesa nell’animo degli ucraini, i quali sono coscienti del fatto che se dovesse accadere qualcosa su larga scala, dovranno sempre e comunque cavarsela da soli: le sanzioni imposte dagli occidentali alla Russia non basteranno a placare l’aggressore, né a respingere gli oltre 100 mila soldati russi allineati lungo i confini. 

Mass media e amministrazioni locali si tengono così pronti al peggio. La settimana scorsa, la testata ucraina Hromadske ha pubblicato un piccolo vademecum che i civili possono seguire in caso di invasione: dal cosa mettere in valigia a come programmare un’evacuazione di famiglia, dal come spiegare la guerra ai bambini a cosa introdurre nel kit di pronto soccorso, dal cosa tenere in casa a come difendersi. Inoltre, dopo una seduta del Consiglio dell’associazione delle città ucraine, presieduta dal sindaco di Kiev Vitaliy Klytčko, è stato istituito nella capitale un fondo di strutture di protezione civile al fine di proteggere la popolazione in caso di emergenze o azioni militari. Il sindaco ha assicurato che le informazioni sui luoghi di rifugio in caso di emergenza sono state pubblicate sui siti ufficiali delle amministrazioni distrettuali e che è stata creata una mappa interattiva della capitale per geolocalizzarli – nelle grandi città, solitamente, i rifugi utilizzati sono parcheggi coperti, sottopassaggi e metropolitane che la popolazione civile dovrà raggiungere al segnale della sirena di allarme prevista appositamente.

Nonostante tutto, il capo di stato ucraino Volodymyr Zelensky ha ripetuto in diverse occasioni di non allarmarsi, invitando i suoi concittadini a mantenere la calma poiché l’invasione russa è iniziata nel 2014 e la minaccia di una guerra su vasta scala non è una novità. Lo scorso 28 gennaio, il presidente ha detto durante un incontro con i giornalisti stranieri che la recente escalation della situazione sta solo danneggiando l’economia del paese, notando come, quando si discute delle questioni di aggressione militare russa, i leader dei paesi occidentali dimenticano il “linguaggio diplomatico” e si sta, perciò, correndo un grosso rischio: “Se fosse guerra, non sarebbe solo tra Kiev e Mosca, ma sarebbe una guerra europea, una guerra vera e propria”, ha fatto notare Zelensky.

Dal canto suo, il ministro degli Esteri Dmytro Kuleba ha ringraziato i partner dell’Ucraina per la solidarietà dimostrata nei confronti di Kiev, esortandoli tuttavia a evitare passi che potrebbero aumentare la tensione nella società e destabilizzare la situazione economica e finanziaria del paese, già nel limbo da diversi anni a causa del conflitto e, in particolare, della controversa costruzione del gasdotto Nord Stream 2. Infatti, Kuleba afferma che Kiev sta soffrendo economicamente anche a causa del panico pubblico creatosi con questa recente escalation e alimentato soprattutto dai media occidentali e dalla recente decisioni dei governi di Regno Unito, Stati Uniti e Australia di ritirare alcuni ambasciatori e diplomatici degli uffici consolari in Ucraina. Altri stati, l’Unione Europea, l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione internazionale (Osce), il Consiglio d’Europa, l’Onu e gli uffici di rappresentanza di altre organizzazioni internazionali e regionali hanno invece riferito di non avere piani del genere, poiché non c’è alcun motivo di farlo. Kuleba, in un’intervista a Vice News, ha dichiarato: “Stiamo già soffrendo economicamente e diventando più deboli a causa del panico che si diffonde nella società. Quindi i mercati e la gente devono capire una cosa: l’Ucraina e i suoi partner stanno unendo le loro forze per prevenire lo scenario peggiore. Dobbiamo tutti rimanere uniti”. Il ministro ha inoltre sottolineato che gli Stati Uniti sono stati molto utili all’Ucraina con il necessario supporto militare ma che allo stesso tempo, alcuni paesi “non stanno facendo quello che potrebbero per ragioni politiche” (pur non specificando a quali paesi si riferiva). 

 

L’internazionalizzazione del conflitto 

Quello che forse distingue la situazione attuale da quelle precedenti è il massiccio intervento occidentale dal punto di vista diplomatico e militare (per ora solo sotto forma di aiuti e invio di truppe nei paesi confinanti). Questo non sarebbe stato possibile se, come ha correttamente affermato il commentatore Fedor Luk’janov, la Russia non avesse deciso di alzare la posta in gioco, schierando nuovamente le truppe sul confine con l’Ucraina e in Bielorussia (teoricamente in vista di un’esercitazione programmata). L’occidente tuttavia, ricorda Luk’janov, ha un enorme vantaggio: il monopolio mondiale sull’informazione, di cui non ha esitato a servirsi. 

Il giornalista russo, lungi dall’essere una figura di opposizione in patria, sostiene che il fulcro di questa escalation non sia tanto l’Ucraina, ridotta a personaggio secondario, quanto le garanzie di sicurezza richieste dalla Russia, facendo riferimento alla proposta di trattato inviata dal ministero degli Esteri alla controparte americana. Fatta eccezione per gli articoli riguardanti il controllo degli armamenti, il trattato risulta essere una serie di richieste inaccettabili: fine dell’allargamento della Nato e divieto per gli Usa di inviare truppe in territori facenti parte dell’Urss e non membri della Nato. Le risposte ufficiali da parte di Nato e Usa, ottenute dal giornale spagnolo El Pais, hanno confermato quanto tutti si attendevano: apertura sulla questione del controllo degli armamenti ma rifiuto di prendere in considerazione le richieste legate all’allargamento della Nato. Se quindi la risposta dell’Alleanza Atlantica non è altro che una serie di richieste altrettanto inaccettabili, quella americana è sicuramente più aperta alla collaborazione sul tema della sicurezza in Europa.

La diplomazia non accenna a fare grandi passi nemmeno sul fronte della questione relativa al solo conflitto russo-ucraino. Il recente incontro dei membri del formato Normandia, composto da Francia, Germania, Russia e Ucraina, non ha portato risultati evidenti e tutto rimane fermo ai già citati e mai implementati Accordi di Minsk (I e II). Questi accordi mirano alla stabilizzazione della situazione in Donbass tramite una serie di misure che, come dimostrato dall’attuale situazione, non sono mai state messe in atto. Negli accordi si parla di cessate il fuoco, costantemente violato da entrambi i lati, scambio di prigionieri, indietreggiamento delle truppe coinvolte, ritorno dei territori separatisti sotto il controllo ucraino e garanzie di status speciale per le regioni secessioniste. Con l’introduzione della formula Steinmeier nel 2019 pareva di essere giunti a una soluzione definitiva: elezioni locali supervisionate dall’Osce, che avrebbe deliberato sulla loro validità. Tuttavia nonostante alcuni passi incoraggianti, tutto si è risolto in nulla. 

 

Negare il coinvolgimento diretto non ha senso

A leggere la stampa russa governativa e filogovernativa sembrerebbe che sia l’Ucraina il responsabile della situazione attuale in Donbass, come se l’annessione da parte di Mosca della penisola di Crimea nel 2014 e l’occupazione indiretta di parte dei territori del Donbass non fossero che responsabilità interamente russa. Allo stesso modo sono poco credibili le accuse di mancato rispetto degli Accordi di Minsk da parte dell’Ucraina, considerato che invadendo il vicino la Russia ha violato il Memorandum di Budapest del 1994. Infatti, in cambio della cessione dell’arsenale nucleare sovietico rimasto sul proprio territorio, all’Ucraina fu promesso che gli stati firmatari (Russia, Regno Unito e Stati Uniti) avrebbero rispettato l’integrità territoriale dell’allora giovane repubblica. 

Sebbene ci sia del vero nelle parole del portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, che ha accusato i media occidentali di generare isteria (o forse sarebbe meglio dire bellicismo) nel raccontare la crisi attuale, la situazione politica interna è altrettanto grottesca e “isterica”. Il 19 gennaio alcuni deputati comunisti, tra cui il segretario Gennadij Zjuganov, hanno presentato alla Duma una proposta di appello al presidente Putin al fine del riconoscimento ufficiale delle due repubbliche secessioniste (come nel caso dell’Abcasia e dell’Ossezia del Sud). A queste proposte possiamo aggiungere le dichiarazioni del ministro della Difesa Sergej Šoigu a proposito della presenza in territorio ucraino di mercenari americani in possesso di armi chimiche che rievoca scenari da guerra irachena. 

Ufficialmente le autorità russe negano la presenza di truppe nel territorio separatista, posizione parzialmente confermata dal rappresentante della Missione Speciale dell’OSCE in Ucraina il 12 febbraio 2019 di fronte al Consiglio di Sicurezza ONU. Stando infatti ai report giornalieri compilati dai membri della Missione Speciale, non è stato possibile stabilire l’origine dei veicoli con bandiera russa. Tuttavia, una recente sentenza di un tribunale di Rostov-sul-Don, città vicina al confine ucraino, ha accidentalmente riaperto la questione. Nel testo di condanna relativo a un caso di frode si legge infatti che le azioni del condannato avrebbero messo a rischio la consegna degli approvvigionamenti delle truppe russe di stanza nelle due repubbliche autoproclamate. Stando ai calcoli effettuati dal servizio russo della BBC sulla base dei dati contenuti nella sentenza e quelli ufficiali riguardanti l’approvvigionamento delle truppe, il contingente russo sarebbe composto da non più di 60.000 uomini. Oltre al supporto militare, la Russia ha fornito anche aiuto umanitario in seguito al decreto presidenziale del 15 novembre e, come avevamo già scritto su Scomodo, concesso la cittadinanza a più di mezzo milione di abitanti. Negli ultimi giorni il giornale russo Kommersant ha scritto, linkando al sito del Cremlino, che gli abitanti delle due repubbliche popolari con cittadinanza russa potrebbero persino ottenere un rappresentante alla Duma. 

All’inizio dell’articolo abbiamo detto che questa escalation, almeno per quanto riguarda il conflitto tra Russia e Ucraina, è parte di un continuum iniziato nel 2014. Questa affermazione è indubbiamente vera ma incompleta. Pare infatti, riprendendo il già citato Luk’janov, che questa crisi vada oltre la questione legata alla contesa intorno ai territori orientali dell’Ucraina, che pare a questo punto un pretesto per sollevare il problema, caro alla Russia, della sicurezza in Europa, tramite un metodo definito di “diplomazia coercitiva”. Si tratta di una proposta di interpretazione che non vuole sminuire l’importanza dell’annessione russa della Crimea e dell’occupazione dei territori ucraini ma che, senza pretesa di infallibilità, offre uno sguardo alternativo.

Articolo di Claudia Bettiol, Luca Zucchetti