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Cosa ho scoperto del mio vicino che prima non sapevo
Episodio 3
La quarantena muta il rapporto con ciò che accade intorno a noi ed intorno alle nostre case. Le relazioni cambiano aspetto. In questa rubrica raccoglieremo tutto ciò che abbiamo riscoperto riguardo ai nostri vicini: che sono, in fondo, gli unici esseri umani con cui ci è concesso di interagire.
Mi chiamo Pierfrancesco L., ho quarantasei anni, abito a Città di Castello, una cittadina dell’Umbria a un po’ di chilometri dal confine toscano.
Del mio vicino, un ragazzo a modino ogni volta che mi capitava di incontrarlo, ho scoperto la capacità di essere assolutamente inopportuno.
La lancetta dei minuti arriva a trenta, quella delle ore si trova sull’uno: è l’una e mezza e io sono ancora in fila.
Sono venti minuti che aspetto per entrare al supermercato. Non che avessi chissà quale impegno: è sabato, e in ogni caso siamo reclusi in casa. Il brontolio del mio stomaco però comincia a rendermi insofferente.
Un uomo esce dalle porte scorrevoli trascinandosi dietro un carrello, la fila scala in avanti lasciandomi sotto il portico. Il prossimo sono io.
Dentro il supermercato l’atmosfera è surreale. Un discount di qualche centinaio di metri quadrati per quattro persone alla volta. Sembra di essere cavie da laboratorio: studiati per capire dove ci dirigeremo, quanto tempo impiegheremo ad esplorare lo scenario, quanto prima di incontrare un simile e quali saranno le nostre reazioni.
Nelle mie visite precedenti avevo impiegato qualche minuto prima di incontrare altri clienti, stavolta ho più fortuna. Al corridoio dei detersivi riconosco il mio vicino del primo piano. Si chiama Julien, è un ragazzetto magro sulla ventina. Deve essere stato in fila per tutto il tempo davanti a me, ma non me ne sono accorto.
Ho così bisogno di un contatto umano che provo a farmi notare, ma il ragazzo non mi sente, sembra distratto. Attraversa spedito il reparto frutta e verdura senza neanche guardare la merce.
Avrà saputo che le scorte di mozzarella stanno terminando.
Io invece la frutta la scelgo. Dopo aver caricato mele e sedano nel carrello mi guardo intorno, per controllare se il reparto latticini sia occupato da qualcuno. Tutto ciò che trovo sono i riccioli biondi del mio vicino.
Questa volta non è solo, sta chiacchierando sottovoce con una ragazza. Sono felici di vedersi, si capisce dagli occhi. La bocca la immagino sorridere sotto la mascherina. I due mantengono la distanza di sicurezza, ma è evidente che fatichino a farlo. Lei passa in rassegna tutte le marche di cereali, lui la segue lungo il corridoio e sembra interessatissimo ad ognuna delle varie tipologie di fette biscottate.
Due innamorati che si danno appuntamento al reparto cereali. La vista mi fa sorridere. L’alterazione della quotidianità, che questo virus si è portato dietro, racconta di scene che pensavo avessimo abbandonato nella narrativa settecentesca: strappare alle poche apparizioni pubbliche lecite il tempo e la giustificazione per un incontro proibito è roba alla Jane Austen.
Capisco anche che chi non ha un cane da portare a spasso debba riuscire ad ingegnarsi.
Julien e la fidanzata cercano di guadagnare tempo senza dare nell’occhio.
«Ti dona la mascherina azzurra», dice lei con dolcezza.
Per il resto non parlano molto… Immagino che tra Whatsapp e Instagram siano riusciti a raccontarsi qualcosa anche se non si vedono da parecchio. Vagano per i corridoi standosi accanto, ogni tanto ridono, si guardano attorno. Sanno che il momento è provvisorio.
Li ritrovo al banco dei salumi mentre ordino i miei tre etti di lonza.
Stavolta, però, vederli mi infastidisce: la mia spesa è quasi finita e loro – due carrelli semivuoti – sembrano aver deciso di stabilirsi qui. Sono l’uno di fianco all’altra e possono avvicinarsi un po’. Il ragazzo compie un gesto ardito: allunga la sua mano verso quella della compagna, gli indici si sfiorano, poi si stringono. Guardano dritti davanti a loro, ma i corpi tesi tradiscono la necessità del contatto.
Quell’inusuale stretta, tra due dita coperte di lattice, dura il tempo di un conto alla rovescia scandito dalle fette di lonza che toccano il piano.
Si sono limitati a fare da spettatori al mio acquisto, non ordinano nulla. Non appena mi volto, si spostano verso un altro corridoio; quello delle fette biscottate, di nuovo.
L’incontro clandestino smette di sembrarmi tenero e comincia a sfociare nella molestia: le entrate sono scaglionate, è tardi e fuori la fila è lunga.
Il fatto che il tempo della gente oltre le porte venga sprecato per permettere a questi ragazzi di scambiarsi qualche sguardo tra le confezioni di carta igienica, mi pare la pretesa di una cortesia eccessiva.
Il nostro ultimo incontro ha luogo nel corridoio dei surgelati. Il ragazzo simula un autoscontro e con il suo carrello dà un colpo a quello di lei.
La ragazza ride.
Ma guarda tu se devo perdere la pazienza tra i surgelati.
«Ma la fate la spesa o no?»
La coppia si pietrifica, risvegliati all’improvviso da un bel sogno. Il ragazzo impiega un attimo per riconoscermi, e alla sorpresa si aggiunge la vergogna di chi viene colto in flagrante. Avverto l’imbarazzo di Julien anche senza poter vedere le sue guance, nascoste dalla mascherina.
Sfilo la mia e comincio con la paternale.
Gli ricordo che la gente non può aspettare fuori da supermercato i loro comodi, che c’è un motivo se è stato imposto il divieto di uscir di casa, che dovrebbe ricordarsi che la dirimpettaia di Julien è un’ottantenne, e che la loro noncuranza la mette in pericolo. Gli chiedo se non avessero potuto resistere come tutti gli altri ed aspettare la fine di questo periodo per vedersi.
Julien fa un passo indietro e inizia a fissare un punto a caso del frigorifero surgelati. È il loro anniversario, mi dice. Ci gira un po’ intorno, poi chiede scusa.
Stavolta vanno a fare la spesa “per davvero”, mi dicono.
Mentre mi allontano i due ragazzi borbottano qualcosa, ma quando mi volto vedo solo lui che le arruffa i capelli con la mano, questa volta i carrelli cominciano a riempirsi.
Mentre svuoto sul nastro della cassa il contenuto del carrello, rifletto sulla discussione di poco prima: i ragazzi non erano in malafede, al massimo peccavano di ingenuità.
«Sono cinquantasei euro e diciotto»
Abbandono il carrello insieme agli altri ai piedi della cassa e tiro fuori il portafoglio.
Non che l’essere ingenui rendesse il loro atteggiamento più sopportabile, ma avrei potuto essere più conciliante, magari limitando quella paternale così simile ai rimproveri dedicati a mia figlia, che ha la metà dell’età di quei ragazzi.
La cassiera prende la mia carta con i guanti, poi si indica la faccia.
«Le ricordo che la mascherina è obbligatoria».
Ripenso alla lunga escursione indisturbata dei ragazzi per i corridoi del discount e reprimo un vaffanculo all’indirizzo della ragazza, butto tutto dentro la busta e prendo la strada di casa. Non ho ripreso neanche i due euro.
Racconto a cura di Giovanni Tiriticco, Adriano Bordoni e Alessio Zaccardini
Articolo di Redazione