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Cosa ho scoperto del mio vicino che prima non sapevo
episodio 5
La quarantena muta il rapporto con ciò che accade intorno a noi ed intorno alle nostre case. Le relazioni cambiano aspetto. In questa rubrica raccoglieremo tutto ciò che abbiamo riscoperto riguardo ai nostri vicini: che sono, in fondo, gli unici esseri umani con cui ci è concesso di interagire.
Mi chiamo Paolo, sì lo so, originale. Data la mia statura, gli amici mi chiamano Paolone, probabile che sia l’unico a Roma. Adesso abito a Giardinetti, un quartiere romano fuori dal Grande Raccordo Anulare.
Dai miei vicini ho scoperto che ho ancora una possibilità di riscatto, per rimediare a quello che ho fatto in passato e che non farò più in futuro.
Sinceramente a me la quarantena non ha cambiato più di tanto la vita. Ho fatto degli errori, sono andato per direttissima dal giudice e mi sono beccato dieci mesi di domiciliari. Adesso sono al settimo, se mi avessero chiesto all’inizio della pena quale sarebbe stato il mese peggiore da affrontare avrei risposto proprio questo. Il perché è ovvio, a maggio nella capitale arriva un’ondata di caldo che ti ricorda che l’estate è vicina. E non si può essere felici, dentro casa, in estate.
Poi ai domiciliari, negli ultimi due mesi, hanno messo sessanta milioni di italiani e i miei di conseguenza sono sembrati un po’ meno duri.
Sarà forse l’empatia che adesso nutro per tutti quelli che là fuori, come me, sono costretti a rimanere col sedere sul divano. Però l’isolamento sembra meno duro quando è condiviso. Ad ogni modo, tutte le sere mi affaccio per farmi una sigaretta, una, perché vanno razionate – per vie traverse che adesso non vi sto a raccontare sono riuscito a farmi recapitare tre stecche, ma queste stronze sembrano svanire nel nulla.
Quando vado in balcone mi porto sempre appresso il seggiolino del pianoforte – un regalo dei miei quando ancora provavano delle speranze per me – che mi ritrovo in salotto e che non ho mai sfiorato, nemmeno per sbaglio. Però ho sempre trovato il seggiolino invitante, tanto che metterlo all’esterno e fumarci una sigaretta seduto sopra è diventato quasi un rito, il mio momento di relax in queste mesate di nullafacenza.
Poggio il seggiolino, accendo la sigaretta e puntuali come sempre partono a litigare i vicini. Una coppia trasferitasi da poco, due ragazzi freschi di nozze pre-quarantena. Stanno scoprendo la bellezza del matrimonio poco a poco ogni sera, a suon di madonne. Le ragioni sono sempre un po’ le stesse, lei si lamenta di qualcosa che non va e subito dopo parte il marito, un ragazzo poco più grande di me, a ripetere la solita storia: «Stai zitta!»; «Vuoi che ti senta tutto il vicinato?»; «Non ti permettere, non ti devi permettere cazzo!»
In nomine, Amen.
E subito, incredibilmente, arriva la calma dopo la tempesta, ore e ore di silenzio, nessuna televisione accesa, nessuna risata, nessun fornello acceso. Neanche una scopata.
La cadenza con la quale litigavano all’inizio era settimanale, ormai è diventata giornaliera.
Ma alla fine basta guardarli dal vivo una volta, per inquadrarli alla meglio. Sembrano a tutti gli effetti una coppia normalissima, di quelle noiose, quelle che si mettono insieme al liceo e che non si mollano più. L’unico contatto che abbiamo avuto è stato con di lei, che quando sono arrivati per la prima volta nell’appartamento si è degnata di salutarmi. La carnagione e la parlata mi hanno fatto pensare ad una possibile origine caraibica, Honduras forse. Tiro a indovinare molto spesso, tanto non ho molto da fare. Mi ricorda un po’ la mia ragazza storica. Veniva da Tegucicalpa, immigrata con la famiglia perché la madre vedeva la loro terra natia come un posto troppo violento. Non ho mai dimenticato il suo sorriso stirato la prima volta che mi ha visto. Dopo quella prima volta la ragazza non mi ha più salutato, avrà scambiato due parole con l’amministratore. Non serve altro per sapere tutto di me. Io invece di loro non sapevo molto, sono a tutti gli effetti dei bravi vicini, invisibili per la maggior parte del tempo.
Fino all’altra sera.
Mentre accendo la seconda sigaretta sento sbattere violentemente sul calcestruzzo del balcone accanto: te ne rendi conto perché quando accade trema anche il tuo. Tra i due balconi infatti ci sta solo una vetrata altezza uomo, semiopaca, qualcosa che si può sfondare con una gomitata ben assestata. Affacciandomi nel vuoto riesco a capire cosa succede: il ragazzo prende la testa della moglie tra le mani e la sbatte forte contro l’inferriata delle ortensie. Vedo chiaramente il profilo di lui in piedi, indossa solo la camicia da notte, per il resto è completamente nudo. Caccio subito un urlaccio, di quelli che cacciavo quando facevo da palo a San Basilio. Nessuna risposta, i due continuano a urlarsi contro, lei si rialza piangendo e gridando di smetterla, di uscire di casa e di andarsene dai suoi. La storia si ripete, mentre lui le afferra il polso per sottometterla stavolta però non faccio l’errore di prima, a quanto pare urlare non è servito a niente in questo condominio di omertosi.
Prendo lo sgabello per una delle gambe e scavalco la vetrata. Mentre scendo il marito mi vede con gli occhi di chi sa quello che sta facendo, sorride e mi rimbrotta: «Lo sai che se faccio un colpo di telefono torni in galera?»
La faccenda si è risolta in men che non si dica, adesso Laura sta con un’amica in casa e in galera ci sta qualcun altro. A Rebibbia intendo, dentro casa ci stiamo tutti.
Però la sera, quando fumo una sigaretta, appare anche lei nel balcone a fianco per chiacchierare e scambiare qualche sorriso. A parlare delle nostre vite e di quello che ci riserverà il futuro, dopo questo brutto periodo.
Era Dominicana, c’ero andato vicino.
Articolo di Redazione