Per accessibilità si intende la capacità di fornire informazioni fruibili a tutti, inclusi coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari. Abbattere le barriere alla fruizione dei contenuti è il primo passo per permettere a più persone di partecipare e contribuire al cambiamento.
Per questo noi di Scomodo stiamo cercando di inserire strumenti che favoriscano la lettura e la navigazione del nostro sito a quanti più utenti possibile.
Cosa stiamo facendo? Stiamo cercando di migliorare sempre di più l’accessibilità delle informazioni e delle interazioni anche per chi ha necessità particolari: come ad esempio chi può navigare solo con la tastiera, oppure chi ha difetti della vista o disturbi del neurosviluppo che riguardano la capacità di leggere.
Un menu laterale, sempre visibile, ti permette di modificare la visualizzazione della pagina in modo da facilitare la navigazione a seconda delle tue esigenze:
Hai trovato difficoltà? Puoi scrivere a tancredi@leggiscomodo.com.
Il tuo aiuto ci fornirà ulteriori spunti per migliorare l’accessibilità del nostro sito.
Chiudi
Il virus nei sogni
Uno studio proposto dall'università Federico II di Napoli ha tentato di indagare gli effetti del covid-19 sui sogni degli italiani.
In questo periodo di pandemia e di isolamenti forzati non abbiamo visto modificarsi solamente le nostre abitudini e il nostro stile di vita ma anche la qualità del nostro sonno. Fin da subito i servizi per la tutela della salute mentale hanno evidenziato la stretta relazione tra isolamento sociale e conseguenze psicologiche come angoscia, stress post-traumatico, ansia e depressione, ma anche diffusi disordini del sonno e un’alterazione dei ritmi sonno-veglia. Partendo da questi dati è stato proposto dall’università Federico II di Napoli il primo studio volto ad indagare gli effetti del Covid sui sogni degli italiani.
Basandosi sull’ipotesi di continuità dei sogni con la vita da svegli, secondo cui l’impatto soggettivo di eventi catastrofici come la pandemia si riflette anche nella dimensione onirica, durante il periodo del primo lockdown l’università ha diffuso un questionario sui sogni, raccogliendo un campione di 769 soggetti. Ai partecipanti è stato chiesto di raccontare il sogno più recente da loro ricordato riportandone al meglio i dettagli e le tonalità emotive. È stato richiesto inoltre di descrivere le condizioni nelle quali i soggetti stavano affrontando l’isolamento e la loro vicinanza a persone malate o decedute a causa del Covid-19. I risultati di questo studio dimostrano che i sogni possono essere interpretati non solo come tentativo di realizzare desideri repressi ma anche come modo per gestire e trasformare un evento traumatico; dunque l’analisi quali-quantitativa del loro contenuto è un approccio altamente informativo per lo studio degli effetti di eventi come quelli attuali sulla vita delle persone e in particolare sulla loro sfera emotiva.
Gli effetti del Covid nei sogni
I dati raccolti dall’indagine evidenziano che i sogni delle persone che vivono secondo le misure di isolamento dovute al Covid-19 sono più realistici rispetto alla norma e si caratterizzano per un forte tono emotivo tendenzialmente negativo. Emozioni come angoscia, panico, frustrazione e senso di perdita del controllo appaiono infatti in oltre il 75% delle referenze. Un altro elemento facilmente riscontrabile riguarda il setting del sogno: il 63% dei partecipanti ha riportato sogni ambientati in luoghi esterni e affollati come spiagge, piazze, centri commerciali. Questo fattore è particolarmente indicativo, come sottolineano gli studiosi, poiché in esso i sognatori proiettano il desiderio di evadere dalle severe restrizioni.
Riferimenti espliciti al Covid appaiono in meno del 20% dei sogni riportati, ma nella maggior parte degli altri questo viene citato come un virus contagioso, come causa della quarantena o dei controlli a cui sono sottoposti i cittadini, diffusa causa di angoscia. «Mi ricordo che non mi ero portato l’autocertificazione e mi ha assalito il panico» riporta uno dei partecipanti. L’intensità emotiva dei sogni poi, sottolinea lo studio, cresce notevolmente tra i soggetti che hanno conosciuto persone malate o decedute a causa del Covid.
La ricerca non si è fermata al primo lockdown, ad oggi a questi studi hanno iniziato a collaborare già numerose università italiane e non solo. Come ci spiega Massimiliano Sommantico, psicanalista e docente di psicologia dinamica della Federico II di Napoli che ha lanciato il progetto, la ricerca è proseguita durante la seconda ondata della pandemia in collaborazione con l’Università di Trent (Canada) e l’Universidad Autonoma de Mexico. I dati raccolti, sebbene ancora incompleti, prendono come campione gli studenti universitari e lasciano pensare ad un aumento di fattori già evidenziati come ansia, stress e depressione. Un ulteriore studio ha analizzato poi le differenze emerse tra le diverse fasce d’età nei sogni riportati.
«Sono gli adulti a riportare maggiormente emozioni a tonalità negativa, mentre la conoscenza di persone affette da o morte a causa del COVID-19 sembra avere un effetto più significativo sui sogni degli adolescenti. Ancora, i sogni degli adulti sembrano essere centrati soprattutto sull’esperienza del confinamento familiare, mentre i sogni degli adolescenti sui rapporti con gli altri. Possiamo ipotizzare che, mentre per gli adulti la preoccupazione maggiore sia riferita alla gestione dell’isolamento/quarantena (in termini, ad esempio, di difficile gestione congiunta di smart working e vita familiare), per gli adolescenti la preoccupazione più significativa è quella relativa alla perdita del contatto sociale con i pari, elemento cruciale in questa fase del ciclo di vita. » ci spiega il professor Sommantico.
Nella popolazione adulta, secondo un’analisi su un campione di soggetti di età compresa tra i 18 e i 79 anni, il dato con più riscontri è la ricorrenza nei sogni di personaggi con i quali il sognatore non aveva rapporti da molto tempo, rappresentativi della mancanza di contatto sociale che la quarantena impone ed espressione di nostalgia per un passato perduto.
Nella fascia compresa tra i 12 e 18 anni, invece, il dato più rilevante è proprio la preoccupazione per amici, familiari e in particolare nonni. «Evidentemente, questo dato è legato da un lato alla consapevolezza che si tratta di individui ad alto rischio, dall’altro al bombardamento mediatico rivolto agli adolescenti quali maggior fonte di rischio di contagio per la popolazione anziana; un bombardamento che, concentrandosi sulle conseguenze delle loro azioni, ha a nostro avviso sottovalutato gli effetti psicologici di una simile pressione sugli adolescenti.»
I risultati generali di questi studi sottolineano come la caratteristica più specifica di questa esperienza traumatica è il senso di perdita del controllo: l’emozione di non avere risorse individuali che bastino per affrontare la realtà. Lavorare sui sogni è solo un modo di elaborare questa catastrofe collettiva. Spiegarla e renderla disponibile per la comunità scientifica è un passo ulteriore in avanti.
Durkheim ed il suicidio
Assunta la situazione psicologica degli italiani filtrata dal mondo onirico, si può analizzare una grave conseguenza di questo periodo come il suicidio, fenomeno in tragico aumento dopo l’impatto della pandemia. Confrontando gli studi di Émile Durkheim e lo studio della Federico II, possiamo paragonare questi mesi ad altri periodi simili a questo. Il tema del suicidio fu trattato nel 1897 dal sociologo francese, il quale tentò di dimostrare empiricamente cosa influenzasse il tasso di suicidi che si riscontravano in una data società. Per Durkheim l’individuo isolato, in sé, non esiste, tutto ciò che usualmente pensiamo come caratteristico dell’essere individuale è plasmato dalla società in cui viviamo: il suicidio è la scelta libera del singolo di sottrarsi alla coesione sociale.
La tendenza suicidogena di una data società è in relazione al grado di integrazione sociale che la stessa consente. Il paragone riscontrabile con la situazione attuale è la totale assenza di coesione che la pandemia ci ha imposto con il distanziamento sociale. L’isolamento del singolo all’interno di una società complessa come la nostra ha annullato il bisogno atavico dell’uomo di relazionarsi con altri. Durkheim inoltre rilevò che il numero dei suicidi è particolarmente alto negli anni in cui l’economia appare in fase di crisi. L’alienazione del singolo, come ci spiega il professor Sommantico, si riversa anche all’interno della dimensione onirica. Uno studio tedesco che va dal 1956 al 2001 riferito alla seconda guerra mondiale, a cui il professore accenna, ha evidenziato l’effetto pervasivo e duraturo delle esperienze di vita emotivamente salienti sulla vita onirica. Le conseguenze di eventi traumatici e/o catastrofici penetrano nella vita onirica a conferma dell’ipotesi della continuità tra vita onirica e vita vigile. Freud stesso aveva ipotizzato come questo fosse rilevante per le nevrosi traumatiche, nelle quali il sogno funge da tentativo nel padroneggiare retrospettivamente un evento traumatico. Il Covid ha fortemente permeato, oltre ai nostri sogni, anche la nostra psiche, il nostro inconscio, trascinando masse di individui in un periodo di decadenza, come altri nella storia che segnano epoche di transizione.
Lo studio di Durkheim più attuale che mai conferma come il tasso dei suicidi sia inversamente proporzionale alla prosperità della nazione: rapide ricchezze a cui si affiancano rapide rovine. Ma non è tutto. Secondo Durkheim, infatti, c’è qualcosa di più profondo di una crisi economica che spingerebbe l’individuo a suicidarsi: l’anomia, ovvero la mancanza di norme morali chiare e condivise. Il suicidio anomico è spiegabile da un allentamento nelle forme della morale collettiva, un aumento dell’incertezza rispetto alla norme in cui conformarsi. È un paradosso pensare di rapportare l’anomia al tessuto della nostra moderna società occidentale, disciplinata da norme sociali e di diritto univocamente condivise in cui ci identifichiamo costantemente in modo naturale. Eppure la pandemia ci ha reso fragili, ha frammentato le nostre coscienze e il nostro Io, estraniato nel riconoscere se stesso in una società in cui, oggi, non avremmo mai pensato di doverci riconoscere.
In linea con lo studio, il professore Sommantico ribadisce che i fattori socio-economici non sono i soli ad influire su una scelta così drastica come quella del suicidio, se non in presenza di elementi depressivi già presenti nei singoli e che non sia possibile, quindi, un’operazione riduzionista della complessità della mente umana e delle frammentazioni intrinseche in ognuno di noi.
La reazione delle istituzioni
Nel corso di questo anno, la pandemia ha generato diversi tipi di emergenze, con tante sfumature non sempre facilmente individuabili. In primis, ovviamente, l’emergenza sanitaria. Nei primi mesi in cui il virus è entrato nella penisola, gli ospedali e il personale sanitario sono stati presi alla sprovvista non sapendo come gestire la situazione. Il pericolo incombente del blocco totale degli ospedali ha quindi provocato il primo lockdown di due mesi circa.
Col passare del tempo, soprattutto dopo la prima chiusura totale, un’altra emergenza si è fatta più viva delle altre, quella economica. Passato il periodo di reazione al virus, ci si è resi conto che non si poteva restare in ottica lockdown a tempo indeterminato, e così ecco i vari aiuti economici, i compromessi delle zone colorate in autunno, tutto per far galleggiare il paese fino all’arrivo dei vaccini. Queste due emergenze hanno ovviamente monopolizzato l’attenzione mediatica e dei cittadini, essendo quelle che provocano danni molto più percettibili dal punto di vista pratico. In questo ambito, si può pensare quindi che l’emergenza psicologica sia passata sottotraccia, ma in realtà i numeri mostrano altri aspetti della questione.
Il 27 aprile 2020 infatti è stato creato, per iniziativa del Ministero della Salute e della Protezione Civile, un numero verde di supporto psicologico gratuito dedicato (800.833.833), attivo tutti i giorni dalle 8 alle 24. I numeri riguardo questo numero sono positivi, infatti ha ricevuto dall’attivazione più di 50.000 chiamate. Oltre al numero verde, si è aggiunto un altro tipo di aiuto, di cui fanno parte molte società scientifiche in ambito psicologico, che interviene laddove si ritenga necessario un ascolto più approfondito e prolungato nel tempo. Queste società hanno messo a disposizione circa duemila volontari che hanno erogato migliaia di prestazioni gratuite. Si può dire quindi che paradossalmente la reazione dello stato verso l’emergenza psicologica sia stata più pronta rispetto alle altre, ma ovviamente i numeri non sono tutto.
Proprio perché l’opinione pubblica è monopolizzata dalla situazione sanitaria e da quella economica, si può comunque correre il rischio di sottovalutare le conseguenze psicologiche di questa pandemia, soprattutto quelle future proprio perché poco prevedibili oggi. In un paese come l’Italia, dove la psicologia ed i problemi che tratta non hanno ancora trovato una piena emancipazione, bisogna sempre avere il campanello d’allarme sempre attivo, e cosa ancora più importante, trattare le conseguenze psicologiche alla pari con gli altri danni che il virus causerà, non riducendole ad un secondo posto immeritato, nelle cose a cui pensare più tardi.
Conseguenze e rischi sul lungo termine
Se la storia insegna, sappiamo che emergenze sanitarie, sociali ed economiche di così ampio respiro hanno un potenziale impatto negativo a lungo termine sulla psicologia collettiva. Per quanto necessario non scadere in generalizzazioni o ridurre la complessità della mente umana a supposizioni prima del tempo, è pur vero che è facilmente evidenziabile un significativo aumento delle sofferenze psicologiche, che è possibile supporre avranno un’eco negli anni a venire, addirittura nelle generazioni successive. Infatti Sommantico, seppur sottolineando la complessità di fornire una previsione in merito agli effetti di uno stress perdurante e non convenzionale come quello del lockdown e della pandemia di Covid-19, evidenza un quadro allarmante.
«In particolare precisa il docente della Federico II «si osserva un significativo aumento dei disturbi d’ansia, dei ritmi sonno/veglia, dell’alimentazione, così come un crescente ritiro nel mondo virtuale e ad un incremento della dipendenza da sostanze quali ansiolitici, antidepressivi, alcool e varie sostanze psicoattive».
All’isolamento, infatti, bisogna affiancare l’incertezza della prognosi, le privazioni dal punto di vista economico, la costante paura dell’altro visto come nemico, che genera quella che il professore definisce una «diffidenza nei confronti dell’altro umano», sia esterno alle mura domestiche che all’interno dello spazio familiare. Un’ipotesi cui il professore fa riferimento proviene infatti da un saggio di Renè Kaes, eminente psicoanalista francese, che individua l’emergere di «angosce molto arcaiche, specie di tipo paranoide, che innescano reazioni persecutorie».
La famosa caccia all’untore, incrementata da un bombardamento costante da parte dei media, ha generato, quasi naturalmente, una paura dell’altro e, allo stesso tempo, una demonizzazione dei giovani, a cui si attribuisce spesso e in maniera superficiale lo stigma di veicolo principale di trasmissione. A questa tendenza da parte dei media e non solo, bisogna anche associare quella privazione del contatto sociale che, pur colpendo tutti, ha conseguenze a lungo termine soprattutto sui soggetti che si trovano negli anni di crescita e formazione, quando è più che mai costruttivo l’incontro e il confronto con l’altro.
E se ci si vuole rifugiare nel più confortevole contesto familiare, è proprio lì che si osserva un incremento di condotte aggressive e violente: la violenza domestica non solo pare essere aumentata, ma è diminuito l’accesso a servizi di supporto a causa di una combinazione di isolamento e paura del contagio presso le strutture sanitarie (fenomeno di cui Scomodo ha scritto diversi mesi fa). Proprio questa tendenza, purtroppo, può complicarsi in futuro, disincentivando il ricorso al supporto psicologico.
Nonostante le attuali preoccupazioni per gli strascichi sulla salute mentale, è opportuno riconoscere alcune abitudini positive che probabilmente perdureranno anche in futuro: l’isolamento ha, infatti, posto l’accento su nuove forme di comunicazione e di presenza virtuale, che hanno fornito a molti l’opportunità di accedere a momenti e contenuti altrimenti inaccessibili a causa delle distanze geografiche. La nuova socialità che è andata creandosi, con i suoi pro e contro, è l’esempio anche di come l’uomo riesca comunque a rispondere ai traumi collettivi mostrando un grado importante di resilienza alle difficoltà comuni e di plasticità delle proprie abitudini.
Articolo di Federico Fiore, Marianna Donadio, Ludovica Crescente, Elisabetta Picariello