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Da Filthy Frank a Joji, un viaggio nella mente di George Miller
Pochi non ricordano l’Harlem Shake del 2013. Quel meme virale di trenta secondi dove quattro individui mascherati davano vita ad una danza in maniera inebetita e dirompente sulle note di un motivetto musicale fu considerato uno dei primi veri fenomeni virali nati e diffusi sulla rete. L’ideatore è presente all’interno del video e indossa una tutina rosa; i fan lo conoscono come Pink Guy ,Papa Franku o Filthy Frank, ma nell’ultimo periodo un suo progetto musicale chiamato Joji sta avendo molto più successo. Il suo nome per esteso è George Miller e nasce nel 1992 da madre Giapponese e padre Australiano. Sebbene si sia formato come musicista e non abbia mai abbandonato la sua vena musicale, tra il 2008 e il 2017 raggiunge un altro tipo di notorietà in seguito ai video dal carattere satirico e assurdo che vedono lui e altri personaggi bizzarri in contesti surreali.
Dopo aver caricato qualche video sul suo primo canale DizasterMusic, nel 2014 lo show principale che Miller proponeva, ovvero le avventure di FilthyFrank, viene spostato al secondo canale, chiamato TvFilthyFrank, a causa dell’eventuale rimozione per contenuti inappropriati. Nella prefazione del nuovo canale l’artista, George Miller, si definisce come: ‘l’incarnazione di tutto ciò che è scorretto, antisociale ed estraneo alle buone maniere’. Il canale è tratteggiato da satira e da elementi che, senza dubbio, sono politicamente scorretti. Questi, visti in una prospettiva più ampia, si distaccano da quel tipo di sarcasmo volto a discriminare o emarginare, proprio perché l’intento dell’artista è deridere tutte le categorie sociali senza risparmiare nessuno, lui stesso compreso.
Filthy Frank
Frank è un personaggio controverso, dal momento che ha scelto di rappresentare la versione peggiore di sé stesso e i personaggi che lo circondano non sono da meno. Creature assurde con caratteristiche disgustose che prendono in giro chiunque abbia difetti o che capiti a tiro dei loro insulti. I video del suo canale, a prima vista, sembrano sconnessi tra loro e talvolta definiti come ‘un mucchio di cose casuali’, ma chi segue FilthyFrank ha sicuramente colto il filone narrativo che tiene uniti gli episodi. Si nota anche un’ottima capacità scenografica, pensata e studiata nel dettaglio. Per quanto l’artista voglia costantemente mostrare il carattere caotico dei video, la trama fa trasparire una cosmologia ordinata e chiara. Gli avvenimenti accadono nel nostro mondo, definito omniverso, che è abitato dalla popolazione Lycra. La lore del canale segue le vicende di Filthy Frank, Pink Guy e del suo più acerrimo nemico Chin-Chin.
Filthy Frank e Pink Guy, seppur protagonisti e rappresentati dallo stesso George Miller, sono completamente diversi. Tuttavia, nella loro diversità, presentano qualche tratto in comune. Un esempio è la progressione del Weeabooism, un sentimento di ossessione per il Giappone, dove una persona straniera pensa a questo come identico alla sua rappresentazione nella cultura popolare soprattutto data da manga e anime. Pink Guy è un personaggio strano con una tuta rosa e che comunica attraverso strani versi frutto di un misto tra un inglese confuso e un giapponese forzato. Nonostante le sue emulazioni vocali prive di senso e i suoi discorsi incomprensibili, l’unico a capirlo è proprio Frank, che nel corso dei video riconosce in lui la capacità di rappare. Il frutto di questa strana collaborazione tra due personaggi creati e impersonificati dalla stessa persona da vita a Pink Season, album di debutto di Pink Guy che è stato pubblicato gratuitamente su Youtube nel 2017, che comprende 33 tracce ed è un connubio tra il delirio che contraddistingue l’età adolescenziale e una componente di acidità. L’album offre un umorismo sporco e può essere inteso come il manifesto della filosofia di Filthy Frank.
Pink Season
Le canzoni di questo album, basti pensare a Stfu, quella con cui esordisce e che è una continua ripetizione della frase ‘shut the fuck up’ seguita da una serie di insulti e invettive, sono l’apice della produzione artistica legata ai personaggi che aveva fino a quel momento rappresentato attraverso i suoi alter ego. Il filo conduttore di molti suoi testi è aggredire categorie umane diverse oppure utilizzare un linguaggio privo di senso. Con Please Stop Calling me Gay ad esempio racconta la storia di un ragazzo sessualmente incerto che si scontra con la cultura machista che lo condanna ad avere un certo tipo di orientamento sessuale, tuttavia, nonostante la premessa incoraggiante, durante la canzone per confermare il fatto di non essere omosessuale utilizza una serie di insulti omofobi che potrebbero far trasparire un sentimento di odio nei confronti di quella categoria. Questi continui riferimenti ad aspetti discriminatori si mischiano all’umorismo edgy e dark di Miller, che lo porta più volte a superare l’asticella.
I brani trasmettono sentimenti di incomprensione e disgusto in chi lo ascolta per la prima volta, a causa del dubbio che si insinua se ciò che si sta ascoltando rispecchi un suo pensiero o sia una forma di ironia estremamente cruda e disprezzante. L’artista in varie interviste ha dichiarato più volte di non condividere il contenuto delle sue canzoni e dei suoi video perché questi fanno parte esclusivamente dei personaggi che lui interpreta.
Proprio per questo, chi lo ascolta da più tempo si sarà di certo accorto del carattere umano che Miller riesce a mettere in scena e che in parte premia l’artista per quanto sia contraddittoria la sua figura. Frank inserisce nei video e nei testi un’ambivalenza tra razionale e irrazionale, esasperando il lato assurdo che la connota: utilizza un computer per definire la sua idea di amore, sentimento temporaneo, finito, attraverso un robot che non morirà mai. Ed è qui che i fan più stretti riconoscono la sensibilità dell’artista, quella che permette a questi di continuare a supportarlo nel bene e nel male. Nonostante la fidelizzazione della fanbase che Miller è riuscito a creare rispetto ai suoi personaggi e al mondo artistico che li circonda, era certo che tutto questo non sarebbe potuto durare.
Adpocalypse e Joji
In quell’epoca YouTube era diverso da quello che è attualmente. Nonostante siano passati solo pochi anni infatti la piattaforma che aveva permesso a milioni di persone di “mandare in onda” se stessi senza filtri o censure, iniziava ad essere ricattata dagli investitori e dalle grandi aziende, che accortesi del potenziale commerciale di YouTube, avrebbero fatto qualsiasi cosa per limitare i contenuti non vendibili. Come si poteva intuire infatti, nel 2017, la piattaforma di condivisione video di Google, fu costretta ad applicare nuove regole sia per i creators, sia per le community, finalizzate a limitare, o a bannare del tutto, i post borderlines o quei contenuti che avessero al loro interno materiale con copyright. Tra i creators più colpiti ci fu proprio Filthy Frank che nell’estate del 2017 pubblicò un video in cui annunciava alla sua fanbase che avrebbe smesso di pubblicare contenuti su quel canale a causa di problemi di salute e a causa dell’ansia che quella nuova situazione iniziava a provocargli.
Filthy Frank non fu l’unico a ritirarsi, dal 2018 si assistette ad una fuga dalla piattaforma. Tantissimi creators decisero di reinventarsi per assicurarsi un futuro che YouTube sembrava non poter più garantire. I protagonisti di questo esodo tentarono varie strade, alcuni iniziarono sconclusionate carriere attoriali, altri decisero di spostarsi su altre piattaforme e altri ancora decisero di darsi allo sport. Ma forse il campo che più vide l’invasione di questi personaggi fu il campo musicale. Da Ksi a RiceGum da Logan a Jake Paul, in molti tentarono il successo nell’industria discografica senza però mai riuscire a togliersi di dosso il logo di della piattaforma video di Google. In ogni contesto infatti la fama che derivava dal loro passato da “Youtuber” non permetteva a queste personalità di esser considerate più di quello che erano sulla piattaforma. Chiunque avesse deciso di reinventarsi si ritrovava di nuovo a dover lottare con il suo passato, erano e rimanevano vlogger non artisti, gamer non pugili, unboxer non attori.
In questa deprimente tendenza un solo creators riuscì a sopravvivere questa transizione, senza esser costretto a ritornare in ginocchio su YouTube, Filthy Frank.
Joji
Dire che fu l’Adpocalypse a creare il progetto musicale che ha visto il suo primo LP scalare la classifica Billboard R&B fino alla prima posizione, rischierebbe di minimizzare ciò che è questo progetto e le sue caratteristiche.
George Miller infatti, prima di diventare Youtuber nasce musicista. Come già detto i suoi primi lavori e approcci con la piattaforma sono per caricare alcune tracce composte insieme ai suoi coinquilini durante gli anni del college. Riflettendo sul suo passato, sembrava certo che ci si sarebbe dovuti aspettare l’esplosione artistica di Miller. Quest’ultima venne preannunciata da alcune tracce rilasciate nel 2015, prima sotto lo pseudonimo di PinkOmega e poi con il nome del progetto che in pochi anni lo avrebbe reso famoso a livello globale, Joji. Nel 2016 dopo un leak che associava quelle canzoni a Filthy Frank, dalla pagina instagram di Joji venne pubblicato un post che annunciava l’uscita del primo progetto commerciale dell’artista, che sarebbe uscito nell’estate 2016 con il titolo Chloe Burbank Vol. I sulla piattaforma di streaming SoundCloud. Nello stesso periodo il video Human Cake veniva filmato, dando inizio alla trilogia di video più assurdi che ancora possiate trovare su Youtube.
È difficile pensare che durante il periodo di maggiore crescita del canale di Filthy Frank, Miller abbia avuto il tempo e la voglia di dedicarsi ad altro, soprattutto se si considera quanto diversi i progetti di Joji e FilthyFrankTv siano. Dal 2017, ovvero nel momento in cui Filthy Frank iniziò a scomparire, Joji vide la luce. Nel giro di qualche mese Miller interruppe le pubblicazioni sul canale principale e decise di dedicarsi a tempo pieno alla sua musica. Un taglio così netto fu inaspettato per tutti i suoi fan, tanto che qualcuno inizialmente ipotizzò che Miller stesse spontaneamente tentando di allontanarsi il più possibile da un tipo di comicità e intrattenimento, anacronistico rispetto a dove stava andando il mondo culturale, sempre più attento e pacato. Miller si rese conto che di lì a qualche anno, per Filthy Frank non ci sarebbe stato più un futuro.
La conferma di questo presentimento arrivò proprio nell’estate 2020 quando nel giro di due settimane su Twitter ci fu un vero e proprio processo, che vide tra gli imputati tutti i creators che nel corso degli anni si sono macchiati di comportamenti inappropriati. Da Shane Dawson a Jeffree Star tutti furono accusati di qualche colpa e nel giro di pochi giorni decine di importanti content creators furono costretti ad abbandonare la piattaforma almeno per un po’. In questo contesto è intuibile immaginare quello che sarebbe potuto succedere a un canale che pubblicava contenuti come “Pimp My Wheelchair”.
Nectar
Sembra proprio che Miller sia infatti riuscito ad evitare questo tipo di complicazioni rispetto ai contenuti che creava fino a tre anni fa. Proprio il 2020 ha visto la consacrazione del suo nuovo progetto musicale. Il 25 settembre è infatti stato pubblicato il secondo album di Joji con l’88rising, etichetta discografica fondata dalle ceneri di un collettivo di giovani talenti asiatici. Dopo Ballads1 è infatti uscito Nectar, 53 minuti divisi in 18 brani che tra rap, lo fi e alt-R&B consacrano l’artista a livello mondiale. Tuttavia, il livello di fama raggiunto, che lo porta ad essere il 253° artista per ascolti su Spotify con più di 15 milioni di ascoltatori mensili, conferma la tendenza di Miller ad abbracciare sempre di più la cultura di massa. I feat di Diplo in Daylight e quello di Lil Yachty in Pretty Boy, canzone comunque valida, sono la conferma del completamento della trasformazione che nel giro di 5 anni ha portato il creatore di Filthy Frank a diventare sì un artista di fama mondiale, ma anche di sposare ciò che fino a qualche anno fa si era ripromesso di combattere con comicità, ironia e musica sopra le righe, il mainstream.
Articolo di Luca Pagani e Clara Villani