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Discorso sul genere
“Il discorso sul genere è multidimensionale e sempre meno binario, ed è necessario riflettere sull’impatto dell’appartenenza a uno Stato sulla propria identità di genere”.
Quando in una frase compare la parola “genere” si tende a non avere chiaro in mente di cosa si stia parlando. Se della percezione che ciascuno ha di sé, quindi dell’identità di genere, o del sistema socialmente costruito attorno a quelle stesse identità, quindi dei ruoli sociali affidati sulla base del genere.
Il discorso sul genere è difficile da costruire poiché mancano dei termini socialmente accettati per esprimere linguisticamente lo spettro, potenzialmente infinito, delle identità di genere.
Si tratta di un discorso molto personale, da fare a se stessi davanti allo specchio, ma che è influenzato da altri fattori, percepiti come meno personali e più collettivi.
Il discorso mediatico sul genere crea lo standard di normalità e dunque ha un grande potenziale costruttivo, lo stesso che veicola la partecipazione delle persone che abitano uno stato alla sua vita pubblica.
Riprendendo la nota riflessione di Joan Wallach Scott, secondo cui sia genere e potere, sia genere e storia si determinano a vicenda, è necessario riflettere sul posto che il discorso sul genere occupa all’interno delle caratteristiche che determinano una cittadinanza.
Vivere in uno Stato significa dover sottostare alle sue leggi e dunque doversi definire secondo le categorie messe a disposizione da queste. Dal punto di vista pratico, questo si concretizza anche nella scelta del bagno della scuola pubblica che si frequenta, sulla base di un cartello che indica l’identità di genere in cui è necessario riconoscersi per ricevere
l’autorizzazione ad usufruire di quel servizio. E, allo stesso identico modo, nel compilare una modulistica burocratica non aggiornata rispetto all’evoluzione del concetto di binarismo di genere, ormai pubblicamente riconosciuto come riduttivo.
Il viaggio alla scoperta della propria identità di genere è lo stesso che ci porta alla scoperta della nostra personalità e modalità di interazione con gli altri, un insieme di momenti lungo una vita, che in questa pubblicazione si è voluto raccontare anche come un momento di innovazione sociale.
La libertà nell’ambito della creazione di ruoli sociali è un concetto distante anni luce dalla realtà dei fatti.
È doveroso sottolineare quanto sia denso di significato il momento in cui, esprimendo la propria opinione, si cerca di creare uno spazio libero da restrizioni sociali. Uno spazio in cui mostrare i propri orientamenti sessuali e identitari nella loro fluidità e nel loro non-binarismo.
Il sottotesto di ciò che si vede sul volume è, dunque, l’impatto del discorso sul genere con le sovrastrutture dello stato nazione e con i canoni e i termini del progresso.
Un fenomeno come il contrasto tra un sesso biologico fisicamente categorizzabile e un sentimento personale di attrazione o di riconoscimento non viene automaticamente reso visibile da leggi basate su una categorizzazione che si pone come oggettiva.
Sono rari i casi in cui la voce pubblica si fa così forte da riuscire a farsi sentire anche da chi non è interessato ad ascoltare. I social, ad esempio, offrono una piattaforma con cui rivolgersi ad un pubblico vasto dando carta bianca a chiunque, contribuendo quindi alla libera rappresentazione di chi desidera comunicare, ma allo stesso tempo creando un aperto campo di battaglia in cui è difficile tutelare e sentirsi tutelati.
Molti ati relativi alle disuguaglianze costruite in base all’appartenenza di genere, utili a fotografare il nostro presente, sono prodotti dall’EIGE, l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere. Questo, come think tank e organo di ricerca, si adopera nel rilevare e pubblicare un “Gender Inequality Index”, che annualmente descrive le discriminazioni più o meno marcate in vari ambiti sociali di diversi paesi.
Si tratta però, a livello ufficiale, sempre di un’analisi che non riesce ad uscire da una categorizzazione strettamente binaria.
Il Centro interdisciplinare di ricerche e di studi sulle donne e sul genere (CIRSDG), che opera come polo di ricerca universitario sull’argomento in Italia, produce invece dei dati più attenti alla diversità, che registrano e approfondiscono lo spettro delle identità di genere. Alla luce dei risultati prodotti dal centro ricerche si può, per esempio, osservare come la lingua italiana non possa essere considerata come esclusiva o strutturalmente patriarcale, ma piuttosto quanto lo sia l’uso a cui veniamo socializzati come parlanti nativi dell’italiano. Rendersi conto di quanta parte della discriminazione su base di genere sia intrinsecamente contenuta dentro le strutture linguistiche utilizzate da chi si esprime in una lingua, e quanta sia, invece, frutto di una modalità collettiva di utilizzo della lingua è importante nel lavoro di identificazione e utilizzo di strumenti per liberare la comunicazione quotidiana da dinamiche discriminatorie.
Il nostro presente è un momento di innovazione sociale nell’ambito dell’identificazione di genere e questo, in quanto cambiamento rispetto allo status quo ante, richiede un processo di revisione di moltissime modalità di comunicazione e scelta, che stanno alla base di dinamiche di aggregazione sociale. Se questo cambiamento non avviene, chi è protagonista dell’innovazione si ritrova in trappola in un medioevo del discorso sul genere. A metà tra una struttura anacronistica ancora dominante e una nuova ancora inesplorata nel suo più completo utilizzo.
Non è raro che il discorso sul genere venga categorizzato come forma di costruzione del politicamente corretto, di una sinistra che si rifugia in questioni identitarie per non affrontare le istanze più pressanti che si presentano sul piano economico. Questa lettura dimentica però quanto sia importante, per la riuscita di un qualsiasi piano di diminuzione delle disuguaglianze, che coloro che vengono coinvolti abbiamo la possibilità di esprimere liberamente la propria identità personale all’interno delle comunità con cui si rapportano.
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