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Eco – Ep.1
di Massimo Cecchini
«Dimmi un po’, chi è il fesso?»
Gli occhi scuri di Lola fissano i miei con espressione interrogativa. Sorrido mentre, sorretto dal gomito, la guardo stesa sul mio letto, nuda in tutta la sua bellezza.
«É un tizio molto ricco,» le rispondo, «la moglie ha scoperto che ha avuto una tresca con la segretaria ma per sua sfortuna non ha prove così solide dell’accaduto da costringere un giudice a farla mantenere a vita. Così, ha incaricato me di fornirle una prova…“addomesticata”».
«Va bene, cosa dovrei fare?» Il modo che ha di pronunciare le “r” e le “s”, le prime molto marcate, le seconde invece leggermente strascicate, mi manda ai matti. Spero non parli troppo, altrimenti dovrò pagarle il bis.
«Niente di che. Devi solo andarci a letto e riuscire a riprendere il tutto con un telefonino o una microcamera. Un gioco da ragazzi, insomma».
«Quanto mi paga la stronza per questo giochetto?»
Lola scosta il ciuffo biondo dal viso. La guardo negli occhi. «Ventimila contanti,» dico, «puliti».
Si morde il labbro inferiore, come suo solito. Poi comincia a grattarsi con l’indice la base del collo. «Detective Zoe,» mi tende una mano, «affare fatto».
Afferro l’abat-jour sul comodino e la scaglio contro il muro.
«Non ti pago per chiamarmi Zoe, brutta stronza» le urlo puntandole un dito in faccia. «Non usare mai più quel nome».
I suoi occhi sono indecifrabili per un attimo, poi si addolciscono all’improvviso. «Scusa, non volevo» dice. «Lo so, lo so che non devo chiamarti così, scusami, ti prometto che non lo dirò mai più. Va bene amore?»
Amore. Parola che le escort navigate usano come un mitra. Perché? Tra tutte quelle inserite nel vocabolario, perché proprio quella? Non potevi usarne un’altra? Se continui così, finirò prima o poi per crederci.
Inizia a baciarmi e a toccarmi ovunque. Decido di non opporre resistenza. Facciamo l’amore e ci abbracciamo e mi addormento mentre sento il tocco caldo del suo corpo.
Mi sveglio, illuminato dal sole che filtra dalla vecchia persiana di legno, sulla pelle la fastidiosa sensazione del sudore asciutto. Provo ad alzarmi dal letto cercando a tentoni l’abat-jour, ma faccio cadere la pila di libri iniziati e mai finiti appoggiati in equilibrio precario sul comodino. Lei è sparita, come ovvio che sia, insieme ai soldi che le avevo lasciato in precedenza. Mi alzo, faccio colazione e vado in bagno. Il grande specchio senza cornice mi aspetta nella veste di giudice per il consueto processo mattiniero contro il mio corpo. L’immagine riflessa nella superficie riflettente è molto lontana da ciò che sono. «Dove sono le spalle ampie e i pettorali?» mi dico. «Dov’è il cazzo? E cosa sono queste tette, e la figa che hai in mezzo alle gambe?»
Inghiottisco gli ormoni e torno a ispezionare di nuovo l’essere che mi fissa oltre lo specchio, cercando di notare dei cambiamenti. Nonostante sia ancora molto rada, inizio a vedere sempre più barba sulle guance. Almeno una notizia positiva.
Sistemo la cucina e guardo l’orologio: devo andare a lavoro. Il mio ufficio si trova in un palazzo basso, costruito da pochi anni. É pieno di studi professionali, un buon biglietto da visita per i nuovi clienti. Nel giro di un quarto d’ora sono lì, graziato dal traffico dell’ora di punta. Apro il pesante portone di legno e attraverso il corridoio pieno di pareti vetrate trasparenti. Al di là di una di queste, seduta alla reception dello studio medico, una brunetta minuta in abito scuro mi saluta con la mano. Dopo essersi guardata un po’ intorno, Alba si alza e mi viene incontro saltellando allo stesso modo in cui lo aveva fatto due mesi, tre giorni e dieci ore prima a casa mia. «Ciao Zeno! Come va?»
Per un po’ chiacchieriamo delle solite banalità, poi il suo viso acqua e sapone cambia aspetto e la sua mano inizia a sfiorare la mia. «É un po’ di tempo che non usciamo insieme… che hai da fare nel fine settimana?»
Di norma avrei accettato ben volentieri un’offerta del genere, tutto considerato. Per sua sfortuna, mi ricordo molto bene l’ultima volta insieme. La scopata più noiosa della mia vita: a un certo punto lei era talmente immobile che ho pensato per un po’ di star facendo sesso con un morto. Ricordo altrettanto bene tutto il tempo che mi ci è voluto per convincerla prima a uscire, e poi a salire su casa. Con questo in mente mi allontano leggermente dalla portata del suo braccio e assumo un atteggiamento rammaricato.
«Scusami tesoro, ma non posso accettare. Devo pedinare il solito marito “in viaggio di lavoro” con l’amante».
«Ah… peccato, potevamo divertirci insieme».
«Non preoccuparti, sarà solo per la prossima volta». Le faccio un occhiolino, lei ride e si mette la mano davanti alla bocca. Mentre con la coda dell’occhio la vedo tornare saltellando alla sua scrivania, continuo a percorrere il corridoio vetrato fino ad arrivare al mio ufficio. Anche la mia porta è vetrata, come nei vecchi film, le lettere “Zoe” leggibili appena appena in controluce. Per terra, di fianco all’uscio, il consueto mucchio di bollette non pagate che scavalco ignorandole. All’interno, la scrivania di mogano, ingombra di scartoffie di tutti i tipi, è illuminata dalla luce del tardo mattino. L’unico suono udibile nella stanza, oltre al traffico cittadino, è quello del vecchio frigo-bar, pieno solo di ghiaccio. Prendo posto sulla sedia e controllo l’agenda. Spero solo che oggi non sia il giorno in cui devo andare dall’altra parte della città per pedinare il giudice Fedeli. Nella sua infinita misericordia, lei—l’agenda—mi fa questa grazia. Prendo il portatile dall’ultimo cassetto in basso, lo accendo, controllo la posta in cerca di cose da fare. L’immagine del viso di Lola colto nell’attimo dell’orgasmo mi appare davanti agli occhi. Che stupido coglione che sono. Innamorato perso di una puttana. Mi userà come salvadanaio finchè le farò comodo, poi sparirà con quello che sarà riuscita a fregarmi. E sono anche quasi sicuro che mi piacerà pure, farmi fottere così. Non posso permettere che accada. La chiamo, risponde la segreteria telefonica.
«Ciao tesoro, mi sono dimenticato di dirti che finché dura questa storia con il riccone è meglio se io e te non ci vediamo più a casa mia. É per la tua sicurezza… ti faccio sapere le novità quando posso».
Per ora può andare bene così. Più in là mi inventerò qualcos’altro. Torno a guardare le mail, ma poi mi viene di nuovo in mente il suo viso. Chiudo le mail, accedo a internet, vado sul primo sito pornografico a caso. Finisco, nonostante tutto, e sprofondo nella poltrona da ufficio.
Nel momento esatto in cui chiudo l’ultimo bottone della patta dei pantaloni inizia a squillare il telefono. Lo prendo, leggo sul display “numero sconosciuto”. Premo il tasto verde, domando il solito chi é. Una voce, probabilmente quella di un uomo avanti con l’età, mi chiede: «Parlo con Zoe Marini?». Ancora quello stramaledetto nome da troia. Sospiro mentre cerco di reprimere il bisogno di lanciare via il telefono. «No, mi chiamo Zeno Marini».
«Ah, mi scusi, non sapevo».
«Ora lo sa».
La voce esita, poi sussurra: «So che è stato assoldato da mia moglie per incastrarmi».
Questa non me l’aspettavo. «Guardi, non so di cosa stia parlando».
«La smetta con questa sceneggiata,» risponde monocorde l’uomo, «è tutto fiato sprecato. Ho molti amici in città, e in più l’ho vista mentre parlava con mia moglie l’altra sera in macchina nel parcheggio di fronte allo stadio. Non sono uno stupido. So riconoscere un investigatore privato di quart’ordine quando ne vedo uno. Risalire a lei, poi, non è stato così difficile».
Deve essere uno di quelli paranoici. Difficili da infinocchiare.
«Oh, non deve preoccuparsi, signor Marini,» continua la voce, «non ho alcuna intenzione di denunciarla o di fare altre cose di questo genere. Tutt’altro. Vorrei invece farle una controproposta».
É la prima volta che un marito fedifrago cerca di comprarmi invece di provare a picchiarmi o direttamente uccidermi. Perché non fanno tutti così? Sarei già un uomo fatto e finito, in vacanza ai Caraibi in compagnia delle “bellezze” del luogo. «Sentiamo allora, quale sarebbe questa proposta?»
Cerco di suonare sprezzante, ma il risultato è probabilmente solo ridicolo. «Date le circostanze preferisco non dirglielo al telefono» risponde la voce. «Ci vediamo domani alle sei nel parcheggio in cui ha incontrato mia moglie. Io sarò da solo e lei dovrà esserlo altrettanto.» La voce si fa sempre più metallica a mano a mano che le condizioni vengono elencate. «Non dovrà riferire a nessuno, tantomeno a mia moglie, di questa conversazione. Se anche solo ci proverà,» conclude l’uomo, «la mia offerta non sarà più valida e lei non guadagnerà più quarantamila euro».
Il tizio sembra non scherzare per niente. Per il momento vale la pena continuare a giocare. In fondo, se devo mandare affanculo la mia etica professionale per ventimila, perché non accettare i quaranta? «Affare fatto,» rispondo, «ci vediamo domani alle sei».
«Bene, sono contento. Lei è un…uomo ragionevole».
«E lei uno dal repertorio umoristico originale, vedo».
Ride. «Arrivederci, signor Marini».
Interrompo la telefonata e chiudo gli occhi, pizzicandomi la pelle alla radice del naso. Ho bisogno di rilassarmi. Esco, passo davanti ad Alba ignorandola, lei lo nota ma non dice nulla. Vado al supermercato più vicino e compro una bottiglia di gin e dell’acqua tonica di sottomarca. Torno in ufficio, verso il gin e l’acqua tonica in un bicchiere abbondando con l’alcolico, gratto via un po’ di ghiaccio dal frigo e lo metto nel bicchiere. Mi siedo sulla poltrona. Bevo un sorso del cocktail fai-da-te. Il sapore è schifoso, ma fa il suo mestiere. Domattina la bottiglia sarà finita da un pezzo.
Articolo di Massimo Cecchini