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La strategia del “voto rubato” potrebbe segnare la fine di Donald Trump
Un'armata di teleimbonitori, influencers, opinionisti dei
«Ne ho abbastanza! […] Non so chi abbia mentito e chi abbia detto l’assoluta verità! Ho fiducia in Dio ma sono arrabbiata e confusa». Questo è solo uno dei tanti esempi di messaggi che hanno cominciato a circolare sui gruppi Telegram statunitensi dopo i primi risultati delle elezioni di medio termine, svoltesi l’8 novembre negli USA.
«Ne ho abbastanza. Amo questo paese e la nostra costituzione! Ma non so chi abbia mentito e chi abbia detto la verità assoluta! Sono spaventata, confido in Dio ma sono arrabbiata e confusa. Dite la verità. Voglio essere felice e sapere tutta la verità». Fonte: Telegram
Nel corso degli ultimi cento anni di storia statunitense, solamente tre volte il partito di un presidente in carica è riuscito a non perdere, nel corso delle elezioni di metà mandato, neanche un seggio del Senato e meno di 10 alla Camera: nel 1934 sotto la prima presidenza di Franklin Delano Roosevelt, fautore del New Deal, nel 1962 a seguito della crisi dei missili di Cuba e nel 2002, un anno dopo l’attentato alle Torri Gemelle.
Dall’8 novembre, sembra possibile che un quarto anno sia aggiunto alla lista: il 2022, con dei risultati delle midterm che sembrano dimostrare come negli Stati Uniti la volontà di proteggere la democrazia possa prevalere sul cospirazionismo trumpiano. Un cospirazionismo che, nonostante la condanna mondiale per i fatti del 6 gennaio e l’inesistenza di prove che supportino la teoria della frode elettorale, è rimasto molto presente nel panorama politico statunitense. Gruppi armati che fanno la ronda attorno a urne elettorali, un intero ecosistema di influencers che si arricchiscono grazie alla “Grande Bugia” delle elezioni rubate, e ben 291 candidati ufficiali su 596 del partito repubblicano che hanno messo in dubbio la legittimità della vittoria di Biden.
In queste midterm, gli Stati considerati decisivi per potersi aggiudicare la maggioranza alla Camera e al Senato, dove i risultati di norma sono difficilmente prevedibili (gli swing states), sono stati la Pennsylvania, Georgia, Arizona e Nevada. La Pennsylvania si è tinta di blu con la vittoria al Senato del sindacalista John Fetterman. Si tratta di una vittoria non scontata se si pensa che, lo scorso maggio, Fetterman è stato colpito da un’ischemia causata da trombosi. Pur non riscontrando danni cognitivi, il candidato ha avuto per diverso tempo difficoltà uditive e di lettura, perdendo alcuni punti nei sondaggi. In Georgia il democratico Raphael Warnock, pastore della chiesa battista Ebenezer di Atlanta, sembra essere in leggero vantaggio sull’ex giocatore di football ed election denier Herschel Walker, tuttavia bisognerà attendere il ballottaggio del 6 dicembre per conoscere l’esito definitivo. Nello Stato dell’Arizona, il democratico ed ex astronauta Mark Kelly ha vinto con il 51,6% di voti contro un altro election denier, il candidato Blake Masters. In occasione delle elezioni di metà mandato si è votato anche per eleggere i governatori di ben trentasei su cinquanta Stati, tra cui proprio l’Arizona. Qui, la candidata Kari Lake è stata battuta dalla democratica Katie Hobbs. Lake, ex giornalista, ex democratica che ha fatto proprie le teorie trumpiane, ha pubblicato un video in cui invita i suoi sostenitori a non demordere: «Arizona, we are still in the fight».
Decisiva è stata la vittoria in Nevada della senatrice Catherine Cortez Masto. In carica già dal 2017 e prima donna di origini latinoamericane ad occupare un posto in Senato, ha consentito ai Democratici di ottenere la maggioranza in Camera alta. La Camera bassa è passata, invece, nelle mani dei Repubblicani con 222 seggi, contro i 213 ottenuti dai Dem.
Nonostante alcune vittorie importanti, come la riconferma in Wisconsin del senatore Ron Johnson, fedele alleato di Trump, la temuta “red wave”, che si pensava avrebbe portato i Repubblicani a dominare il Congresso, non si è verificata. Ciò nonostante, dei 291 candidati, oltre 160 negazionisti della vittoria di Biden sono stati eletti ed ora siederanno alla Camera, al Senato e saranno a capo di alcuni Stati per i prossimi due, sei e quattro anni.
La lunga notte del voto rubato
L’espressione “Stop the Steal” viene utilizzata per la prima volta durante le elezioni del 2016 e quelle per il governatore della Florida del 2018 da Roger Stone, ex consigliere personale di Trump, condannato nel 2019 a quarant’anni di carcere – e poi graziato dal tycoon – per intralcio alla giustizia, falsa testimonianza e corruzione di testimoni nell’ambito dell’inchiesta “Russiagate” sulle sospette interferenze russe nelle elezioni presidenziali del 2016.
Nel 2020, quando durante gli ultimi mesi di campagna elettorale i media iniziano a dare quasi per certa la vittoria di Biden, Trump comincia a parlare delle possibili frodi che lo avrebbero profondamente danneggiato. Insinuazioni che fanno presa perché il terreno era già stato preparato negli anni precedenti grazie a personalità come Mike Lindell, Rudy Giuliani e soprattutto Steve Bannon. Ex “capo stratega” della presidenza Trump è attualmente sotto processo perché accusato di aver utilizzato, per spese personali, più di un milione di dollari delle donazioni ricevute attraverso il progetto di crowdfunding “Build the Wall”, finalizzato a costruire privatamente il muro tra Messico e Stati Uniti. Bannon è anche autore del podcast complottista “War Room”, rimosso dalle piattaforme di Youtube e Spotify e inglobato nel network di propaganda trumpiana “Real America’s Voice”. Questa trasmissione ha dato vita ad una vera e propria community e ad un ampio numero di seguaci che si è riunito su moltissimi gruppi Telegram dove la diffusione di congiure e prove di presunti imbrogli sono all’ordine del giorno. La notte fra il 3 e il 4 novembre, quando i principali media e persino Fox News annunciano la vittoria di Joe Biden, milioni di persone si sentono prese in giro. Il 5 novembre, su Facebook, viene creato il gruppo “Stop the Steal”, che in ventidue ore raggiunge oltre i 300mila iscritti, arrivando a guadagnare cento iscritti ogni dieci secondi prima che la piattaforma lo chiudesse.
Trump si rifiuta di accettare la sconfitta e intenta cause in diversi Stati per ottenere un riconteggio. Le modalità di spoglio elettorale in molte contee contribuiscono alla creazione del mito della vittoria rubata: in piena pandemia, molti Stati avevano reso più facile votare per posta e molti elettori Dem avevano optato per questo metodo. Questi voti in alcune contee vengono contati dopo quelli depositati in cabina elettorale, portando a un vantaggio repubblicano apparentemente schiacciante nelle prime ore dello spoglio, poi ribaltato una volta che si erano iniziati a contare i voti per posta.
In diversi swing states, gli elettori repubblicani si presentano ai seggi elettorali richiedendo, in alcuni casi in modo violento, di entrare e assistere al riconteggio. Su Telegram si moltiplicano gruppi il cui unico scopo era quello di controllare che tutto si svolgesse correttamente, gruppi che tuttora sono in uso e che i redattori di Scomodo hanno iniziato a monitorare dal 2020.
Teorie assurde, come quella che la Cina avesse contribuito allo Steal, portano nella contea di Maricopa a un controllo in controluce della filigrana dei fogli usati per votare, che avrebbe dovuto rivelare la presenza di tracce di bambù nella carta (in quanto proveniente dalla Cina). Nei tempi morti, su questi gruppi Telegram, gli utenti inviano articoli sul Deep State e partecipano a call collettive in cui si pregava affinché Dio rivelasse il vero risultato delle elezioni.
Quando il riconteggio non dà il risultato sperato, il dissenso cresce fino a sfociare nell’assalto di Capitol Hill nel 6 gennaio 2021 a seguito di un comizio durante il quale Trump aveva aizzato la folla a marciare sul Campidoglio. Molti dei presenti quel giorno erano anche membri di organizzazioni paramilitari come quella degli Oath Keepers e dei Proud Boys (ne abbiamo già parlato su Scomodo qui), oggi meno influenti poiché molti dei loro membri sono stati arrestati e processati, ma che ancora esistono. Ad esempio, a seguito dell’uscita del documentario cospirazionista 2000 Mules secondo cui il Partito Democratico avrebbe assunto dei corrieri per depositare un gran numero di finte schede nelle urne elettorali dove si può lasciare il proprio voto in anticipo, gli Oath Keepers si sono dati il compito durante le midterm 2022 di sorvegliare – armati – queste urne.
Operazione “Watch the Vote”
Il mito delle elezioni rubate è rimasto vivo nei sostenitori di Trump fino al 2022 grazie a una serie di teorie cospirazioniste online amplificate da podcast come quello di Steve Bannon, poi ricondivise su piattaforme come Parler, Gab, Rumble e Truth Social – il social media fondato da Trump stesso – dove l’universo MAGA è migrato quando Trump è stato bannato dai social convenzionali, oltre che su numerosi gruppi Telegram.
Bannon ha dichiarato che «ci riprenderemo questo Paese, villaggio per villaggio, seggio per seggio» mentre già da febbraio 2020, poche settimane dopo aver ottenuto la grazia, promuoveva dalla War Room la “precinct strategy” che ha elaborato con Dan Schultz, affiliato agli Oath Keepers, per non farsi sfuggire le prossime elezioni. Questa strategia prevede la sorveglianza del processo elettorale a tutti i livelli, integrandosi nel partito repubblicano, cercando di selezionare scrutatori o rappresentanti di lista fedeli alla causa o, in caso contrario, incitando gli adepti a presentarsi ai luoghi di voto come vigilanti fai-da-te.
Queste tattiche, abbracciate apertamente dalle frange trumpiane che abbiamo monitorato in questi anni e in maniera meno esplicita dall’establishment del Partito Repubblicano, non sono altro che la versione più contemporanea delle infinite modalità di voter suppression onnipresenti della storia americana (di cui ne avevamo già parlato su Scomodo qui).
Come principale conseguenza legislativa della Grande Bugia, negli scorsi anni varie camere statali a maggioranza repubblicana hanno implementato leggi che avrebbero dovuto migliorare la sicurezza delle elezioni, le quali hanno avuto però come effetto primario quello di rendere l’accesso al voto ancora più difficoltoso, specialmente per quelle fasce di popolazione già svantaggiate dal sistema politico americano.
Dopo anni in cui i repubblicani hanno adottato leggi per limitare il voto, temendo che più affluenza equivalga a un’ipoteca democratica sulle elezioni, per queste elezioni di medio termine un’armata di teleimbonitori, influencers, opinionisti di “media alternativi”, milizie di estrema destra e l’ex presidente stesso hanno incitato la loro base a cercare di prendere il controllo il più possibile del processo elettorale. Lo scopo è quello di contestare più voti avversari possibili ed eleggere candidati fedeli alla causa al Congresso e in ruoli chiave come quelli di governatore o di segretario di Stato per rovesciare l’esito delle presidenziali del 2020 o almeno assicurarsi quello del 2024.
Tutto questo è avvenuto principalmente nel sottobosco dei social media alternativi (e quindi con scarsa moderazione), tra cui ovviamente un’infinità di canali Telegram che non hanno mai smesso di portare avanti le vecchie teorie, ovvero il furto delle presidenziali del 2020, integrando nel tempo le altre che man mano si sono presentate negli scorsi due anni. Tra queste, quelle che sostengono che che Biden sia un clone, che l’uomo che è andato a cercare Nancy Pelosi per ucciderla con un martello non sia altro che l’amante del marito, che l’invio di armi all’Ucraina sia un’operazione di riciclaggio per finanziare il Partito Democratico e, ovviamente, che le elezioni di medio termine sarebbero state rubate.
Almeno da quanto risulta dai gruppi Telegram, che la redazione di Scomodo ha monitorato, l’ecosistema dell’informazione alternativa che nega che in USA ci possano essere elezioni regolari è un grande pastiche in cui convivono narrazioni molto diverse e, a tratti, apparentemente contraddittorie. Si lotta contro la vaccinazione obbligatoria in quanto piano di genocidio mondiale mentre allo stesso tempo si esalta il ruolo di Trump nell’accelerare lo sviluppo dei vaccini. Le grandi multinazionali vengono assimilate al Deep State da combattere mentre viene celebrata la politica economica trumpista che ha varato un taglio delle tasse per più di 2 trilioni che favorisce fortemente le multinazionali. Si sostiene l’esistenza di un piano delle “élite globaliste” per attuare un nuovo ordine mondiale (spesso con tinte antisemite) mentre allo stesso tempo ci si rassicura che Trump sia diretto emissario, esecutore della volontà di Dio. Non mancano utenti di stampo più tradizionale come nazionalisti cristiani, simpatizzanti di estrema destra o del nazismo, sostenitori della teoria della sostituzione etnica, amanti del regime russo per via delle sue tinte omofobe e tradizionaliste.
Nei giorni precedenti alle elezioni, come prevedibile, la mole di contenuti creati, condivisi e commentati si è intensificata. Per esemplificare le ripercussioni sul campo della retorica della “precinct strategy“, abbiamo seguito dall’interno una chat di poll watchers dell’Illinois, ovvero un gruppo di persone che hanno colto l’appello trumpiano a organizzarsi per controllare (senza alcuna carica ufficiale) tutto ciò che avveniva ai seggi. Va specificato che in Illinois non c’erano particolari ragioni per sospettare una frode, infatti i candidati senatrice e governatore democratici hanno vinto con più del 12% di distacco. Durante l’election day, vari utenti hanno segnalato che l’inchiostro di alcuni pennarelli utilizzati per esprimere il voto produceva sbavature, mostrandosi scettici alla versione ufficiale che sostiene che le macchine per il conteggio dei voti ignorano le sbavature. Altro grande tema discusso nel gruppo è la ricerca di wifi sospetti: all’alba del voto sono stati diffusi comunicati che incitavano a cercare reti wireless nell’area dei seggi, anche con app apposite; screenshot di nomi di reti wifi sono quindi stati portati come prove del fatto che le macchine elettorali sarebbero connesse a internet e quindi manipolabili.
Persino i canali ufficiali di alcuni candidati, oltre a comunicazioni che invitano a prepararsi a combattere in caso di furto elettorale, riportano post, video e articoli che non vengono pubblicati nei loro canali social tradizionali, perché potrebbero portare a un ban per disinformazione o in alcuni casi hate speech.
In ogni modo, nel corso della notte elettorale e durante lo spoglio nei giorni successivi la narrazione degli account dei candidati più oltranzisti è diventata univoca: è successo di nuovo, l’elezione che in realtà abbiamo stravinto ci è stata rubata, non bisogna assolutamente accettare la sconfitta. I rallentamenti nella votazione segnalati in alcuni seggi in Arizona, Nevada e una contea della Pennsylvania per problemi tecnici sono in realtà sabotaggi, la lentezza per il conteggio dei voti in Nevada e Arizona non è dovuta ai complicati requisiti necessari per autenticare le schede postali (spesso istituiti dalle leggi per la sicurezza elettorale approvate proprio dai Repubblicani), ma sono in realtà dovuti alla necessità di prendere tempo per contraffare più voti.
«300 milioni di biglietti della lotteria vengono venduti in 4 giorni… in poche ore, la commissione sa quanti biglietti vincenti sono stati venduti, l’ora e il luogo in cui il biglietto è stato acquistato. Nel frattempo, l’Arizona continua a contare le schede. American Idol potrebbe totalizzare 50 milioni di voti in una pausa pubblicitaria. Non ci sono scuse, solo truffe». Fonte: Telegram
Per i candidati la vera battaglia inizia adesso: si inizia etichettando le proiezioni dei media tradizionali come tentativi di manipolazione, per poi cominciare a raccogliere e condividere video raccolti proprio dai poll watchers per denunciare l’ipotetica frode con lo scopo di intentare, non appena il conteggio dei voti sarà ufficializzato, innumerevoli cause legali e così invalidare il risultato elettorale.
Sta già finendo l’era di Donald Trump?
Le teorie cospirazioniste, gli election deniers e le presunte frodi denunciate a gran voce con la conseguente diffusione dell’idea dell’illegittimità di Joe Biden come attuale Presidente degli Stati Uniti non sembrano aver condizionato in modo decisivo gli esiti di queste midterm.
Alla luce di questi risultati elettorali molti candidati Rep, soprattutto figure più vicine a ideologie estremiste del partito, si sono battute in ritirata. Alcuni dei più noti beniamini di Trump, candidati al Senato, come Adam Laxalt, considerato un repubblicano MAGA; il Dottor Oz o Donald Bolduc, convinto che il COVID-19 fosse un’idea di Bill Gates per poter iniettare dei microchip tramite vaccino, sono stati sconfitti. Nel complesso, tutti e sei i candidati a segretario di stato appoggiati da Trump e negazionisti delle elezioni sono stati sconfitti, così come i principali aspiranti governatori dello stesso stampo, ovvero Doug Mastriano in Pennsylvania e Kari Lake in Arizona, la quale ha già dichiarato che contesterà il risultato legalmente.
Risultati che hanno deluso le aspettative del GOP, in particolare della sua ala MAGA. Allo stesso tempo però, la stessa notte elettorale ha visto la rielezione di Ron DeSantis a governatore della Florida, con quasi il 20% di scarto e risultando vincitore perfino in contee storicamente favorevoli ai democratici come Miami-Dade. DeSantis, secondo alcuni, incarna l’ala del Partito Repubblicano che non si riconosce più in Trump ed è considerato come un possibile candidato alle elezioni presidenziali del 2024. Sorprendentemente, dopo anni di cieco supporto a Trump, all’indomani delle elezioni non sono stati pochi gli opinion leader repubblicani che hanno scelto di schierarsi pubblicamente a favore dell’italo americano, sostenendo che, forse, era il momento di superare Trump per tornare a vincere.
In ogni caso, il 15 novembre il tycoon ha annunciato la sua candidatura alle prossime elezioni dalla sua tenuta a Mar-a-Lago, il resort dove lo scorso agosto l’FBI ha trovato e sequestrato più di 13.000 documenti che l’ex presidente non aveva riconsegnato alla fine del suo incarico e che includono informazioni relative agli armamenti nucleari statunitensi e altri temi di sicurezza nazionale.
Nel 2016 e nel 2020, il New York Post (tabloid conservatore della Grande Mela) aveva sostenuto energicamente la candidatura di Trump fin dalle primarie. Il giorno dopo il nuovo annuncio dell’ex presidente, il quotidiano, che ha già soprannominato DeSantis come “DeFuture”, presentava sull’argomento solamente un trafiletto in basso che diceva «Florida man makes announcement».
Ha collaborato Lorenzo Pedrazzi
Articolo di Ginevra Falciani, Ruggero Marino Lazzaroni, Arianna Remoli