Elezioni Usa, guida rapida a numeri e risultati

Dove Biden sta vincendo, con quali elettori e perché con questo ritardo

Siamo quasi alla fine di  una lunga maratona che sembra stia portando Joe Biden a diventare il 46esimo Presidente degli Stati Uniti, ma non tutto è ancora stato detto. Il conteggio dura da giorni, è una competizione serrata come non la si vedeva da ormai 20 anni, ovvero dal famoso Bush contro Gore del 2000 con il riconteggio in Florida. Ma quella che Biden porterebbe a casa, alla fine, non è affatto una vittoria di misura. Aggiudicandosi Pennsylvania, Arizona e Georgia, tra gli ultimi stati in bilico, Biden potrebbe sfondare il muro dei 300 grandi elettori attestandosi a quota 306, con Trump fermo a 232, vincendo le elezioni Usa. Soprattutto, starebbe vincendo rivoluzionando la geografia elettorale degli Stati Uniti in modi solo parzialmente pronosticabili alla vigilia. Diventerebbe, ad esempio, il primo presidente dai tempi di JFK ad essere eletto perdendo sia in Florida che in Ohio.

Geografia di una vittoria

Innanzitutto per gli stati in cui ha perso: la Florida era uno dei cosiddetti “swing states” annunciati nei sondaggi prima della notte elettorale. Inoltre, rappresenta uno dei paesi chiave della “Sun Belt“: quella striscia di stati nel sud degli Stati Uniti che insieme agli stati del Midwest da qualche tornata elettorale si rivela fondamentale per ottenere i 270 grandi elettori necessari alla vittoria federale. Sono ben 29 i grandi elettori che porta a casa il candidato che riesce a posizionarsi in vantaggio nella maggior parte delle contee. E se qui il vincitore non è cambiato rispetto al 2016, lo è la composizione dell’elettorato che lo ha portato alla vittoria.

In Florida il 56,6% della popolazione ha origini latino-americane. Si tratta di esuli dalle dittature socialiste del ‘900 come di discendenti di chi a inizio ‘800 si definiva messicano: una porzione di popolazione decisiva per il suo peso elettorale e molto diversificata al suo interno. Trump ha puntato molto su di loro, visitando più di dieci volte il paese negli ultimi mesi e concentrando comizi e investimenti pubblicitari nello stato negli ultimi giorni della sua campagna. Ormai è entrato nell’immaginario comune lo spot di Trump per invitare i latinos al voto repubblicano dal ritornello “Por Trump, por l’America, por la libertad” pubblicato su Twitter dal POTUS pochi giorni prima dell’Election Day e che rappresentava l’ultimo tassello di una strategia comunicativa in cui Biden veniva dipinto come un dittatore socialista e liberticida venezuelano. Nella contea di Miami-Dade, dove Trump nel 2016 ha perso ottenendo solo il 34% nonostante poi la vittoria a livello statale, era stata proprio la popolazione di origine latino americana alla base della nascita di una blue wave pro Clinton a livello substatale, che poi era stata soffocata dalla maggioranza trumpiana nelle contee più bianche e rurali come quella di Pinellas. Quest’ultima è la stessa dove è stata decisa, sempre dai latinos, la vittoria di Trump ieri notte con un ben più ampio 46%.

La debolezza nell’elettorato latino-americano è costata a Joe Biden anche il Texas: Stato che per la prima volta dopo decenni sembrava essere tornato terreno di battaglia, grazie ai cambiamenti demografici avvenuti al suo interno. Biden si attesta per ora su un -5.9% che rappresenta un passo indietro rispetto alle Midterm 2018 in cui i dem persero il seggio al Senato per 2.6 punti. Fondamentale, dicevamo, il peso dei latinos: Biden in questa fascia demografica vince solo 59-40, e vede la maggior parte delle contee al confine messicano spostarsi a destra. Persino la Clinton, che pure in Texas perse di 9 punti, ottenne un più rassicurante 65-29 tra gli ispanici. Una percentuale che, se riportata ad oggi, avrebbe forse permesso a Biden di essere competitivo come da pronostico.

L’importanza della demografia nelle elezioni Usa

In generale osservando gli exit poll e le altre voters analysis è chiaro come la mancata performatività di Biden in alcuni stati definiti come chiave dai sondaggi possa essere legata a un potenziale errore di calibratura della sua campagna elettorale, che non è riuscita a parlare a quelle parti di elettorato appartenenti a gruppi etnicamente minoritari o marginalizzati che, se si fosse aggiunta ai lavoratori bianchi ricreduti dopo quattro anni di presidenza Trump, avrebbe decretato una sua vittoria ancora più schiacciante. Più vicina alle previsioni dei sondaggi e ai needle dei diversi gruppi di analisti, che alla vigilia parlavano della possibilità di blue wave e di una vittoria landslide di Biden, capace di raccogliere 351 grandi elettori e di far recuperare ai Dem il controllo del Senato: impresa non riuscita.

Il contrario, rispetto ai latinos, è accaduto nel rapporto tra gli afroamericani e il partito democratico: il sostegno di Biden al movimento Black Lives Matter è stato misurato e mai troppo sbilanciato, ma nella scelta tra i due candidati diverse città popolose e decisive del Midwest come Detroit, nello stato del Michigan, hanno registrato uno schieramento compatto nella comunità afroamericana per Biden, un 89% nello specifico per Detroit. Soprattutto la vittoria in Georgia, storico baluardo repubblicano, è l’esempio lampante di come Biden sia riuscito a tenere insieme un elettorato ampio e variegato, mantenendo un profilo sempre in bilico tra il moderatismo e la radicalità ma mai totalmente sbilanciato verso una delle due posizioni. Rispetto al 2016, il sostegno dei black voters (che in Georgia pesano per il 30%) è rimasto praticamente invariato: 87-11 nel 2020, 89-9 nel 2016. Tuttavia, tra i bianchi ha guadagnato ben 8 punti rispetto a quanto fatto dalla Clinton, limitando i danni verso un 70-29 in favore di Trump. 

L’ultimo fattore che ha permesso a Biden di vincere è la polarizzazione ancora più marcata del voto per aree di residenza. In Arizona, uno degli Stati che i democratici hanno ‘flippato’ rispetto alla vittoria repubblicana del 2016, Biden ha riportato un aumento dell’8% tra i voti espressi nelle aree urbane, che rappresentano la maggioranza assoluta degli elettori con il 54%. Nella contea di Maricopa, quella di Phoenix per intenderci, Trump ha perso 7 punti rispetto al 2016, passando da una vittoria per 3.5 punti ad una sconfitta con lo stesso margine. Nella contea di Pima, dove c’è la città di Tucson, il presidente uscente ha visto il suo svantaggio salire dal 14% al 20% rispetto a 4 anni fa. 

C’è (tanta) posta per te

Il fatto che i risultati non siano stati chiari fin dall‘Election Night ha provocato moltissima confusione e ansia mediatica. È sembrato che tutte le previsioni fatte fossero state disattese più volte, perché il conteggio è stato parziale per ore, a questo punto giorni.

Ma stavolta le colpe – se di colpe si può parlare – non sono imputabili ai sondaggisti. Il primo fattore di confusione è stato imprevedibile nel vero senso della parola, ovvero mai accaduto prima a questi livelli: il voto per posta. Nello scrutinio dei voti di questa tornata elettorale è possibile distinguere due grandi tipi di voti: quelli per posta, gli early votes, quindi chi ha votato prima dell’Election Day, e quelli fisici imbucati ai seggi il 3 novembre. Il fatto che quelli per posta come metodo di voto rappresentassero un’alternativa ha determinato una polarizzazione degli elettori anche nella scelta del metodo di voto creando una distribuzione disomogenea di orientamento tra chi votava fisicamente, per la maggior parte repubblicani, e chi votava in anticipo, quasi tutti democratici. Una distinzione dovuta anche alla diversa percezione della gravità del Covid-19 tra i due schieramenti politici e del rischio di contagio al seggio. 

Questo fenomeno ha assunto proporzioni diverse da stato a stato, ma il trend è rimasto piuttosto stabile. Un certo bias in questo senso era stato ampiamente previsto prima del voto. Ma non a questi livelli. In Pennsylvania, la ripartizione del milione e mezzo di schede arrivate per posta si aggira intorno al 78%-21% per Biden. Ciò ha portato ad un pattern che si è ripetuto in diversi Stati, soprattutto nel Midwest: un iniziale vantaggio di Trump, recuperato poi da Biden con l’arrivo dei voti per posta. Esattamente quel vantaggio che Trump definisce “magicamente scomparso” in maniera “molto strana”, il Red mirage pronosticato da mesi.

Il problema sta nel fatto che ogni Stato ha deciso in maniera autonoma l’ordine in cui contare le schede. Alcuni hanno proceduto prima al conteggio delle schede postali, caricate in blocco nel sistema elettorale per poi procedere al conteggio dei voti di persona. In quegli Stati, come l’Ohio, una situazione di iniziale vantaggio per Biden si è evoluto, durante la sera delle elezioni, in una vittoria per Trump, a volte anche netta. Altri Stati, invece, non hanno avuto l’autorizzazione per contare i voti postali prima del 3 novembre, procedendo quindi prima alla conta dei voti dell’Election Day. In quei casi, come in Georgia e in alcuni Stati del vecchio “blue wall” (Pennsylvania, Wisconsin, Michigan). In altri casi ancora, come ad esempio in North Carolina, verranno conteggiati tutti i voti arrivati entro il 12 novembre, nove giorni dopo l’Election Day, purchè spediti entro la data del 3 novembre, appunto. Ciò porterà ulteriori rallentamenti, che non dovrebbero però avere grandi effetti sul risultato finale se Biden, come appare ormai certo, ha raggiunto il magic number di 270 grandi elettori prima, grazie alla vittoria in altri Stati.

Quel che è certo è che queste elezioni stanno dando una grande lezione al mondo della comunicazione politica e ai cittadini, circa il valore del tempo. La democrazia richiede tempo, perché ciascun voto mandato nell’arco di mesi per posta venga controllato. Ci vorrà tempo anche prima che si insedi Biden, e perché Trump consumi tutta l’attenzione mediatica che otterrà mettendo in discussione l’esito dei conteggi e aprendo cause legali. La legge, in generale, è una questione di tempi, e questo mette in crisi chi abita le istituzioni della democrazia.

Nel caso in cui Biden avesse in mano le sorti degli USA sarà estremamente interessante guardare a come riuscirà a trasformare in realtà le promesse che ha fatto ad un elettorato molto ampio e variegato. L’ex Vice President è stato votato come alternativa a Trump, oltre che come rappresentante di tutti i democratici e le democratiche che hanno perso le primarie. Ma soprattutto, dovrà riuscire ad essere Presidente anche di coloro che hanno votato Trump, per ricompattare il paese. 

Articolo di Simone Martuscelli, Marta Bernardi