Come cambiano gli equilibri nel centrodestra italiano

La nomina di Giorgia Meloni a Presidente dei Conservatori e Riformisti Europei (ECR), oltre ad essere un prestigioso riconoscimento personale, contribuisce a chiarire la collocazione e il peso di Fratelli d’Italia nell’attuale centrodestra italiano.

ECR è difatti una delle principali famiglie politiche europee: a partire dalle elezioni del 2019 esprime sessantadue europarlamentari, risultando così il sesto gruppo per numero di deputati a Bruxelles. A seguito dell’abbandono dei tories inglesi, la principale compagine del gruppo di ECR è detenuta dal partito populista polacco Diritto e Giustizia (PiS), rappresentato da venticinque deputati; segue Fratelli d’Italia con sei e il Partito di estrema destra spagnolo Vox con quattro. Per Carlo Fidanza, capo delegazione di Fratelli d’Italia al Parlamento Europeo e intervistato dalla redazione di Scomodo, ECR si pone idealmente nel mezzo tra un Partito Popolare subalterno alla sinistra europea e i “sovranisti sfegatati” che vorrebbero ridurre in brandelli l’Unione, oggi raccolti nel gruppo Identità e Democrazia (ID). Il gruppo dei sovranisti più radicali si è formato all’indomani delle elezioni dello scorso anno ed è il quarto più esteso con settantasei parlamentari; comprende, tra gli altri, Lega, Rassemblement National e Alternative für Deutschland.

La differenza tra i Conservatori Europei e il gruppo di Matteo Salvini, ammette lo stesso Fidanza, non si consuma però su un piano ideologico. Se infatti con il PPE (famiglia europea in cui ancora sopravvive Forza Italia) le divergenze sono più marcate, ECR e ID non di rado assumono posizioni simili. Negli scorsi mesi, ad esempio, entrambi i gruppi si sono opposti al taglio di emissioni di CO2 del 60% entro il 2030; allo stesso modo si sono astenuti dall’adottare una risoluzione volta ad individuare gli strumenti per finanziare il pacchetto Next Generation EU. Le differenze tra i due gruppi sono allora da ricercare altrove e, innanzitutto, nell’intenzione di volersi radicare o meno all’interno delle Istituzioni europee. Il gruppo di Identità e Democrazia dietro la propria sigla, ad oggi, non può contare su una struttura organizzata e a Bruxelles appare isolato. ECR, d’altra parte, può invece vantare una storia più che decennale dentro le istituzioni dell’Unione: fondato nel 2009 dai Conservatori inglesi in polemica con il PPE, è stato a lungo il terzo gruppo più numeroso dell’emiciclo dopo i Popolari stessi e i Socialdemocratici.

Attorno a ECR, inoltre, gravitano numerose fondazioni e think tank legati al mondo conservatore internazionale. Il fiore all’occhiello tra questi è sicuramente New Direction, fondazione finanziata nel 2010 da Margaret Thatcher e indicata da un’inchiesta de L’Espresso come la principale struttura utilizzata dal partito per attrarre donazioni di gruppi industriali e fondazioni vicine ai partiti conservatori internazionali, in particolare quello statunitense. Questo è un dettaglio che aiuta a capire l’importanza strategica, anche in ottica nazionale, della nomina di Giorgia Meloni. Il gruppo ECR mantiene infatti da sempre un rapporto privilegiato con il Partito Repubblicano a stelle e strisce. E mentre la Lega è ancora vista con sospetto a causa delle simpatie dimostrate verso la Russia, la leader di Fratelli d’Italia da vari anni ricerca contatti sempre più stretti con la galassia statunitense dell’Elefantino. Soltanto lo scorso anno ha partecipato a Washington al tradizionale National Prayer’s Breakfeast ed è stata invitata poco dopo alla Conservative Political Action Conference, la convention annuale dei Repubblicani. In quest’occasione Giorgia Meloni è intervenuta sul palco presentandosi come “italiana ed europea”, auspicando la Nascita di una “Europa unita di Stati sovrani”, senza dimenticare ovviamente di ringraziare il gruppo dei Conservatori e Riformisti Europei.

I panni sporchi si lavano in coalizione

Matteo Salvini non è più il capo politico indiscusso del centrodestra. Gli equilibri di potere, tempo fa ben saldi, hanno da poche settimane subito una definitiva scossa che rischia di mettere in discussione il ruolo di tutti i principali attori della coalizione. Il risultato delle regionali in particolare ha messo poi ancor di più sotto una cattiva luce l’attuale leader politico, che sta attirando su di sé, grazie a pronostici non mantenuti e ad uscite eccessivamente goliardiche, una sfiducia generale da parte degli ambienti sia esterni alla coalizione che, soprattutto, interni. “Vinceremo 7-0. Ci stiamo lavorando”: da Cernobbio il leader del Carroccio pronosticava così il risultato delle regionali. Ma il risultato prospettato non è arrivato e l’attendibilità di Salvini come capo politico rischia sempre più di sfaldarsi, aggravata da uscite grossolanamente ottimistiche che cominciano a svilire di credibilità il suo reale progetto politico.

Se il taglio sovranista stia perdendo il magnetismo che aveva sui suoi elettori non è ancora ben chiaro; ciò che però resta indubbio è l’emorragia di consensi. Secondo i sondaggi elettorali rilasciati lo scorso 11 ottobre dall’agenzia Quorum la Lega, il partito che alle europee aveva dominato prendendo il 34,3%, si trova ora, con 0,7 punti persi in quattro mesi, al 25,5%, appena 2,2 punti percentuali sopra il Partito Democratico, tutt’ora secondo partito d’Italia. Ma il partito che più risulta in ascesa in questo momento, sempre secondo quanto riportato da Quorum, è Fratelli d’Italia, che rispetto alle scorse Europee registra 10,1 punti percentuali in più.

C’è tuttavia, a margine di questi numeri sopra evidenziati, una considerazione da fare: il centrodestra nel suo complesso non sta perdendo elettori, né il centrosinistra ne sta acquisendo di nuovi. I numeri mostrano così il segnale concreto di come effettivamente l’asse del consenso non si stia spostando di netto da destra a sinistra, ma stia piuttosto gravitando all’interno della stessa coalizione, con Fratelli d’Italia che avendo oramai superato il M5S (15,3%) trova nella sua costante crescita un leader politico, Giorgia Meloni, sempre più inarrestabile sul piano del consenso. Ciò che resta limpido è che al momento l’asse del consenso nel centrodestra si sta orientando sempre più verso la Meloni; e sembra verosimile, dai recenti sviluppi testimoniati dai sondaggi, che qualcosa possa cambiare. A farlo potrebbe essere Salvini stesso o, sul lungo termine ed indirettamente, in caso di totale inerzia, gli stessi elettori del centrodestra.

Un sondaggio Ipsos segnala come il 29% degli elettori veda la Meloni come leader di coalizione, contro il 25% di Salvini. A questi elementi statistici si aggiunge l’affermazione sul panorama internazionale della leader di Fratelli d’Italia che, tramite tutte le conseguenze politiche che derivano dalla nomina a Presidente dell’ECR di cui si parlava precedentemente, potrebbe portare una nuova e necessaria aria di moderatismo politico all’interno della coalizione. Ciò che però non bisogna trascurare sono il peso politico che conserva l’attuale leader della Lega e le altre carte che resterebbero effettivamente in mano a Matteo Salvini, che attualmente rimane, di fatto, pur sempre il volto più in grado potenzialmente di acquisire consensi. Non a caso nelle ultime settimane lo stesso leader della Lega, assieme a Giorgetti, ha preannunciato una prima parziale svolta europeista con una serie di dichiarazioni che fanno intendere un iniziale avvicinamento alle forze politiche europee: pur dichiarando di non avere all’ordine del giorno l’ingresso nel Ppe, il leader del carroccio ha annunciato di voler intraprendere un tour europeo nelle principali capitali per incontrare i leader di governo e dei principali partiti della comunità europea. Per poi dichiarare: “Prendiamo atto che l’Europa sta cambiando come volevamo noi, la Banca Centrale Europea sta facendo finalmente quello che chiedevamo”. Che sia una scelta meramente opportunistica o no, sembra essere dalle prime impressioni la scelta più in linea con l’onda positiva che sta pure travolgendo la leader contendente, e soprattutto la scelta che più cercherebbe di intercettare il sentimento dei voti persi. Ciò che è certo è che pure il leader sovranista Salvini stia tentando di smuovere delle acque che cominciano a sapere di muffa, e che per farlo sia disposto a cambiare rotta.

Ma la forza politica che in termini di numeri più ha risentito della coalizione sovranista e che necessariamente e più di altre avrà bisogno di scuotere il proprio elettorato è Forza Italia, un partito che raccoglie la quota di consenso minore all’interno della coalizione e che ha visto nel vincitore in Liguria Toti con il suo nuovo partito “Cambiamo” lo spiraglio per poter contribuire a rilanciare un centrodestra più moderato. A margine del risultato elettorale e assieme alla Carfagna, vicepresidente della camera e notoriamente in contrasto con la politica sovranista Salviniana, il riconfermato governatore della regione Liguria ha richiamato a raccolta il polo berlusconiano moderato con l’intento di rilanciare politicamente l’ala europeista e moderata. Per adesso tuttavia, al livello di fattibilità politica, assomiglia più all’auspicio di una confederazione o di un movimento.

Di Zaiastan e altre storie di periferia 

Oltre al già citato Toti, protagonista di una vittoria importante nell’unica regione dove PD e Movimento 5 Stelle riproponevano in coalizione lo schieramento attualmente al governo, un’altra figura politica ha garantito un successo al centrodestra attraverso un’impostazione molto personalistica: Luca Zaia si è confermato alla guida della Regione Veneto con il 76,7%, diventando il governatore più votato della storia repubblicana. Qualche numero può dare un’idea del trionfo del leghista in Veneto: la sola lista Zaia Presidente ha ottenuto il 44,5% dei voti contro il 16,9% della lista di partito della Lega; inoltre, in elettori reali la lista Zaia ha raccolto 916mila voti: poco sotto la soglia di sbarramento per le elezioni Politiche 2018 (980mila circa) e maggiori dei voti raccolti dal Movimento 5 Stelle in questa tornata di Regionali in tutta Italia. La sua gestione di polso della pandemia in una delle regioni colpite più presto e più duramente ha dato la definitiva notorietà su scala nazionale ad una figura già molto apprezzata nella Lega, che però ha più volte affermato come il suo interesse e le sue energie siano dedicate esclusivamente al Veneto. Ribadendo il suo disinteresse, per il momento, alla segreteria di partito. Ma sono molti ormai quelli che lo indicano come l’uomo capace di invertire il trend negativo del partito di via Bellerio. Un sondaggio Ipsos rilasciato il 23 settembre ha chiesto ad un campione di Italiani quale sarà il leader della Lega nel prossimo futuro tra i due, ed il 35% degli intervistati hanno risposto positivamente alla leadership di Zaia, contro un 45% per Salvini.

La Lega, e quindi il centrodestra tutto hanno bisogno di interrogarsi profondamente su un rilancio in termini di uomini e di idee al di sotto del Po, e devono farlo presto: oltre alle regionali in Calabria, che avranno luogo al più presto per il posto lasciato vuoto dalla tragica scomparsa della neoeletta Santelli, il 2021 sarà l’anno in cui diverse città importanti si presenteranno al voto amministrativo. E tra queste ci sono anche due metropoli come Roma e Napoli. Se su Roma la partita sembra essere assegnata a Fratelli d’Italia, con un nome esterno al mondo delle segreterie di partito come outsider, su Napoli grande è la confusione sotto il cielo del centrodestra. Quello che è, e rimane, il partito più alto nei consensi in Italia non può permettersi di lasciare nel Paese enormi zone ‘franche’, in cui non solo non esprime rappresentanti nelle istituzioni ma quanto meno una parvenza di classe dirigente. La concorrenza è serrata, e non arriva solo da sinistra.

Articolo di Andrea Calà, Alessio Civita, Simone Martuscelli, Michele Gambirasi, Thomas Massimo Vicentini