Etnia

06/10/2020

 

“In Italia il mercato del lavoro sta tardando ad adeguarsi alle direttive antidiscriminazione prescritte dall’Unione Europea.”

Va specificato in merito al titolo della sezione che un esame critico della nozione di etnia, secondo diversi studi antropologici, conduce addirittura a dubitare dell’effettiva esistenza della stessa in quanto entità definita. Possiamo dire che non sia altro se non una categoria di analisi che permette di indagare una realtà sociale in movimento. La sezione è stata quindi raccolta sotto questo nome, nonostante sia il contenitore di una riflessione più ampia, che è andata ad analizzare il concetto di identità e quella tendenza per cui, in un mondo che sempre più spesso punta all’internazionalità, esiste ancora una spinta opposta, da parte di famiglie, clan, stirpi, etnie, che tende a riconoscersi e aggregarsi in gruppi minoritari, contraddistinti da caratteristiche proprie.

La fenomenologia delle minoranze rivela una grande eterogeneità di situazioni: ne esistono alcune divenute tali sul loro stesso territorio, altre che in origine erano straniere nel Paese in cui vivevano. Alcune si identificano con il territorio che occupano e quindi si possono definire minoritarie soltanto politicamente, hanno ad esempio una loro nazione o nazionalità ma non uno stato (come i curdi). Altre sono delle minoranze prive di una base territoriale comune (il caso dei popoli RSC, rom sinti caminanti, o altri simili). Questi gruppi minoritari sono quindi definiti tali sulla base della visione della società globale, che li identifica come portatori di caratteristiche che si discostano dalla norma che essa definisce.

Avendo quindi caratteristiche inconsuete rispetto al resto della società presentano una loro specifica ritualità, delle regole e una cultura nel complesso differente. Questo rende spesso ricca di ostacoli la loro integrazione all’interno della società globale, qualora la desiderino, portando anche a galla il problema della preservazione dell’identità dal momento in cui ci si interfaccia con un mondo ormai estremamente globalizzato.

Uno dei maggiori temi su cui riflettere dal punto di vista dell’integrazione è senza dubbio quello della cittadinanza. La nazione costituisce infatti, nonostante le eccezioni sopra citate, un tratto distintivo dell’identità, tale per cui la cittadinanza non rappresenta soltanto un vincolo giuridico tra soggetto e Stato, ma è bensì costituita anche da un legame storico, culturale, linguistico e religioso, elementi che creano quindi un nesso tra soggetto e nazione. La creazione di un legame particolarmente solido in tal senso non costituisce però naturalmente una garanzia di accesso anche alla cittadinanza. Nel nostro Paese infatti (ma anche in molti altri) alla presenza consolidata di immigrati e ai processi di inserimento, che forniscono nel complesso segnali piuttosto positivi, non corrispondono un numero adeguatamente significativo di acquisizioni di cittadinanza. Questo dimostra come il nostro sia un Paese in cui l’identità etnica rappresenta più spesso un limite, piuttosto che una risorsa, alla partecipazione attiva all’interno dello Stato.

Un altro elemento importante di analisi riguardo il tema dell’identità e dell’integrazione è costituito dal fronte linguistico, centrale in quanto veicolo principale di trasmissione delle norme, delle regole, dei valori e delle tradizioni da una generazione all’altra. Al tempo stesso la lingua rappresenta però spesso anche un ostacolo alla comunicazione e all’integrazione. Come diceva Nicoletta Maraschio, professoressa di storia della lingua italiana all’Università di Firenze e direttrice dell’accademia della Crusca, infatti: “le lingue possono drammaticamente separare i popoli se considerate espressioni di identità monolitiche e chiuse e diventare strumenti potenti e aggressivi di rifiuto dell’altro. Ma le lingue possono invece unire popoli diversi, soprattutto se vengono considerate parti di una competenza linguistica multipla, elementi essenziali di conoscenza del proprio interlocutore e ponti utili per quel dialogo interculturale che tutti invochiamo, ma che è ancora lontano dall’essere realizzato”.

L’effettiva distanza da un dialogo interculturale positivo ed efficace è dimostrata anche dalle persistenti discriminazioni su base etnica e razziale, che sono tutt’oggi all’ordine del giorno nella nostra società, come dimostrano i dati più recenti della Rete europea contro il razzismo (Enar). In particolare, l’accesso al mondo del lavoro per questa parte della popolazione è molto più ricco di ostacoli e difficoltà, e le possibilità di arrivare al termine dei processi di assunzione sono decisamente minori. La crisi finanziaria del 2008 continua ad avere conseguenze particolarmente profonde sull’integrazione e sulle possibilità lavorative delle minoranze. In particolare, i tagli ai budget, in Europa, hanno visto tra i primi punti decurtati quelli riguardanti le iniziative di inclusione delle minoranze.

In Italia è anche il mercato del lavoro che sta tardando ad adeguarsi alle direttive antidiscriminatorie prescritte dall’Unione Europea. Uno dei punti deboli che maggiormente permettono lo sfruttamento dei lavoratori appartenenti alle minoranze etniche nel nostro Paese è la ricattabilità. La legge prevede infatti che il permesso di soggiorno sia strettamente connesso al possesso di un impiego valido. Il risultato è che le fasce più deboli e vulnerabili sono oggi le prime vittime di disumane condizioni di lavoro, maggiormente esposti a incidenti e costretti ad accettare veri e propri salari da fame pur di inserirsi nel panorama lavorativo.

Resta quindi aperto, alla luce delle problematiche che abbiamo cercato di mettere in evidenza nella sezione, l’interrogativo di come le minoranze possano positivamente integrarsi all’interno di una società che di fatto continua ad andare nella direzione opposta, che discrimina e appiattisce, rendendo sempre più rara e complessa la preservazione d’identità, origini e integrazione, elementi che tutt’oggi faticano a coesistere.

Articolo di Arianna Preite

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