La lunga battaglia del lago ex Snia contro le ruspe

02/02/2023

Trentasette anni fa nella centrale nucleare di Černobyl, si verificò la peggiore catastrofe nucleare della storia. Oltre 130mila persone furono evacuate dalla regione, mentre circa 10 chilometri quadrati di boschi di pini nell’area attorno alla centrale morirono a causa dell’assorbimento delle radiazioni. Da allora, grazie all’assenza dell’uomo, l’area si è trasformata in una riserva ricca di biodiversità, popolata da animali selvatici rari e da boschi di pini e betulle.

A Roma, nel quartiere Pigneto-Prenestino, c’è un luogo che, seppur con le dovute distinzioni, è interessato da un processo di rinaturalizzazione simile. Si tratta del lago dell’Ex Snia, o ‘Lago Bullicante’, come è stato soprannominato dai romani: uno specchio d’acqua dolce che è comparso, per una serie incredibile di eventi, all’interno di un’area dove un tempo sorgeva un fabbrica. Il lago è l’unico di tipo naturale situato all’interno del comune di Roma e, con il passare del tempo, ha permesso lo sviluppo di un habitat ricco di biodiversità, prima impensabile per una delle zone più industrializzate e densamente popolate della capitale. L’estensione del lago è di circa 10mila metri quadrati e le sue acque – profonde fino a 9 metri – sono pulite e balneabili. L’area occupa in totale 14 ettari, di cui 6,5 sono pubblici.

Una storia lunga cento anni

La storia di questo lago è lunga e travagliata: dobbiamo spostare le lancette del tempo indietro di un secolo. 

Nel 1923 viene aperta la fabbrica CISA Viscosa, una delle più grandi della capitale, specializzata nella produzione di viscosa, una fibra semisintetica caratterizzata da morbidezza e grandi capacità di assorbimento. La fabbrica chiude dopo trentuno anni, nel 1955, e durante il suo periodo di attività la sua storia si intreccia con quella del Paese, che vive la dittatura fascista prima, l’ingresso nella seconda guerra mondiale poi, e infine la Resistenza e la Liberazione. Nel 1969 avviene la fusione della CISA Viscosa con la SNIA Viscosa e, a seguito di una serie di passaggi di proprietà, negli anni ‘90 viene venduta alla società Ponente 1978 Srl, con sede a Roma, di proprietà del noto costruttore Antonio Pulcini. La società presenta prima al Comune e poi alla Regione Lazio la richiesta di concessione edilizia per costruire un edificio da destinare ad attività produttive su una parte dell’area appena acquistata, che poco dopo verrà rilasciata dall’assessorato all’Urbanistica della Regione. Nel 1992 iniziano i lavori nel cantiere, ma uno sbancamento di circa 10 metri intercetta casualmente una falda acquifera profonda – si scoprirà poi che si tratta delle acque sorgive dell’antico fosso della Marranella – e l’acqua inizia ad affiorare in superficie, formando il lago attuale. Il costruttore decide così di convogliare l’acqua verso il collettore fognario, che però non regge allagando largo Preneste. Nello stesso anno, a seguito dell’inchiesta del quotidiano La Repubblica, che svelò che la planimetria sulla base della quale era stata rilasciata la concessione edilizia era stata in parte falsificata, le licenze furono annullate. 

 

Nel 1994 il Comune di Roma avvia la procedura di esproprio e approva il progetto della sistemazione a verde pubblico attrezzato di parte dell’area Snia Viscosa: il parco verrà inaugurato nel 1997. Nel 1995 l’intera area viene vincolata dal Sovrintendente La Regina per l’interesse paesaggistico dei contesti di giacenza dei monumenti antichi, mentre i reparti ex Snia dismessi vengono riconosciuti beni di archeologia industriale.

Da quel momento i veri protagonisti della storia diventano le associazioni e i residenti del quartiere, che ingaggiano una lunga battaglia con le Istituzioni per il riconoscimento dell’area come naturalisticamente rilevante.

La coraggiosa battaglia delle associazioni

Il 14 febbraio del 1995 vengono occupati alcuni spazi dell’ex fabbrica Snia Viscosa come presidio permanente sull’intera area, avviando un’esperienza di autogestione e autoproduzione culturale. Nasce così il Centro Sociale Occupato Autogestito CSOA ex SNIA, tutt’ora attivo.

Nel 2007 nasce il Comitato del Parco delle Energie, impegnato nella difesa del parco, che confluirà poi nel Forum  del Parco delle Energie, istituito l’anno successivo. Negli anni seguenti il Forum continuerà a portare avanti le sue azioni di sensibilizzazione e le richieste di tutela e di allargamento del vincolo naturalistico all’intera area dell’Ex Snia Viscosa, sia al Comune che alla Regione.

Finalmente, nel giugno del 2020, il lago ex Snia Viscosa, la pineta e il già istituito Parco delle Energie diventano Monumento naturale con decreto del Presidente della Regione Lazio. Restano esclusi però i vecchi ruderi, sotto la proprietà del costruttore Pulcini, che occupano più della metà dell’intera area. Due anni dopo, la Direzione Regionale Ambiente rende noto che è stato avviato il procedimento per la proposta di estensione del perimetro del Monumento Naturale anche all’area dell’ex fabbrica. Nel novembre del 2022 il presidente della Regione, Nicola Zingaretti, annuncia però le sue dimissioni e la firma del decreto resta, ad oggi, sospesa. In realtà la precedente Giunta capitolina aveva già approvato l’adozione di una variante urbanistica per l’area ex Snia-Viscosa da destinare a verde e servizi, ma la proposta non è poi stata recepita dal successivo e attuale Assessore all’Urbanistica, Maurizio Veloccia. Adesso le sorti dell’ex Snia sono tutte nelle mani della Regione.

         Sabrina Baldacci, attivista del Forum Territoriale Permanente

Intanto, gli attivisti riuniti sotto il Forum Territoriale Permanente continuano a tenere alta l’attenzione sulla vicenda, senza lasciarsi scoraggiare dall’inerzia dell’amministrazione locale. Lunedì 16 gennaio si è tenuto, presso la Piccola Protomoteca del Campidoglio, un convegno dal titolo ‘La Biodiversità sotto casa’, a cui hanno preso parte diversi esperti, ricercatori, esponenti del Forum e consiglieri comunali per discutere del processo di rinaturazione spontanea dell’area e delle sue prospettive future.

“È possibile la creazione di un parco archeologico nell’area”, ha spiegato durante il convegno Michele Colucci, primo ricercatore presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche – Istituto di studi sul Mediterraneo (ISMed-CNR). “In Italia esistono già molti luoghi in cui convivono manufatti di archeologia industriale ed esperienze di naturalizzazione: sono un esempio il parco sul lago Maggiore con le vecchie fornaci di Ispra; i siti minerari delle aree ex industriali in Sardegna interessati da processi di naturalizzazione; e ancora, il Parco naturale del fiume Sile a Treviso e il villaggio industriale a Crespi D’Adda.

Lorenzo Romito, architetto, professore alla Kunst Universitat di Linz,  presidente e co-fondatore di Stalker.

“La natura sviluppa relazioni ecologiche e processi che cercano di elaborare il danno causato dall’uomo. In questo senso la natura è un nostro ‘competitor’”, ha aggiunto Lorenzo Romito, architetto, professore alla Kunst Universitat di Linz, presidente e co-fondatore di Stalker, pratica collettiva che pone l’accento sull’esperienza artistica e sulla valorizzazione delle aree dismesse per cogliere tracce di passati dimenticati. “Questo fatto a Roma ha un modo unico di accadere: sia per le sue particolari condizioni geografiche e idrografiche (si trova nella valle del Tevere, fra due sistemi vulcanici) che per le motivazioni culturali dietro alla sua nascita, ovvero il superamento della polis, la città greca. Roma nasce infatti in simbiosi con la natura e questo rapporto era sacralizzato. Non a caso, i luoghi centrali del culto romano erano i boschi. La vicenda dell’ex Snia – ha aggiunto – dimostra che la natura sa mettere in atto strategie intelligenti, a seguito di danni ambientali, creando le condizioni favorevoli per reagire ai cambiamenti climatici”.

La mattina di domenica 22 gennaio si è svolta una mobilitazione che ha abbracciato idealmente il perimetro del Monumento Naturale per dire no alla speculazione edilizia e chiedere l’esproprio delle aree mancanti. Circa quattromila persone hanno preso parte all’azione dimostrativa. “Parafrasando Chico Mendes – ha dichiarato durante la manifestazione Sabrina Baldacci del Forum Territoriale Permanente -, secondo il quale l’ambientalismo senza lotta di classe è solo giardinaggio, riteniamo che non sia possibile rinunciare a difendere un luogo che, se non ci fosse, dovremmo provare a inventarlo”.

La rivincita della natura

Nel corso degli anni attorno al lago si è sviluppata una vera e propria oasi naturale ricca di biodiversità. “Il Monumento Naturale Lago ex Snia è una preziosissima risorsa per tutta la città di Roma – ci ha spiegato Baldacci – poiché è il suo unico lago naturale, ancorché generato da un abuso, che con la sua acqua proveniente dai Colli Albani garantisce una naturale mitigazione ambientale a fronte della necessità dell’amministrazione di progettare e finanziare interventi che consentano al territorio di adattarsi ai cambiamenti climatici”.

“L’ex Snia è una zona umida”, spiega Enrico Alleva, membro del Consiglio Superiore di Sanità. “Le zone umide sono ecosistemi caratterizzati da una particolare concentrazione di biodiversità, oltre che luoghi di passaggio. Il WWF Pigneto-Prenstino ha censito circa 300 specie botaniche, 11 comunità vegetali, 3 habitat prioritari per l’Unione europea e 62 specie di uccelli, fra i quali tre di interesse comunitario. Il motivo di questa ricchissima biodiversità è attribuito all’elevata qualità dell’acqua del lago e la presenza di suoli poveri, che contribuiscono alla creazione di un habitat ad alta biodiversità. 

L’area protetta rappresenta inoltre uno spazio verde per i residenti di uno dei quadranti più trafficati e inquinati della capitale, dove il consumo di suolo, secondo uno studio Ispra del 2019, è superiore al 62%. Nonostante il 45% della superficie romana sia coperta dal verde, infatti, solo il 50% dei residenti ha una residenza che dista meno di 300 metri da parchi o aree verdi.  “Ad oggi l’inquinamento è la quarta causa di morte prematura nel mondo”, ci spiega l’epidemiologa Lisa Bauleo del Dipartimento di Epidemiologia del SSR – Lazio. “Da questo punto di vista, il verde urbano rappresenta un valido aiuto alla salute: uno studio sulla popolazione romana residente nel 2021, ha mostrato, ad esempio, che l’esposizione al verde è uno dei fattori principali di riduzione del rischio di morte”. 

Un patrimonio da difendere: il Centro studi Maria Baccante

Dopo l’occupazione degli ann’ 90, negli uffici abbandonati dell’ex fabbrica vengono trovati e messi in salvo da un incendio numerosi faldoni contenenti documenti di grande valore storico. Molta di questa documentazione è legata, ad esempio, al ventennio fascista: ci sono che attestano l’iscrizione dei lavoratori al Partito nazionale fascista. Oggi questi documenti sono stati riconosciuti come patrimonio dalla Sovrintendenza e sono custoditi all’interno del Centro di documentazione Maria Baccante – Archivio Storico Viscosa, aperto ufficialmente al pubblico nel 2013 e ospitato nella Casa del Parco delle Energie. Quest’ultima è frutto di un recupero edilizio redatto con metodologia di bioarchitettura dall’Istituto Nazionale di Bioarchitettura di Bolzano. 

Maria Lepre, storica e volontaria del Centro di documentazione Maria Baccante – Archivio Storico Viscosa

“Lo stabilimento della fabbrica – ci racconta Maria Lepre, storica e volontaria presso il Centro di documentazione, che ci ha aperto le porte dell’archivio – era enorme e comprendeva, oltre ai capannoni della fabbrica, lo  spaccio alimentare, la merceria, l’asilo, la mensa degli operai e quella degli impiegati, due chiese e quattro dormitori da 250 posti ciascuno, l’infermeria e addirittura un teatro. Quando la fabbrica era a pieno regime, lavoravano qui circa 2500 operai”.

Il proprietario della Viscosa, Alberto Fassini, decide di costruire la fabbrica in questa zona per diversi motivi: “In primis – spiega Lepre – perché qui all’epoca c’era un bacino di manodopera a costo zero, composta soprattutto da immigrati disoccupati, pronta da sfruttare. In secondo luogo perché si trattava di un’area dell’agro romano di poco valore, che è stata svenduta all’imprenditore. Inoltre, vicino all’area erano presenti un corso d’acqua dolce e una ferrovia, elementi fondamentali per la produzione della viscosa”.

“I documenti raccolti sono suddivisi in tre macrocategorie – spiega Lepre: la documentazione sulle schede del personale, quelle sulla salute degli operai e le planimetrie e i disegni industriali dello stabilimento. Quelle sulla salute sono particolarmente rilevanti – sottolinea – perché all’interno della fabbrica veniva usata una sostanza molto dannosa, il solfuro di carbonio che faceva ammalare gli operai di solfocarbonismo. I vapori rilasciati dalla produzione della viscosa provocavano degli squilibri neurologici nei lavoratori. 

La Snia, inoltre,  era una fabbrica a ciclo continuo, quindi non si spegneva mai. “Nello stabilimento il controllo era maniacale. I caporeparto controllavano ogni movimento dei lavoratori: non era permesso sorridere, ridere o parlare. Ogni disobbedienza alle regole prevedeva una punizione, che spesso si tramutava in una decurtazione della paga. La Snia infatti, non solo era una delle fabbriche più grandi di Roma, ma anche quella con le paghe più basse di tutta Italia”.

Durante la seconda guerra mondiale, la fabbrica si converte all’economia di guerra e sotto lo stabilimento viene costruito un rifugio antiaereo. “La Viscosa è stata protagonista degli scioperi, delle lotte operaie e delle cospirazioni antifasciste. Fin da subito, infatti, gli operai prendono posizione contro il regime fascista, pubblicando delle lettere di critica sul quotidiano l’Unità, sotto il nome di ‘operai della Viscosa’, e organizzando uno sciopero di tre giorni nel 1924.

Dopo la fine della guerra, la fabbrica assume molti partigiani. Quando nel 1949 i sindacati dei lavoratori chimici promuovono una serie di scioperi a tappeto a Roma, gli operai della Snia decidono di occupare la fabbrica per trentadue giorni. Fra questi, c’era Maria Baccante, operaia partigiana a cui è intitolato il Centro studi. 

Il futuro incerto del lago

Il 19 dicembre dicembre scorso un cartello è comparso davanti ai ruderi dell’ex fabbrica. Sopra vi è affisso il permesso di costruzione n. 213, rilasciato alla proprietà privata da Roma Capitale l’11 novembre 2022.

Proprio mentre le associazioni attendevano speranzose il parere definitivo di Ispra richiesto dalla Regione e la firma del presidente Zingaretti per l’ampliamento del Monumento naturale, l’Assessorato alla Programmazione Urbanistica comunale istruiva la richiesta avanzata dalla proprietà di Pulcini, autorizzando un intervento edilizio. Così il 14 dicembre le ruspe della Ponente 1978 sono tornate in azione nell’area dell’ex fabbrica, lasciando sgomenti residenti e attivisti. I lavori, si legge sul cartello, dovrebbero durare almeno tre anni – fino al 18 dicembre 2025 – e sarebbero destinati alla creazione di un polo logistico. La proprietà parla di “ristrutturazione” e fa riferimento alla ricostruzione degli edifici crollati, mentre, secondo l’Assessore Veloccia si tratterebbe di un intervento di “restauro, risanamento e parziale ristrutturazione” dell’area che, in quanto privata, “è consentito”. Per Veloccia, a questo punto, le strade percorribili sono solo due: espropriare tutta l’area, anche se questa opzione prevede tempi e costi importanti; trovare una soluzione che cerchi di contemperare l’interesse pubblico con quello privato. 

Il Forum si è sentito tradito dall’amministrazione comunale: “C’era un patto tra associazioni e politica a vari livelli”, sostengono gli attivisti. “Non sapevamo dell’esistenza di queste carte che permettono al privato di costruire. Perché – si chiedono – non riprendere la delibera di variante della vecchia consiliatura in cui si chiedeva il cambiamento di destinazione d’uso dell’area per farla diventare un parco?”.

Marco Cacciatore, consigliere del Gruppo Misto in Regione e presidente della commissione X Urbanistica, Politiche abitative e Rifiuti

A seguito degli ultimi sviluppi, il consigliere del Gruppo Misto in Regione e presidente della commissione X Urbanistica, Politiche abitative e Rifiuti, Marco Cacciatore, ha deciso di presentare un esposto in procura: “Il permesso di costruire a fini conservativi rilasciato dal Comune è molto ambiguo – afferma -, visto che due terzi del rudere sono crollati a terra. La ritengo una grossa pugnalata alle spalle al Forum e alle parti sociali da parte di tutto il centro sinistra. L’assessore Veloccia ha detto che non può fare nulla perché è una questione di competenza tecnica, ma questo non è vero: la politica ha ruolo di indirizzo e di controllo”.

Intanto, mercoledì 25 gennaio il Forum Territoriale Permanente ha organizzato un sit-in fuori dalla sede della Regione Lazio, per rivendicare la firma dell’allargamento del Monumento naturale prima delle elezioni regionali del 12 e 13 febbraio. “Portiamo tutta la nostra forza e la voce delle quattromila persone che ieri hanno manifestato davanti alla sede istituzionale per ottenere dall’assessora Lombardi e dal Presidente Leodori i passaggi necessari per l’estensione della tutela ambientale”, si legge nella nota diffusa dagli attivisti. 

Nella stessa giornata, l’assemblea capitolina ha approvato la mozione presentata dai gruppi Europa Verde e Sinistra Civica Ecologista che chiede alla Regione di concludere l’iter per l’ampliamento del Monumento Naturale e per l’acquisizione al demanio pubblico del lago Bullicante. 

Il voto unanime espresso dall’Aula Capitolina riconosce così le ragioni della battaglia che le forze sociali hanno intrapreso da decenni contro la speculazione edilizia sull’area dell’ex Snia. Adesso Comune e Regione si trovano di fronte a un bivio: favorire gli interessi privati e la logica della cementificazione o agire a tutela del patrimonio collettivo, tracciando la strada per un futuro più verde e più pulito.

Articolo di Di Alessandro Mancini Foto di Roberto Pioli