In Francia la Loi de Sécurité globale erode i diritti umani

Il 20 Novembre all’Assemblée Nationale, prima camera del sistema legislativo francese, i partiti La République en Marche e Agir hanno presentato il disegno di legge della “Loi de sécurité globale”. Della legge, passata con 146 voti su 180 votanti che in generale accresce il potere delle forze dell’ordine, alcuni articoli sono finiti al centro di una polemica che si protrae da numerose settimane. Negli articoli 20, 21 e 22 il testo prevede un uso arbitrario dei sistemi di videosorveglianza urbana per intensificare l’ordine pubblico, all’evenienza anche con l’ausilio di droni. L’articolo 24, invece, estremamente problematico, vieterebbe di riprendere caratteri distintivi e di riconoscimento di agenti in servizio. La legge e in particolare l’articolo 24, ispirato dal Ministro dell’Interno Gérald Darmanin e dai sindacati di polizia, ha provocato una frana sociale e politica, solamente l’ultima delle espressioni e delle motivazioni del clima di tensione tra Stato e popolazione civile. Il dibattito parlamentare è stato spento dalle garanzie e dalle promesse di Darmanin che i diritti di libertà di stampa e d’espressione sarebbero stati garantiti. Il Senato voterà la legge a gennaio, ma a causa delle polemiche, l’emiciclo – colpito da una crisi di maggioranza proprio per la Loi de Sécurité – sarebbe stato costretto a confrontarsi con la riscrittura dell’articolo 24.

 

Le proteste

Ma ormai la legge è nelle le mani della camera alta, a maggioranza di destra. Come ci spiega la fotogiornalista che lavora per l’agenzia Taranis News Hannah, Nelson Gabin, la prima grande manifestazione contro la legge è stata il 17 novembre, prima che passasse in Assemblea. Quel giorno la Nelson Gabin, a Parigi, ha subito un arresto ingiustificato in seguito a gravi violenze da parte della polizia. “La manifestazione è cominciata subito con degli scontri con la polizia, niente di nuovo” ci racconta “verso la fine, alcuni manifestanti e giornalisti si trovavano intorno all’ingresso della metro di Solferino, la discesa era impossibile per via della folla sulla scalinata. Ero in cima alle scale quando la polizia ha caricato, mi giro, mi prendono dal cappuccio, mi buttano a terra e mi trascinano per 5 o 6 metri. Ho il colletto della giacca completamente stretto intorno alla gola e non riesco a respirare. Mi ammanettano faccia a terra e mi rimettono in piedi, sono davanti a molti giornalisti che hanno visto e ripreso la scena. Dopodiché mi portano via e passerò le successive 17 ore in stato di fermo per «mancata dispersione in seguito a intimazione». Otterrò una diffida e la distruzione della mia maschera antigas.” 

La storia della Nelson Gabin è solo una e probabilmente la meno grave tra le numerose violences policières di queste settimane, dentro e fuori dalle manifestazioni. Uno dei casi più eclatanti è stato il lungo e brutale pestaggio del produttore musicale Michel Zécler, avvenuto in seguito all’irruzione di quattro agenti di polizia nel suo studio perché avvistato per strada senza mascherina. La vicenda (ripresa da una telecamera nella stanza) è stata commentata dal Presidente della Repubblica Emmanuel Macron sottolineando come si trattasse di “fatti e immagini che fanno vergogna alla Francia”. Per quanto riguarda le manifestazioni, le cosiddette “Marches des Libertés”, si stanno cadenzando ogni sabato pomeriggio come grandi mobilitazioni nazionali in centinaia di città del paese, e ogni settimana si arriva a un bilancio inquietante di feriti civili, spesso gravissimi: “Un  uomo ha perso un occhio e un altro la mano durante la manifestazione del 5 dicembre” riferisce la Nelson Gabin. Come è successo per i gilets jaunes e le ultime grandi mobilitazioni popolari nell’Esagono, i movimenti alla base di queste esperienze politiche non vengono egemonizzati da nessun partito, fazione o organizzazione precisa. “Il bello di questo movimento è che non c’è stata un’appropriazione completa da parte di un partito politico. Ovviamente sono presenti durante le manifestazioni, ma il movimento unisce e raccoglie diversi gruppi di persone e di lavoratori in ambiti diversi. Dentro ci si ritrova la lotta contro le violenze in divisa con il comitato Adama (Adama Traoré, ventiquattrenne ucciso dalla polizia nel 2016, NdR) i Sans Papiers, i giornalisti, gli avvocati, eccetera eccetera. Perché questo testo di legge ci riguarda tutti, a partire da noi giornalisti, ma attacca soprattutto il diritto di ogni cittadino alla libera informazione. Sono  le immagini che permettono la lotta alle violenze, senza che faremmo?”.

 

La Francia di Macron e Darmanin

Le rivendicazioni del movimento, oltre ovviamente al ritiro della loi de sécurité sono le dimissioni di Darmanin e del prefetto di Parigi Didier Lallement, responsabile del caso Zécler che ha anche accordato un sostegno finanziario per le spese legali degli agenti sanzionati per il pestaggio. Tutto questo, dai feriti gravi ai centri storici messi a ferro e fuoco, ha portato Governo e Parlamento a una maggiore cautela nelle dichiarazioni come nel procedere con l’iter legislativo. Però, Macron, durante un’intervista esclusiva alla piattaforma di informazione online Brut, ha dato modo di capire quale sia lo stato in cui versi il dibattito pubblico-istituzionale francese.

Chiamato a rispondere dello sgombero con gas lacrimogeno, il 23 novembre, di 500 tende di migranti rimasti per strada a Place de la République (le cui immagini sono state definite “scioccanti” dallo stesso Ministro Darmanin) e poi interrogato sulla maggior parte delle violenze più eclatanti dell’ultimo periodo, Macron parla di violenza da entrambi i lati, violenza diffusa nella società francese, facinorosi e black block come cause effettive degli “incidenti”, si giustifica: la polizia francese non è una polizia all’americana. Sono queste le posizioni dei centristi d’Oltralpe, la stessa Nelson Gabin spiega. “Il governo ci dice che le violenze sono individuali e non istituzionali. Anche se vengono prese misure per combattere contro i singoli incidenti, le singole forzature di mano, a livello sistemico è come se non succedesse niente, la violenza istituzionale reale non viene riconosciuta.” Niente di diverso dalla retorica nostrana delle “mele marce”. A questo punto la perplessità sorge spontanea. Com’è possibile che in Francia, culla europea dei diritti umani, le cui istituzioni repubblicane sono un simbolo mondiale dello Stato di diritto, riesca a passare una legge palesemente liberticida? “Constatare che i voti contro fossero così pochi è stato sconcertante” confessa Hannah Nelson Gabin.

La legge dice alcune cose e ne insinua delle altre. Le promesse di Darmanin evidentemente sono state sufficienti per molti deputati, nonostante le contraddizioni fossero venute alla luce durante lo spazio del dibattito parlamentare. Di fatto non c’è stato una discussione pubblica ben strutturata prima che passasse la legge. Che la volontà popolare non venga ascoltata non è una novità in Francia. Per quanto riguarda il futuro, per quanto riguarda la violenza e l’abuso sistemici, alla luce di quello che vediamo e delle leggi approvate in questo paese la situazione non può che peggiorare. Nonostante la consapevolezza crescente nella popolazione, che ne fa esperienza sul campo.” Sul lungo termine la questione della svolta autoritaria, che secondo la Nelson Gabin è ormai in corso da anni, si interseca con il razzismo e l’islamofobia, tematiche estremamente sentite dal movimento contro la loi de sécurité per ovvi motivi. La parte di Francia che non corrisponde e non può riconoscersi nel dibattito istituzionale è quella che vive le cités, quella che vive il terrore della polizia nella quotidianità perché esiste un problema grave di abusi. E’ una parte di Francia che per le istituzioni rappresenta il trauma insuperato del colonialismo. Ma anche di una segregazione sociale mai pienamente risolta e che accresce i divari nella popolazione civile. 

 

Questo articolo è un adattamento dell’approfondimento Il Presidente non proprio dimezzato che potete trovare sul numero 37 di Scomodo abbonandovi qui.
Articolo di Di Ismaele Calaciura Errante, Antonino Indelicato, Francesca Romana Miti, Federica Scannavacca, Iris Tripodi