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Germania al voto, guida introduttiva alle elezioni dell’anno
Il 26 settembre 2021 si terranno le elezioni in Germania per il nuovo assetto parlamentare, la Bundestag, e il nuovo cancelliere. La particolarità di queste elezioni rispetto a quelle passate è che Angela Merkel, dopo ben 16 anni di governo ininterrotto dal 2005, non correrà più per la carica di cancelliere.
Con il suo ritiro viene lasciato un grande vuoto politico che dovrà essere colmato da un nuovo aspirante alla guida della Repubblica federale, e da un nuovo assetto politico che avrà importanti ricadute sull’Unione Europea – della quale la Germania rappresenta la prima economia e una delle protagoniste nella gestione degli equilibri interni. I partiti in lista con i suoi candidati dovranno attraverso i loro programmi politici affrontare problematiche politiche e sociali causate da più di un anno di pandemia fino ai rapporti con USA, Russia e Cina e alla questione climatica.
I Partiti in Germania
La CDU ha una storia lunga di governo in Germania. Esso è il partito di Konrad Adenauer, di Helmut Kohl e, negli ultimi decenni, di Angela Merkel. Si tratta un partito di centrodestra a vocazione cristiana e atlantista, che ha governato ultimamente la Germania assieme alla CSU, omologo partito che opera solo nello stato della Baviera.
Per le elezioni del 26 settembre la coalizione CDU-CSU è guidata da Armin Laschet, eletto presidente della CDU nel gennaio 2021. Di cultura cattolica ma favorevole a politiche liberali, Laschet ha alle sue spalle una lunga esperienza politica che lo ha portato ad essere parlamentare nella Bundestag nel 1994 e parlamentare europeo nel 1999, oltre a tentare per 2 volte, nel 1998 e nel 2010, di correre per la carica di presidente della CDU. A parte ciò, Laschet è ricordato tra i cittadini tedeschi per i suoi anni trascorsi a partire dal 2005 come Ministro per affari sociali nel Land più popoloso di Germania, il Nordreno-Vestfalia. Nella carica da ministro si è prorogato per una maggiore accoglienza e integrazione dei migranti e dei rifugiati politici, tanto da appoggiare la politica migratoria di Angela Merkel e a compiere un viaggio in un campo profughi in Giordania nella tragica crisi dei rifugiati siriani del 2015.
Il nuovo programma politico della CDU è sostanzialmente simile a quello che ha caratterizzato il partito durante gli anni di presidenza Merkel, ovvero centrista ed europeista. Nello specifico, nell’intervista alla GMF, durante il forum di Bruxelles, Laschet si è presentato come un candidato dinamico e propenso a dare nuovo impulso alla politica tedesca ed europea, criticando l’immobilismo della Merkel di fronte alle proposte alternative di Macron. A questi personaggi si rifà la sua immagine politica, definendosi politicamente energico come il giovane presidente francese ma allo stesso tempo pragmatico come l’attuale cancelliera tedesca. In politica interna, il programma della coalizione è volto a modernizzare l’economia tedesca su tre direzioni: sicurezza sociale, rafforzamento dell’economia, neutralità ambientale. Su quest’ultimo punto, Laschet vuole che la Germania riesca a raggiungere l’obiettivo 2050 di zero emissioni, una politica che vede avvicinare la colazione al suo rivale politico i Verdi. Per quanto riguarda il post pandemia, la politica economica è sempre quella che ha caratterizzato la Germania, ovvero di un attento rigore dei conti pubblici.
Nonostante però l’eredità di 15 anni di governo Merkel, la corsa di Laschet al cancellierato è resa più difficile da una vittoria alle primarie del partito ottenuta per pochi voti contro il rivale della CSU e dell’ala conservatrice Markus Söder, che mostra un partito non compatto sulla sua candidatura. Oltre a ciò, Laschet deve fronteggiare una spinta conservatrice crescente nell’elettorato della CDU, il quale in alcuni Land della Germania dell’est si è spostato verso le posizioni di AfD, e le ricadute politiche dello scandalo che ha coinvolto l’attuale ministro della salute Jens Spahn. Inoltre, il Land governato da Laschet è stato tra i più colpiti dalle alluvioni dello scorso luglio. E il Kanzlerkandidat è incappato, in quest’occasione, in scivoloni gaffe che ne hanno minato la popolarità: come le risate durante il discorso del presidente della Repubblica Steinmeier, in visita nelle zone colpite.
I Verdi sono, invece, la vera sorpresa di queste elezioni. Come tutti i suoi partiti omologhi negli altri paesi europei, essi non hanno mai avuto una grande rilevanza nello scenario politico, molte volte perché fiaccati al loro interno da molte correnti politiche in lotta tra loro. In Germania questo conflitto, presente sin dalla nascita del partito nel 1980, si è appianato con l’affermazione dell’ala moderata a discapito di quella più estremista e grazie alla crescente partecipazione nel processo governativo, come nei governi Schröder dei primi anni duemila.
Il partito è di sinistra ma si distingue dai socialdemocratici della SPD per la sua vocazione ecologista. La presidente e candidata al cancellierato è la giovane quarantenne Annalena Baerbock, molto celebre tra gli attivisti del partito.
Tuttavia, nonostante Baerbock abbia un solido supporto nel suo partito e sia apprezzata per le sue doti di pragmatismo, suscita però perplessità nell’elettorato tedesco per la sua giovane età e per non avere mai occupato un ruolo esecutivo all’interno di un governo. Inoltre, la base elettorale dei Verdi è ancora troppo circoscritta all’interno delle città e nelle fasce ad alto reddito.
L’SPD è il partito più vecchio nel panorama politico tedesco, nato nella seconda metà del XIX secolo. Il partito si colloca a sinistra, con una chiara matrice socialdemocratica. Negli ultimi anni sta subendo un costante declino elettorale – come per molti altri partiti europei dello stesso orientamento – perdendo consensi soprattutto nella sua base storica localizzata nella Germania occidentale. Nonostante ciò, non è rimasto al di fuori dalla coalizione di governo, partecipando agli ultimi due governi di Angela Merkel.
Candidato per il cancellierato è Olaf Scholz, molto apprezzato per la sua lunga storia politica e per le sue competenze. Infatti, Scholz vanta alle sue spalle importanti cariche amministrative, diventando sindaco di Amburgo nel 2011 e Ministro federale delle finanze nel 2018, del quale occupa attualmente la carica. Tuttavia, la strada per diventare cancelliere può dirsi impossibile, a meno di risvolti elettorali eccezionali. La SPD secondo i sondaggi è ferma al 17% contro il 27% della coalizione CDU-CSU e il 19% dei Verdi. In questo scenario, il partito rischierebbe di non essere nemmeno rilevante per un eventuale coalizione di governo tra CDU-CSU e Verdi. Il basso risultato elettorale può essere imputato alla scarsa carica innovativa di un programma che ha come principale obiettivo quello di inseguire i Verdi sulle politiche ambientali, unito ad alcune critiche rivolte al programma di Laschet definito come “neoliberista”.
Alternative für Deutschland, il partito più controverso nelle elezioni in Germania, è stato fondato nel 2013 come organizzazione politica fortemente critica verso l’Unione europea e dalle chiare posizioni identitarie e sovraniste. Nelle elezioni del 2017 sorprende l’Europa diventando il terzo partito per numero di voti, grazie soprattutto a una campagna xenofoba contro le politiche di accoglienza dell’allora governo Merkel. Attualmente l’AFD sembra leggermente al di sotto del risultato di quattro anni fa, risultando nei sondaggi intorno all’11% dietro al partito liberale FDP. Il partito, guidato ora da Alice Weidel e Tino Chrupalla, ha comunque un buon consenso nei länder della Germania orientale, soprattutto nella Sassonia-Anhalt, nonostante lo scandalo per finanziamenti illeciti che lo ha colpito. Stati meno ricchi, con popolazione meno istruita e dove le politiche ambientali avanzate dai partiti precedentemente menzionati non attecchiscono, in quanto zone ancora dipendenti dalle centrali a carbone. Il partito presenta inoltre, come punto focale del proprio programma, l’uscita della Germania dall’Unione europea e l’implementazione di una politica di accoglienza molto più stringente di quella attuale.
L’FDP (Freie Demokratische Partei) Fondato alla fine della Seconda guerra mondiale, è uno dei partiti storici della politica tedesca, avendo fatto parte sin dal secondo Dopoguerra della coalizione CDU-CSU che ha governato la Germania quasi ininterrottamente fino agli inizi degli anni ’90. Negli anni duemila i liberaldemocratici sono stati essenzialmente relegati all’opposizione parlamentare, fino alla partecipazione al secondo governo Merkel nel 2009, per poi restare fuori dal Bundestag (ottenendo il 4,7% contro il 5% della soglia di sbarramento) nel 2013 e rientrarvi nel 2017.
D’ispirazione liberale e propenso a politiche economiche di libero mercato, l’FDP è attualmente guidato da Christian Lindner, il quale è stato l’artefice dello strappo con Angela Merkel nella formazione di una coalizione di governo nel 2017, che ha aperto la strada all’esecutivo con l’SPD. Il programma per le elezioni di settembre verte sulla legalizzazione dell’uso della cannabis, su un taglio consistente delle tasse riguardanti il settore industriale, fortemente colpito dalla pandemia, e riduzione degli oneri burocratici.
Nonostante il leader del partito non sia in corsa per la carica di cancelliere, la FDP registra nei sondaggi il 12% di voti. Per la formazione di una coalizione di governo potrà essere un attore cruciale, anche perché Lindner ha dichiarato che il suo partito non parteciperà ad un esecutivo con i Verdi.
Infine, Die Linke, partito fondato nel 2007, è l’erede del dissoluto partito comunista della Germania dell’Est e del partito di estrema sinistra WASG, fondato nel 2005 in contrapposizione alla SPD.
Il partito è di piccole dimensioni, contando solamente 62.000 membri, ma, ciò nonostante, raccoglie attualmente il 7% dei voti, due punti percentuali in più rispetto alla soglia di sbarramento per entrare nel Bundestag. La sua base elettorale si colloca principalmente nei länder della Germania orientale, anche se, come per l’SPD, subisce la concorrenza dell’AFD.
La particolarità di questo partito sta nel fatto di essere guidato da due donne, Susanne Hennig-Wellsow e Janine Wissle, coerente con una base militante nella quale il 40% dei membri è donna. Il programma si incentra su un forte anti-atlantismo, con la proposta di ritirare tutte le truppe tedesche dalle missioni NATO, e su una critica all’attuale ordine europeo, giudicato troppo neoliberista. In politica economica, viene auspicato un più massiccio intervento dello Stato nell’economia e una più stringente regolamentazione del settore bancario.
Ost/West-Politik
Non ha di certo ceduto a false modestie il candidato dell’Union Armin Laschet quando, in occasione del Forum di Bruxelles dello scorso giugno, ha affermato di ritenere sé stesso, dal punto di vista politico, «un misto tra la sobrietà di Angela Merkel e la passione per le riforme europee di Emmanuel Macron». Ma questa è solo una delle peculiarità del probabile – stando agli attuali sondaggi – futuro cancelliere tedesco, soprattutto per quanto concerne la politica estera.
«Laschet è stato spesso soprannominato il Russland Versteher: colui che capisce i russi» ci racconta Edoardo Toniolatti, giornalista e autore del blog collettivo Kater e della newsletter RESET 2021 proprio su queste elezioni. Da questo punto di vista, però, la linea dell’attuale Ministerpräsident non si discosterebbe troppo da quella merkeliana, fatta di “bastone e carota”. La Germania aveva sostenuto le sanzioni alla Crimea, ed era stata proprio Berlino ad accogliere Aleksej Naval’nij per fornirgli le cure dopo il suo avvelenamento. Ma da pochi giorni è arrivata anche la conferma riguardo al progetto Nord Stream 2 – il gasdotto che collegherà Russia e Germania –; e sempre da parte tedesca era arrivata la proposta, respinta dal Consiglio europeo, di un summit UE-Russia per riprendere il dialogo tra le due istituzioni. In questo senso, Laschet sembra destinato a continuare la linea per cui «con i russi bisogna parlare di più, e non di meno».
Dove però la proposta politica del candidato cancelliere dell’Union potrebbe effettivamente segnare una discontinuità rispetto al regno di Merkel è proprio l’approccio all’integrazione europea. Laschet è nato ad Aachen, una città che per ammissione dello stesso «è più vicina a Parigi che a Berlino»; e che proprio per questa attitudine di “ponte” tra le due potenze europee è stata la sede della firma, nel 2019, del trattato di Aquisgrana (nome italiano) siglati tra Macron e Merkel. Quel documento aveva rilanciato le ambizioni di progettualità europea, sotto il traino (forse fin troppo marcato) di Francia e Germania – e un «franco-entusiasta» come Laschet potrebbe essere l’uomo ideale per riprendere quel piano e superare la freddezza di Merkel. Le riforme europee passano soprattutto dal migliorare la struttura decisionale dell’Unione: un punto condiviso tra i due principali partiti tedeschi (cristiano-democratici e verdi) è il potenziamento del potere legislativo in mano al Parlamento Europeo, così come una maggiore internazionalizzazione del sistema elettorale (vedi liste transnazionali) e il superamento del meccanismo dell’unanimità al Consiglio Europeo.
Ma un capitolo importante è anche quello riguardante le politiche di difesa: Aquisgrana aveva posto le basi per un coordinamento militare franco-tedesco che costituisse l’embrione di un esercito unico europeo, che rappresenterebbe un passo importante verso quella “autonomia strategica” che da tempo l’Europa reclama. Un’indipendenza che si realizzerebbe soprattutto a scapito del principale partner geopolitico e militare tedesco, ovvero gli Stati Uniti: i quali da tempo esortano la Germania a raggiungere la soglia del 2% del PIL dedicata alle spese militari – e quindi al budget NATO. Se la CDU/CSU inserisce quest’obiettivo nel proprio programma, i Verdi rifiutano questo target e premono per un progressivo sforzo verso il disarmo.
Eppure, è proprio qui che nasce il paradosso: la linea pragmatica dell’Union, attenta a non intaccare del tutto i rapporti con importanti partner commerciali (Cina) o energetici (Russia) potrebbe allontanare il partito tradizionalmente più filoatlantico dello scacchiere tedesco dal gradimento di Washington. Gli USA potrebbero invece ripiegare verso i Grünen, eredi al contrario di una tradizione politica di centro-sinistra più scettica sull’appoggio a Washington e sull’impegno militare. Questo perché la linea “idealista” dei Grünen consiste anche in una maggiore durezza nei confronti di Cina e Russia, accusate di violare i diritti umani, in un contesto di una politica estera maggiormente incentrata sulla vicinanza ideologica e morale rispetto alla Realpolitik di CDU/CSU.
Ordoliberalismo, ancora tu?
“Europe’s social peace requires a return to fiscal discipline”, così titola l’editoriale di Wolfgang Schuble sul Financial Times del 2 giugno scorso. Come sottolineato su Twitter da Philipp Heimberger, economista al Vienna Institute for International Economic Studies che da mesi prende posizione contro gli stereotipi europei che vedrebbero i paesi del Sud Europa come irrimediabilmente scansafatiche e quelli del Nord Europa come grandi lavoratori, il titolo ricorda un altro famoso editoriale dell’ex-Ministro delle Finanze tedesco, del 5 settembre 2011: “Why austerity is the only cure for the eurozone”. A detta di Heimberger, Schauble costituirebbe un chiaro esempio della volontà di non imparare dall’evidenza empirica. Schauble, storico braccio destro Merkeliano e negoziatore dei programmi di ristrutturazione del debito greco, costituisce infatti l’esponente preminente di quella corrente tedesca di pensiero ordoliberista che continua a vedere l’Europa come divisa dalla fondamentale linea di demarcazione tra paesi frugali e i “PIIGS” mediterranei e fannulloni. La domanda che è opportuno porsi oggi, tuttavia, è: quanto appoggio trovano ancora simili idee in Germania, in particolare nella CDU che si avvicina a restare orfana della sua Frau Merkel? Toniolatti, interrogato sulla questione, ci conferma che le posizioni di Schauble restano sempre quelle, e che l’ex-ministro mantiene un codazzo di seguaci tra le fila dei Cristiano-Democratici tedeschi.
Laschet, in obbedienza alle cronache politiche che lo descrivono come un moderato, fermo su posizioni più cautelative – simili a quelle della Merkel – sembrerebbe meno estremista sulla questione. O almeno, così pareva. Il 21 giugno scorso, ai microfoni del Financial Times, infatti, l’attuale presidente della Renania Settentrionale-Vestfalia ha rilasciato un’intervista in cui afferma che il Recovery Fund costituisce una misura una tantum, e che dunque simili fenomeni di mutualizzazione del debito e dei rischi assunti nel prendere denaro a prestito sotto un’unica egida europea non si ripeteranno. “Under the Maastricht rules – ha affermato – every country is responsible for its own debts”, per poi proseguire dicendo che “the basic idea is to avoid a situation where one country is liable for the debts of another… and this principle still applies”. Tanti saluti dunque alla possibilità dell’erogazione di Eurobond in pianta stabile. La discussione sulla mutualizzazione del debito a livello europeo è uno dei temi che si sono imposti con maggiore urgenza a seguito dello shock simmetrico che ha comportato l’interruzione delle attività produttive, e dunque il congelamento delle economie nazionali. Sembrava lecito aspettarsi, almeno in questo frangente, che i frugals avessero imparato la lezione e si fossero resi conto di quanto le economie nazionali europee costituissero ormai una rete inestricabile di scambi, connessioni ed interessi reciproci retti dalle fondamenta del mercato comune europeo, inaugurato nell’ormai lontano gennaio 1993, a seguito dell’adozione dell’Atto Comune Europeo.
Tornando alle posizioni tedesche in tema, il partito che più sarebbe “legittimato” ad esprimersi – la SPD – è oggi, come già visto, ai minimi storici. Sebbene Scholz, l’attuale Vicecancelliere e Ministro delle Finanze, costituisca probabilmente la figura di cui l’elettorato tedesco si fiderebbe di più nella posizione di Cancelliere, la prospettiva è quanto più lontana dalla realtà, con i socialdemocratici tedeschi stabilmente dietro la CDU e i Verdi. Questi ultimi, tuttavia, hanno da tempo assunto posizioni più definite sui temi economici, riuscendo a rosicchiare parte dell’elettorato socialdemocratico. Come dichiarato infatti da Sven Giegold – parlamentare europeo membro dei Verdi – al Wall Street Journal, nonostante molte persone pensassero che i Verdi non avrebbero mai elaborato una politica economica e che volessero solo fare “organic farming and vegan Yoga courses”, “these times are over. We are in government already in 11 of 16 länder and in one of them, the prime minister. We are not naive. We know how governing works”.
I Verdi, infatti, vorrebbero rendere il Recovery Fund europeo permanente ed espandere il budget dell’UE finanziato con risorse proprie. Si assestano ormai su posizioni decisamente diverse da quelle della CDU, maggiormente favorevoli all’intervento dello Stato nell’economia e a qualche forma di dirigismo economico. Il primo ostacolo sulla strada che porterebbe infatti lo stato tedesco a farsi investitore in prima persona – “The smart entrepreneur doesn’t save, they invest. The smart state does the same” è quanto si legge sul programma elettorale del partito – è costituito tuttavia dalla clausola costituzionale che impone ad ogni Lander di non superare lo 0.5% di deficit strutturale, ossia quando uno stato spende più di quanto incassa in condizioni ordinarie, strutturali, e non in occasione di cicli economici negativi.
Visto il peso che Schauble e la Merkel hanno avuto nelle negoziazioni in occasioni della crisi finanziaria e nella direzione che la politica economica europea doveva assumere, temi cruciali quali l’eventuale riforma dei parametri di Maastricht costituiranno alcuni tra i dossier scottanti sulla scrivania del prossimo Cancelliere tedesco. I risultati che il 26 settembre ci consegneranno le urne tedesche sono dunque destinati ad avere un impatto cruciale su tutto il Vecchio Continente.
Articolo di Simone Martuscelli, Gianluca Morena, Luigi Simonelli