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Gianluca la fa semplice
di Niccolò Benassi
É sabato pomeriggio e, come ogni sabato pomeriggio, Gianluca va a Messa. Nei suoi 33 anni di vita, ha sempre preso parte alle celebrazioni come gli avevano insegnato al Catechismo o, forse, continua ad andarci solo per rispetto alla madre e alle vecchie abitudini. Non è particolarmente convinto della Fede e, talvolta, si pone delle domande su quale divinità gli stia sopra la testa. Le riflessioni in cui incappa si risolvono, spesso, con risposte alla: «Se non lo hanno capito i grandi filosofi, se non lo ha capito Pavese – che ha preferito il suicidio – come posso arrivarci io, a trentatré anni, disperso in un paesino di montagna?»
Ancora oggi porta le sue domande in Chiesa, e se ne sta lì, ad ascoltare le parole che ormai anticipa, in attesa della fine. Al termine della ricorrenza Gianluca ritorna a casa, dove lo accoglie la foto incorniciata della madre, ora in un ricovero per anziani vicino alla città.
È stata lei a crescerlo e Gianluca sente di doverle molto, alla fine è lei che l’ha protetto, soprattutto da piccolo, quando sentiva la mancanza di un padre; finita l’adolescenza, quando ha iniziato a percepire la necessità d’indipendenza – senza mai ottenerla del tutto – il cesto materno si è trasformato in una gabbia. Oltre alla foto della madre, l’entrata è costeggiata da una schiera di soldatini disposti su una mensola: «Li colleziono da così tanto tempo che è quasi come se fossero reali. So i loro difetti, so come muoverli, so come metterli. Li addobbo, uno per uno, con rosari, parrucche dai capelli lunghi, e altro…», si ripete sempre, guardandoli.
«L’ultimo ho pensato di farlo diventare anche pescatore: una rete, alcune esche…»
Finito il sipario di adorazione per i soldatini, che come sempre dura un quarto d’ora, Gianluca apparecchia in tavola e si appresta a un altro sabato di polpette d’asporto – da quando Poco (una catena di minimarket) ha aperto il reparto ristorazione ne è diventato cliente abituale – poi divano e Netflix. Alle 22.45 spaccate, dopo una veloce spazzolata ai denti, si addormenta con lo smartphone in mano (su una schermata che dice Scrivi qualcosa sul tuo diario).
Non è dispiaciuto per le serate senza troppi impegni, in fondo “qui, non c’è nulla da fare”; perciò, si diletta con i device (così gli piace chiamarli) e le applicazioni di ultima generazione.
Gianluca, come tutti i trentatreenni, sin dalla nascita ha dimestichezza con la tecnologia, ma per quanto riguarda le conoscenze digitali – ossia lo strato più profondo di ogni click – non ha una cultura approfondita; di conseguenza non si preoccupa delle tracce informatiche che lascia o della privacy: l’importante è che funzioni. La smart tv gli dà grandi soddisfazioni poiché gli permette di riguardare i film che ha amato sin dall’adolescenza; lo smartphone e i social li considera come un’apertura su quel mondo che, altrimenti, dalla cima in cui vive sarebbe stato davvero troppo difficile scorgere. Il suo paesino, Trezzo di Sopra, è sulle pendici di una montagna, a circa 700 m sul livello del mare e, negli ultimi anni, ha vissuto una sorta di exploit tecnologico: fibra ottica (ancora non del tutto efficiente), una scuola superiore con didattica a distanza integrata e digitalizzazione dei vari uffici comunali sono solo alcune delle innovazioni informatiche attuate dal paese. Nonostante il tentativo di assomigliare sempre più alla città – sia nei servizi che nei locali – rimane dell’astio tra i cosiddetti “montanari” e i “cittadini”. Gianluca, che molto crede nel campanilismo, si ripete: «Sono trentatré anni che vivo qua, non potrei trasferirmi e vivere in un condominio qualsiasi di un piccolo vicolo cittadino. Soffocherei. Qui ho un bel panorama e, viste da qui, più le strade aggrovigliate della città si avvicinano e più si sciolgono ai miei piedi».
Da un po’ di tempo Gianluca non apprezza uscire e spesso rifiuta gli inviti degli amici.
«Andare in città? No, grazie. Qui ho tutto quello che mi serve», risponde; e in effetti, a una prima impressione, a Trezzo di Sopra, dopo i cambiamenti elencati, sembra ci sia tutto. Perfino la scelta tra i dispositivi elettronici è paragonabile a quella dei centri commerciali. L’impressione è quella di una standardizzazione alla città, con copie grottesche che tentano di spingersi oltre a causa dell’irresistibile attrattiva urbana. Giorno dopo giorno, cresce in lui una sensazione di aggressione da parte della città, come se volesse invadere anche il suo piccolo paese; sa che, prima o poi, dovrà prendere delle precauzioni drastiche.
Al risveglio, come sempre, contempla i soldatini per un quarto d’ora, solo loro riescono ad ascoltarlo, è come se aspettassero un suo comando per compiere una rivolta armata, che però, puntualmente, non ha il coraggio di lanciare, lasciando che la quotidianità prenda il sopravvento.
Ogni giornata diventa sempre più identica alla precedente: Gianluca avvia la mattina con un processo ciclico, e i soldatini sono un preambolo al tentativo di sopprimere il senso d’inadeguatezza che si trascina appresso da anni. Sa che, se avesse voluto arricchire la sua vita, avrebbe dovuto spostarsi nella detestata città, e questa verità lo snerva, non riesce ad accettare di dover – prima o poi – lasciare il suo paese per migliorarsi. Ma ogni volta che guarda laggiù, nella “giungla”, quelle strade sembrano sempre più intricate. «Strano,» pensa: «Non riesco più a capire dove finiscano le strade della città e dove comincino i sentieri montani».
Comunque sia, cerca di non pensarci: meditare su problemi che non vuole affrontare gli costa tempo, e non vuole sprecarne. E, per non pensarci, cerca di guardare quelle strade il meno possibile.
Da circa due mesi si è appassionato, e man mano immerso, nella lettura quotidiana di un Blog. Le rubriche che preferisce sono Ripeti, ripeti, ripeti! – un’incoraggiante raccolta di consigli su come affrontare la vita quotidiana e Pensiamo insieme – un esperimento dove il lettore dovrebbe riuscire a trovare il suo “scoglio sicuro in un mare agitato”. Gianluca ne è affascinato, e in particolare dalla rubrica Pensiamo insieme che riesce a sostituire i suoi occhi – i quali proiettano immagini che non vuole più vedere – con una webcam.
«Ora so cosa devo vedere», si ripete. Dopo l’ennesima lettura, gratificante e incoraggiante, si convince di un’idea che meditava da tempo e che ora ha, finalmente, concepito: «Per riuscire a mantenere questa pace, la lettura del Blog non è sufficiente, servono misure più durature, ferree, altrimenti quei pensieri torneranno. Meglio stare da solo. Che autarchia sia». Decide di essere un utente, decide che le risposte le avrebbe prese dal Blog, dai soldatini e da altri provvedimenti che ancora non sapeva. La Rete gli avrebbe fornito il necessario – del resto poteva addirittura ordinare la spesa online. E così si trasferisce: cambia indirizzo ed entra nella Rete.
Il web è diventato una città sopportabile; un luogo dove non si rischia entrando in un vicolo buio, dove le insicurezze non sono considerate; Il Blog è il municipio, i social sono la piazza, la smart Tv è il parco e le domande che lo tormentavano sono considerate come siti illegali e dismessi. La sua Rete è sempre più urbana.
Per muoversi più velocemente, chiama il suo provider cercando di ottenere una connessione più efficiente e, dialogando con il centralino, riesce a cambiare contratto con uno in grado di aumentare la velocità di download e upload. Già qualche giorno dopo, può navigare senza rischiare di restare bloccato nel traffico, come fosse residente in città (e in un certo senso lo è) e le ZTL non fossero più un problema. La vita procede senza preoccupazioni, l’ultima scatola di cibo confezionato termina proprio il giorno in cui è programmato l’arrivo della nuova spesa: Gianluca, con il corriere, si è raccomandato di lasciargliela appoggiata alla colonna dell’entrata. Non vuole parlargli, non gli interessa più.
Dopo un mese d’isolamento, decide di apporre altri cambiamenti alla sua casa. Vuole più spazio per la Smart Tv e un modo per leggere il Blog più in grande. Sposta la libreria, ormai impolverata, in cantina. Non serve più, c’è il Blog. Vuole montare un proiettore, ma le finestre ostacolano il progetto “Stay in Cinema” (il Blog gli aveva consigliato di usare parole inglesi). Prima di fissare il proiettore al soffitto, decide di murare due finestre che aveva individuato come problematiche alla realizzazione dell’home-cinema: in cantina, mentre riponeva la libreria, ha trovato un pannello in truciolato che sarebbe stato perfetto per lo scopo. La forma rettangolare gli suggerisce l’uso senza esitazioni; incastra il pannello tra le insenature della finestra e con una striscia di colla per legno si assicura che sia ben saldo. Dopodiché, monta il proiettore e si sente soddisfatto del suo lavoro. L’aria, però, è sempre più fosca.
Passa il tempo e le giornate con la testa chinata sui social si moltiplicano. Una mattina, uguale e tranquilla come le altre, legge su Facebook un post di un’anziana signora derubata: così scopre che da circa un mese si aggirano per il suo paesino un gruppo di ladri provenienti dalla città. «Vedi, io non vado in città e Lei mi porta i suoi virus».
La stessa mattina, nella rubrica Ripeti, ripeti, ripeti! trova frasi come: “Per trovare te stesso, bastati”, “La cattiveria di pochi è la disgrazia di molti”, “Potrai contare su di te solo quando potrai rinunciare veramente agli altri”. Apprese le massime dettate dalla rubrica, si innesta in Gianluca un senso di sfiducia negli altri, misto a insicurezza sul suo progetto d’isolamento fatto sino a quel momento. Si riscopre a soppesare lo spessore del pannello in truciolato davanti alla finestra: sembra molto sottile; poi, avvicina l’occhio nello spiraglio tra pannello e bordo: aggiunge altra colla. Aveva letto, tra i vari post indignati su Facebook, che questi rapinatori sono molto abili e che con certi arnesi possono scardinare qualsiasi porta. Il timore degli ‘invasori’ spinge Gianluca a murare le altre aperture della casa, lasciando solo una piccola finestra in camera, troppo difficile da raggiungere anche per lui. Cerca una soluzione in cantina, dove trova del cemento a presa rapida. Trascinato in sala il sacco, un po’ consumato a dir la verità, inizia.
Dopo qualche giorno e con i lavori di “messa in sicurezza” terminati, Gianluca è più sereno. Per quel mercoledì il meteo ha previsto un temporale, ma Gianluca non si preoccupa. «La pioggia mi piace, una scusa in più per restare in casa. Nessuno mi aspetta e non aspetto nessuno». La notte, come le previsioni avevano annunciato, il temporale si verifica davvero, e alcuni pali della rete vengono danneggiati da degli alberi caduti.
Al risveglio, come ogni mattino, Gianluca tenta di accedere al Blog, ma non ci riesce: Non sei connesso a internet recita il browser. Cercando di mantenere la calma – ma con una sottile sensazione di soffocamento che lo comincia ad agguantare secondo dopo secondo – chiama l’assistenza. “Un tecnico verrà a controllare nella giornata odierna”, gli comunicano. La notizia rallenta leggermente la presa sul suo collo. Riattaccata la cornetta, ma nell’attesa del tecnico, non sa che fare. Inizia a percepire la casa vuota, come se ci fossero zone inesplorate.
«E ora?»
La casa si fa sempre più tetra.
«Pensa a cosa ti aveva consigliato il Blog in queste situazioni. Cosa devo fare quando sono angosciato?» Ma non riesce a ricordare nulla, quasi come se non avesse mai letto alcun consiglio del Blog.
Ora Gianluca vuole uscire, andare a prendere aria, toccare la terra, provare se il sole è ancora in grado di abbagliare dopo la grande tempesta della scorsa notte. Ma non può, ha chiuso tutto.
C’è un muro tra lui e gli altri, una gabbia di faraday invalicabile, dove nulla può entrare o uscire. La comunicazione è bloccata, ogni informazione che vorrebbe portare alla mente è crittografata. Dalla piccola finestra, i raggi solari penetrano come piccoli tentacoli luminosi, ma non riescono a contrastare le ombre, sempre più aggrovigliate, sempre più caotiche. Tasta i muri di casa, prova a grattare con le unghie la “mappa solare”, quasi a volerla far divenire reale.
Il cuore batte, i muri diventano sempre più spessi e lui è imbrigliato nel ricordo di cosa ci fosse prima della Rete. Si sente soffocare, la realtà è complessa, distorta.
É confuso, perde, secondo dopo secondo, ogni riferimento; pensa alla madre, ancora.
I soldatini cominciano a muoversi e, uno a uno, si liberano di tutti gli ornamenti con i quali Gianluca li aveva addobbati. Caricano le armi e sono pronti a sparare. Nel frattempo Gianluca prova, un’ultima volta, a connettersi al Blog, ma è inaccessibile. S’inginocchia davanti ai soldatini, ora cresciuti enormemente e robusti. «Fermo,» urlano i soldatini: «Volevi la Rivoluzione? E sia».
Suona il campanello. È il tecnico, ma nessuno apre. Riprova, ma nulla. Preoccupato, compone il numero di telefono di Gianluca. Non risponde nessuno. Allora scavalca la recinzione e prova a bussare alla porta: niente.
Allarmato, contatta i carabinieri, dicendo loro che sente il telefono squillare da dentro la casa: «…ma il cliente non è più raggiungibile». La sede sarebbe in città, a distanza di un’ora, ma la pattuglia dei carabinieri è già in perlustrazione e ci impiega venti minuti circa per raggiungere la casa. Arrivati a Trezzo di Sopra, cercano la via che il tecnico gli aveva indicato. Giunti a destinazione, i carabinieri pongono qualche domanda di chiarimento al tecnico. Uno dei due, dopo aver bussato ripetutamente e schiamazzato «Carabinieri, aprite!», nota che dalla fessura della porta ci sono alcune tracce di cemento, ormai asciutto; lo comunica anche al collega. Controllano la finestra, la prima che Gianluca aveva chiuso, e vedono una striscia di colla tracimare dalla parte inferiore. Chiamano i pompieri, ed è solo grazie a loro se riescono a entrare in casa.
Il corpo di Gianluca è disteso sul pavimento, inerme, con lo smartphone stretto in mano, senza tracce di lesioni o altro. La casa è immacolata, tutto è come dovrebbe essere. Un carabiniere pone le dita sulla carotide di Gianluca e ne constata la morte. Chiamano il medico legale, che incarica alcuni operatori di trasferire la salma in obitorio. I carabinieri, nell’attesa degli operatori, osservano la casa: i soldatini sulla mensola, le foto della madre, il cemento che blocca le vie d’uscita, e le finestre rattoppate – artigianalmente – con pannelli in truciolato e colla. Tutto sembra in ordine, certo, ma è «una casa particolare», accenna un carabiniere. «Già, questo tipo era un po’ particolare», risponde l’altro. Si interrogano a vicenda: «E se un po’ lo fossimo anche noi, diciamo, particolari?». La divisa diviene, pian piano, pesante, e l’aria è sempre più opprimente. Escono, frettolosi, a prendere aria.
Interrogato dai carabinieri per il suo coinvolgimento, il tecnico osserva che la chiamata gli era sembrata strana, infatti non c’erano problemi di linea nella sua zona e tutto era funzionante.
Qualche ora dopo, sul rapporto, il medico legale scriverà: Causa del decesso: asfissia da Rete.
Articolo di Niccolò Benassi