Gli investimenti dell’UE in Africa sono pieni di problemi

L’Unione Europea ogni anno spende molti soldi per esternalizzare le frontiere, anche a costo di aumentare i pericoli per i migranti

16/12/2022

Tra il 9 e l’11 novembre scorso si sono tenuti vari incontri tra i membri delle delegazioni europee e dello European Union Emergency Trust Fund, un fondo istituito dall’UE nel 2015 per aiutare economicamente i Paesi africani. È stata un’occasione per discutere i risultati degli investimenti dopo sette anni. Sul sito ufficiale del’EUTF, il ciclo di incontri viene raccontato con toni molto positivi, con diversi funzionari dell’UE che hanno sottolineato il successo del progetto. In realtà i problemi legati al fondo europeo sono molteplici. Gli investimenti hanno portato a un rafforzamento della criminalità organizzata e hanno provocato una maggiore violenza dei corpi di polizia ai confini dei Paesi africani, in quella che da vari osservatori è stata giudicata una politica di esternalizzazione delle frontiere da parte dell’UE – che consiste sostanzialmente nell’impedire ai migranti di arrivare in territorio europeo per effettuare una domanda d’asilo.

EUTF, istruzioni per l’uso 

Per capire come l’EUTF sia diventato uno strumento dell’UE di esternalizzazione delle frontiere, è utile ripercorrere gli eventi che hanno portato alla sua nascita. Prima della mezzanotte del 18 aprile 2015, in acque libiche, quando più di 600 persone annegano nel Mediterraneo a causa del capovolgimento della loro barca, a 180 chilometri dall’Isola di Lampedusa. Nei giorni successivi, un’operazione di soccorso coordinata tra Italia e Malta porta in salvo 50 delle 700 persone che si stimava fossero a bordo.

Questo episodio avviene in piena crisi europea dei migranti, iniziata intorno al 2013, quando un numero sempre crescente di rifugiati e di migranti comincia a spostarsi da altri continenti extra-europei verso l’Unione per richiedere asilo, viaggiando attraverso il Mar Mediterraneo, oppure attraverso la Turchia. Già a fine 2015, 1,3 milioni di persone erano entrate nel continente per chiedere asilo, il dato più alto di rifugiati in Europa dal secondo dopoguerra. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati, la maggior parte delle persone arrivate in Europa nel 2015 erano in fuga da guerre, tra cui la guerra civile siriana, iniziata nel 2011, la guerra in Darfur e la guerra in Somalia, oppure scappavano dalla minaccia di persecuzioni politico-religiose in paesi come Afghanistan ed Eritrea. 

Circa sette mesi dopo la tragedia del 18 Aprile, a La Valletta, Malta, si incontrano i capi di Stato e di governo europei e africani per concordare un approccio comune per affrontare la crisi migratoria. I leader europei partecipano all’incontro con la speranza di fermare l’immigrazione irregolare verso l’Europa, in parte anche per rispondere alla crescente popolarità delle politiche anti-migrazione in patria, mentre i leader africani cercano di usare l’urgenza di risposta alla crisi per delle possibilità di investimenti nei loro Paesi. 

Il 12 novembre, con questi buoni intenti, viene firmato un accordo per creare l’EUTF, l’Emergency Trust Fund per l’Africa, che doveva servire ad affrontare le cause dell’immigrazione irregolare. 

«Non possiamo migliorare la situazione dall’oggi al domani, ma ci impegniamo a offrire alle persone alternative al rischio della propria vita», aveva affermato Donald Tusk, allora Presidente del Consiglio europeo. Vengono così stanziati dall’UE 1,8 miliardi di euro per iniziare, con la promessa di arrivare 20 miliardi ogni anno per l’assistenza allo sviluppo. Dopo il meeting, il presidente Juncker chiese agli stati membri di partecipare con una donazione simile «affinché il Fondo fiduciario per l’Africa e la nostra risposta siano credibili».

A oggi, i donatori principali del Fondo fiduciario sono stati la Germania, con 232 milioni, e l’Italia con 123 milioni, pari – rispettivamente – al 37,2% e il 19,7% del totale.

La verità fa male!

Se, almeno nelle intenzioni, l’EUTF doveva essere uno strumento in grado di migliorare profondamente la situazione socio-economica dei Paesi africani, in realtà buona parte dei soldi è servita per rendere più difficile ai migranti il raggiungimento degli Stati europei. Un’elaborazione Openpolis su dati dell’European Data Journalism Network, effettuata ad aprile, ha dimostrato come la quota maggiore dell’EUTF sia stata destinata alla gestione dei flussi migratori, rappresentando circa un quarto del fondo totale (24,3%), dunque di circa 1,3 miliardi di euro. Più di tutti, gli investimenti hanno interessato in particolar modo la fascia del Nord Africa, con lo scopo di prevenire l’attraversamento del Mediterraneo da parte dei migranti. Alcuni ricercatori hanno sottolineato come questi progetti possano essere inquadrati all’interno di una strategia di esternalizzazione delle frontiere, che consiste sostanzialmente nell’impedire ai migranti di arrivare in territorio europeo per effettuare una domanda d’asilo.

Dei fondi destinati ai flussi migratori tra il 2015 e il 2019, solamente 56 milioni di euro sono stati allocati per finanziare in concreto schemi di immigrazione regolare tra Paesi africani e l’Europa. È meno dell’1,5% del fondo totale, come testimonia un report dell’Oxfam. Il resto è stato principalmente diviso tra due categorie. La prima si chiama «politiche di contenimento e controllo», che secondo le definizioni dell’Oxfam consiste nel migliorare le leggi che regolano la gestione dei migranti e intensificare la lotta al traffico di migranti, oltre all’addestramento della polizia di confine e al rafforzamento dei controlli alla frontiera. La seconda invece riguarda la facilitazione e l’implementazione dei rimpatri, e «esclude i progetti volti a creare opportunità economiche per i rimpatriati»

La differenza della politica attuale dell’EUTF rispetto alle dichiarazioni di Tusk è evidente. Il rischio sottolineato da alcuni osservatori, come la stessa Openpolis, è che la politica portata avanti dall’EUTF sia eccessivamente calibrata sul breve termine e incapace di agire realmente sulle cause profonde delle migrazioni.

Effetti indesiderati anche gravi

La politica di esternalizzazione delle frontiere portata avanti dall’EUTF ha inoltre conseguenze profonde sulle dinamiche dei flussi migratori e sulla condizione di vita dei migranti. Per esaminare la questione, è necessario prima rendersi conto del contesto politico e sociale in cui si svolge la maggior parte dei progetti del fondo.

Sul sito ufficiale dell’EUTF vengono presentati tutti i 186 progetti attualmente in corso. Confrontando questa lista con l’indice di democrazia stilato ogni anno dall’Economist Intelligence Unit (EIU), si nota come 113 progetti si svolgono in Paesi con un punteggio più basso di quattro su dieci. Secondo le classificazioni dell’EIU, questo corrisponde a un regime autoritario. Più di un progetto su due quindi riguarda Paesi con governi non democratici. Ovviamente si tratta di un risultato da prendere con cautela: per quanto sia un indicatore utile per una valutazione del sistema politico di un certo Stato, l’indice dell’EIU non è stato esente da critiche. Un risultato ugualmente problematico si ottiene confrontando la lista dei progetti attivi dell’EUTF con un altro indicatore: l’indice di criminalità creato dalla Global Initiative Against Transnational Organized Crime (GITOC). Questo misura, tra le altre cose, anche il livello di influenza che hanno varie tipologie di attori criminali sulle attività di un Paese. Le categorie di attori criminali sono quattro: associazioni di stampo mafioso, reti criminali, attori stranieri, criminali che operano dagli apparati statali. Di 186 progetti dell’EUTF, 105 si svolgono in Paesi in cui gli attori criminali interni allo Stato hanno una «severa influenza» sul Paese. È la più grave tra le categorie di influenza e corrisponde a un punteggio maggiore di 8 su 10. 

In un contesto così fragile e poco trasparente, una cattiva gestione degli investimenti può facilmente portare a conseguenze non volute. Un report del 2018 di Concord Europe, una confederazione di ONG europee, ad esempio, esamina la qualità della governance dei finanziamenti dell’EUTF in Niger – che per l’indice di democrazia dell’EIU è un Paese autoritario e in cui gli attori criminali interni allo Stato hanno una severa influenza secondo le stime di GITOC. Il rapporto sottolinea esattamente come nella gestione del fondo l’Europa non consideri il fatto che le reti di contrabbando sono spesso radicate negli apparati statali.

Il Niger non è un caso isolato. Uno studio dell’Università di Groningen si concentra sugli effetti collaterali causati dall’attività del fondo. «Gli effetti collaterali sono quelli derivanti dal sistema d’aiuti e programmi dell’EUTF, intesi sia quelli involontari e inaspettati, che quelli involontari ma prevedibili, dal punto di vista dello spettatore», specifica il report. Secondo questa ricerca gli investimenti dell’EUTF hanno portato a un aumento della criminalità organizzata. In particolare con le reti criminali che si occupano di traffico di migranti hanno subito un processo di professionalizzazione, diventando sempre più pericolose e meno accessibili da fonti esterne. Le altre conseguenze indesiderate individuate dallo studio sono tre: maggiore violenza della polizia di confine, esacerbazione delle cattive pratiche di governance nei Paesi riceventi e una legittimazione di governi illegittimi. 

Tutto questo emerge anche nel caso della Libia, dove 87 milioni di euro del fondo sono stati stanziati per la gestione delle frontiere. I risultati di questa politica sono stati riassunti efficacemente dalle parole pronunciate nel 2017 da Zeid Raad Al Hussein, l’allora Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani: «I crescenti interventi dell’UE e i suoi stati membri nulla hanno fatto finora per ridurre il livello di abusi subiti dai migranti. Il nostro monitoraggio, infatti, dimostra un rapido deterioramento della loro condizione in Libia». 

La Libia è stata uno dei principali Paesi di riferimento per la cooperazione dell’UE in materia di migrazione, poiché è il punto di partenza principale per le persone che tentano di attraversare il Mediterraneo. È il secondo maggior beneficiario di finanziamenti dell’EUTF per l’Africa dopo la Somalia: 282,2 milioni di euro in totale, di cui 166 milioni di euro da dicembre 2017. E il ruolo dell’Italia nelle relazioni Libia-UE è tutt’altro che marginale.

Il caso italiano

Il 2 novembre 2020 è stato rinnovato il Memorandum Italia-Libia, accordo che consiste nel porre un ulteriore ostacolo a chi cerca di attraversare la rotta migratoria più pericolosa al mondo. Firmato per la prima volta il 2 febbraio 2017 sotto il Governo Gentiloni, si rinnova automaticamente ogni tre anni. Le attività attuate nell’ambito del Memorandum sono finanziate attraverso il “Decreto Missioni” italiano, il quadro giuridico attraverso il quale il sistema politico italiano autorizza e finanzia impegni militari internazionali, e attraverso il programma dell’UE “Integrated Border Management”, IBM. Tra i fondi dell’IBM, quarantadue milioni provengono proprio dall’EUTF. 

I progetti finanziati dall’EUTF in Libia sono sempre più al centro di controversie: nonostante sul sito del fondo si citi «migliorare le condizioni delle comunità che ospitano, degli sfollati interni e dei migranti nelle municipalità libiche» e «protezione di chi è in difficoltà» come priorità dell’UE, 29 milioni del fondo sono andati alla ristrutturazione e manutenzione dei centri della Direzione Libica Contro la Migrazione Illegale (DCIM), che ormai sono diventati famosi per i loro legami con i trafficanti di esseri umani e per le condizioni disumane di semi-schiavitù in cui sono tenuti i migranti. 

Tra le varie iniziative, l’EUTF ha anche finanziato il meccanismo di transito di emergenza (ETM) per evacuare i migranti dalla Libia. L’ETM era stato istituito come iniziativa congiunta tra l’UE, l’Unione Africana e le Nazioni Unite per portare le persone fuori dai questi centri di detenzione e ricollocarli in altri Paesi in cui dovrebbero essere al sicuro, fornendogli un modo per tornare volontariamente nei loro Paesi d’origine. Tuttavia, l’ETM non è capace di gestire la difficoltà logistica causata dalla mancanza di volontà politica da parte di questi Paesi riceventi di gestire i rifugiati.

Il terzo ambito in cui l’EUTF si è concentrato in Libia, con 57,2 milioni di euro, è stato l’Integrated Border Management, cioè il finanziamento delle attrezzature e della formazione della guardia costiera libica che, a causa della situazione politica frammentaria, è spesso gestita da milizie, contrabbandieri e gruppi armati che gravitano attorno alle strutture statali ufficiali. Dal 2018 il Ministero dell’Interno italiano ha utilizzato le risorse del fondo per indire gare d’appalto per la fornitura di questi servizi. Come testimoniato da uno studio uscito ad aprile del 2022 sulla rivista Journal of Ethnic and Migration Studies, ad oggi i fondi rintracciabili rappresentano solo una piccola parte del budget complessivo stanziato. Questo mette in dubbio la trasparenza delle operazioni finanziate attraverso il denaro europeo e italiano. 

Per esempio, nel 2019 il Ministero dell’Interno ha aggiudicato alla società Exfor Spa un importante bando di 943.000,00 euro per un corso di formazione per la Guardia Costiera libica. La formazione aveva l’obiettivo di «rafforzare lo sviluppo delle capacità della guardia costiera libica per aumentare la capacità libica di combattere l’immigrazione clandestina». Secondo quanto riportato nello studio, tuttavia, tra il 2014 e il 2020 Exfor ha erogato solo corsi per «preparare pizze, preparare bevande alcoliche e piatti precotti», attività che sembrano lontane dall’obiettivo prefissato (anche adesso, i corsi di formazione di Exfor Spa sul loro sito riguardano attività molto diverse dall’ambito militare). In effetti, il fatto che un’impresa piuttosto piccola, la cui attività principale consiste nell’offrire corsi di cucina, sia riuscita ad aggiudicarsi un appalto pubblico così importante solleva legittimi dubbi sulla trasparenza delle varie gare per aggiudicarsi i contratti. Exfor Spa non ha risposto alla nostra richiesta di commenti.

Al di là del caso italiano, è evidente quindi che i soldi dell’EUTF vengono spesi in maniera poco trasparente. Gli obiettivi dichiarati del fondo – cioè di aiuto allo sviluppo economico dei Paesi riceventi – si discostano molto dalla realtà, con la maggior parte dei fondi che viene utilizzata per attività di esternalizzazione delle frontiere. E ciò ha anche conseguenze pericolose, come il rafforzamento delle reti di trafficanti di uomini e l’aumento delle violenze da parte della polizia di confine.  Non è chiaro se agli incontri di inizio novembre, in cui le delegazioni UE e i rappresentanti del fondo hanno discusso i risultati del fondo dopo sette anni di attività, si sia parlato anche di questo.

Articolo di Francesco Paolo Savatteri, Annalisa Prisco, Lorenzo Pedrazzi, Ludovica Rufo