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Gruppo2020 /bù∙io/
gruppo2020 è un progetto multiforme del Teatro di Roma, curato da Industria Indipendente, compagnia residente di Oceano Indiano, e da lacasadargilla, ensamble artistica attiva dal 2005. L’atto di nascita di gruppo2020 risale alla primavera del 2020, quando lo scoppio della pandemia di Covid-19 obbliga tutta Italia, e non solo, a rinchiudersi in casa. L’habitat in cui nasce è Radio India, palinsesto radiofonico quotidiano con cui Oceano Indiano, accompagnato da altre compagnie e artist* complici, trova nuove modalità per restare in movimento e continuare a raggiungere il pubblico. Durante quelle settimane, in cui la realtà assomigliava alla distopia e l’incredulità si faceva sentimento quotidiano, gruppo2020 prende avvio in forma di call pubblica, rivolta a giovani autori e autrici, invitati a condividere i propri racconti di fantascienza e horror, che sarebbero poi divenuti podcast, grazie alle voci di attrici e attori e alle sonorizzazioni di Alessandro Ferroni. La prima tappa di un processo lungo e fantastico, in cui questo oggetto collettivo ha continuato a mutare e trasformarsi, diventando prima format video trasmesso su #TdROnline, e poi cantiere di scrittura. Oggi, infine, grazie alla collaborazione tra Teatro di Roma e Scomodo – che accompagna il progetto sin dagli inizi – gruppo2020 si fa oggetto editoriale in carta e inchiostro, riunendo le voci degli autori e le autrici che vi hanno preso parte, da cui prendono vita le illustrazioni di Luchadora che troverete ad accompagnare i racconti.
A introdurre gruppo2020 /bù•io/, le parole delle due compagnie curatrici del progetto: Industria Indipendente e lacasadargilla.
Il condominio di Via Octavia Butler
Quando per la prima volta abbiamo pensato a gruppo2020 per RADIOINDIA abbiamo immaginato zombie, alieni, pesci mutanti, robot, ma anche, e soprattutto, esseri umani. Abbiamo immaginato una call per un gruppo di ragazz* alle prese con un genere rivoluzionario e politico, popolare e dissacrante come la fantascienza. Marzo era appena entrato nel vivo della psicosi pandemica, il fuori sembrava un altro e improvvisamente ci è parso di giocare tutt* a nervi scoperti. Al di là della primavera, le paure ad un tratto erano le stesse, la sensazione era quella di vacillare continuamente, di oscillare tra il presente e la distopia, come in uno di quegli episodi di Black Mirror. gruppo2020 nasce per una contingenza e per la fortunata prossimità tra le angosce e i desideri di chi ha partecipato al progetto. Nel secondo capitolo – gruppo2020 /bù•io/ – abbiamo allargato lanciando un laboratorio da remoto con altr* ragazz*, immaginando 8 storie che si intrecciano in un unico panorama fatto di piante altissime, uccelli tropicali, orecchie tese dall’altra parte della parete e tante finestre spalancate sullo stesso scenario: il condominio di Via Octavia Butler. Il suo nome come talismano al quale far partire la visione, come presenza che potesse proteggere e muovere l’immaginazione, perché Octavia E. Butler era una autrice dall’intelligenza indefinibile e radicale, ma soprattutto perché definiva se stessa pessimista, asociale, femminista e pigra. Ci sono volte in cui abbiamo pensato: dove dovremmo andare, quale è la direzione da prendere, in che modo possiamo trasformare il presente? E poi ci siamo dett*: non dobbiamo farlo, è già tutto qui, è già tutto qui dentro.
Adesso che niente è finito e che tutto continua, inesorabile, la sua lenta corsa verso non sappiamo cosa, ci sembra arrivato il momento di riaprire quelle finestre, di aspettare le 17 di una assolata domenica di primavera e di provare ad immaginare ancora cosa può esserci oltre questo, oltre noi.
Industria Indipendente
La scrittura dell’altrove è il nostro corpo collettivo
gruppo2020/bù∙io/ è il secondo capitolo di un progetto più ampio per scrittori e scrittrici tra i quattordici e i poco più che vent’anni, nato per RADIOINDIA nel marzo del 2020 e dedicato alle scritture della fantascienza. Come una piccola redazione editoriale, abbiamo ragionato con i/le ragazz* che avevano risposto alla nostra chiamata per puntualizzare i racconti e svilupparne le idee, per aiutarli a raccontare quello che – attraverso il prisma della fantascienza o quella lente deformante che è l’orrore – vedono e sentono, proprio oggi, fuori dalle loro finestre che sono letteralmente diventate come una soglia deformata sul mondo, nelle loro stesse case o dentro le loro teste.
Perché scegliere la fantascienza e l’orrore in un momento come questo? Volevamo allontanarci dalla realtà, far finta che non stesse accadendo nulla? Tutt’altro. Per noi – ma non solo per noi – è come se la fantascienza e i racconti dell’orrore, in virtù di quel fittizio spostamento verso un presupposto ‘altrove’, riuscissero a fare un’operazione azzardata: costruire un modello – di mondo, di società –autosufficiente e credibile che mette ‘alla prova’ le nostre strutture d’esistenza e la nostra capacità d’elaborare valori, desideri e, soprattutto, il radicale incontro con l’altro, inteso come essere vivente, pianeta o modello culturale.
gruppo2020/bù∙io/ è invece una scrittura collettiva prodotta nella distanza, un discorso sulla narrazione fatto a tappe: otto giovanissimi scrittori e scrittrici, due traghettatrici in un racconto unico a più voci.
Siamo partite dalla condizione in cui ci trovavamo e cioè quella dell’assenza dei corpi. Il teatro è l’orizzonte in cui siamo più abituate a muoverci, quel luogo dove le scritture si producono inevitabilmente tra i corpi e lo spazio, dove la relazione è il primo presupposto per costruire un accadimento. Ora eravamo ognuna a casa propria, impossibilitate a trovarci in un unico ambiente dove i rumori, un improvviso cambio di luce, la temperatura, insomma il mondo sensibile, fosse lo stesso per tutt*. Bisognava lavorare in un’altra prospettiva, darsi un orizzonte comune a cui guardare e costruire a partire da quello. Così è arrivato il condominio – grande attivatore di immaginazioni, da Topor a Hitchcock – da cui ognuno poteva posare la propria attenzione su qualcosa messa al centro del gioco e, incidentalmente, incrociare lo sguardo degli altri.
Il lavoro si è prodotto in un ampio arco di tempo, con appuntamenti distanti gli uni dagli altri. Le scritture si posavano, più o meno a lungo, per poi essere riattivate, e intanto passavamo da un’estate quasi normale, alla ripresa dell’università a distanza, alle quarantene e, nelle parole e sui volti affacciati alle finestre di zoom, si imprimevano nuovi segni. Nelle conversazioni collettive ci siamo dati le regole e scambiati i desiderata, poi abbiamo cominciato a lavorare singolarmente sulle storie. Abbiamo seguito le scritture di ognuno interrogandoci di tappa in tappa su quali fossero le tracce da seguire e quelle da lasciare. Individuare la parte ossea del racconto, lo scheletro necessario su cui poter poi far crescere i tessuti.
Una volta stabilito che spazio e tempo dell’accadimento fossero comuni a tutt*, si trattava di capire cos’era che ci interessava raccontare e con quale prospettiva. È diventato un lavoro sul punto di vista. Siamo tutti in prima persona dunque, ma quale? Un bambino, un signore anziano, una ragazza…? Quasi tutti hanno scelto un soggetto lontano da sé. E allora abbiamo dovuto imparare a capire come parlava, come pensava, quali sensazioni provava. Come reagiva nei momenti di snodo?
Era necessario scegliere una forma che ci consentisse di raccontare cose diverse stando su un unico oggetto, una forma proiettiva e visionaria, che non ci costringesse alla coerenza tra le prospettive. Non c’era una risposta unica possibile, il nostro racconto contemplava il mistero, formulava ipotesi ma non dava soluzioni. E allora ecco che l’oggetto del lavoro è diventato il grande assente della nostra esperienza: il corpo. E corpo era la dubbiosa incarnazione dell’ignoto o delle paure nascoste, un corpo d’altri, interrogativo, mai del tutto risolto e dunque apertissimo campo d’indagine.
Articolo di Tania Garribba e Lisa Ferlazzo Natoli / lacasadargilla