I figli del nepotismo

: il dibattito delle nuove generazioni su meritocrazia e privilegio.

26/01/2023

Nel 2022, Internet ha portato alla luce quella che verrà definita da Vulture, nel virale articoloHow a Nepo Baby Is Born”, una cospirazione. Hollywood viene dipinta come un’immensa ragnatela di connessioni familiari dove “tutti sembrano essere figli di qualcuno”. Da TikTok ai giornali, la storia si diffonde e il fenomeno si scopre non riguardare solo il mondo del cinema: dal mercato dell’arte agli sport, dalle copertine delle riviste alle passerelle, i Nepo Babies sono ovunque. 

I figli delle star non hanno esitato nel manifestare il loro scontento nei confronti di questa nuova denominazione.

Tra coloro che hanno provato a difendersi c’è Lily Rose Depp (figlia di Vanessa Paradis e Johnny Depp): la modella e attrice, in un’intervista per Elle a Novembre, ha negato che la sua brillante carriera fosse dovuta alla fama dei suoi genitori. Ciò ha generato un polverone sui social e la questione ha raggiunto il suo culmine quando la top model Vittoria Ceretti ha pubblicato una storia in cui sosteneva che Lily Rose Depp non potesse paragonare i loro percorsi, alludendo al fatto che lei avesse dovuto faticare per arrivare dov’era, non essendo nata in una posizione di privilegio come Lily Rose. “Non sopporto di sentirti paragonare a me. Non sono nata su un comodo cuscino sexy con vista”, “apprezza e riconosci il posto da cui vieni”, scrive Vittoria.

Altro caso che ha fatto discutere sul web è quello di Brooklyn Beckham, che a 23 anni ha già tentato di seguire le orme dei genitori, per poi buttarsi nel mondo della fotografia e successivamente della cucina. Nonostante la mediocrità dimostrata in tutti questi percorsi, ha accumulato 14,6 milioni di follower su Instagram.

Ciò che ha inizialmente attirato la Gen Z alla questione del nepotismo è un tweet che risale al 21 Febbraio 2022, nel quale viene riportato che una delle giovani star di Euphoria (programma di HBO creato da Sam Levinson, che, ironicamente, è a sua volta un nepo baby), Maude Apatow, è figlia dell’attrice Leslie Mann e di Judd Apatow, uno dei più importanti produttori di Hollywood.

In poco tempo dozzine di giovani celebrità, da Maya Hawke a Zoë Kravitz e Dakota Johnson, sono state “smascherate” su TikTok per le loro famiglie famose.

La questione nepo babies non è una novità di per sé – Alyx Gorman sul Guardian ha sostenuto che è stato con quel tweet che «quelli che non erano abbastanza grandi per leggere People nel 2007 hanno appreso per la prima volta che i nepo babies stavano riempiendo i loro schermi» – ma ha attirato l’attenzione delle generazioni più giovani solo ora e ha portato alla luce nuove riflessioni.

Il fenomeno dei figli del nepotismo è considerato da molti come la fine della meritocrazia: appare sempre più evidente che in una società ossessionata dalla  fama e dall’attenzione mediatica, si finisca inevitabilmente per premiare la mediocrità purché associata a un cognome celebre. 

Shai Davidai, docente della Columbia University, ha spiegato in un’intervista per Vox che negli Stati Uniti si «tende ad avere una fiducia forte e ottimistica nei confronti della meritocrazia. C’è l’idea che il duro lavoro dimostri un’abilità eccezionale e che se hai entrambe le cose verrai ricompensato». Per questo motivo «i nepo-babies ci privano della bella storia del “sogno americano”».

 

Bypassare l’iter: il caso italiano 

Tra tutte le professioni esistenti sul panorama lavorativo italiano, non ci sono dubbi che quelle in cui è più difficile affermarsi sono quelle inerenti al mondo dello spettacolo. Cinema, televisione, teatro: la competizione è tanta e i meccanismi di accesso per chi parte da zero sono veramente complessi. Prendiamo ad esempio il mondo del cinema. In una produzione cinematografica esistono due tipi di casting director: uno si occupa del comparto comparse e figurazioni speciali (quelle figure che non hanno un ruolo nel film, ma magari vengono inquadrate da vicino o hanno una battuta), l’altro della scelta del cast. Questi comparti viaggiano dunque su binari paralleli, per cui passare da uno all’altro è praticamente impossibile. Per quanto riguarda poi la scelta degli attori che andranno a interpretare i ruoli i casting director si affidano alle agenzie: descrivono il tipo di fisicità che serve e di conseguenza le agenzie propongono alcuni attori dal loro database. L’importanza di essere ingaggiato in una buona agenzia è dunque fondamentale. Entrare in agenzia è gratis – chi chiede soldi per ingaggiare sta truffando, poiché queste  “comprano” l’immagine dell’esordiente  e con quella guadagnano facendolo  lavorare 

Tutto questo complesso e democratico meccanismo viene facilmente scavalcato se si hanno conoscenze dirette nella produzione. A volte basta una chiamata per piazzare un nuovo prodotto, lanciarlo e lasciare che venga coltivato pian piano. Molto spesso nascono così i figli d’arte, inseriti facilmente dai propri genitori dentro un meccanismo che per loro si semplifica senza troppi sforzi. D’altra parte è una caratteristica fondante della cultura italiana quella di preoccuparsi per la stabilità economica e lavorativa dei propri figli. La cosiddetta “spintarella” è presente in molti settori lavorativi e l’arte non ne è esente. Nascono così fenomeni come Asia Argento, Aurora Ramazzotti, Ricky Tognazzi, Luca D’Alessio e tanti altri. Viene spontaneo chiedersi, a vederli, se da soli sarebbero riusciti ad emergere.  

 

La soluzione al nepotismo non funziona 

Il Dante del 2022 probabilmente avrebbe inserito una nuova bolgia per “i figli di papà”, costretti, come Sisifo, a partecipare a concorsi pubblici, audizioni e colloqui uno dopo l’altro senza mai ricevere il tanto auspicato lavoro.  

Il Dante del 1309 non l’ha fatto, ma ha scritto versi e versi che criticano la Chiesa del suo tempo. Infatti, anche se non citato in modo esplicito nei versi della Divina Commedia, i papi che il sommo poeta critica erano in gran parte artefici di uno sfrenato nepotismo.

Il termine ha origine italiana e nasce proprio dal fenomeno interno alla chiesa cattolica, da nepos, nipote in latino. L’esempio più lampante è quello dei Borgia: Callisto III, Alfons de Borja, fa cardinale suo nipote Rodrigo, che diventa poi papa Alessandro VI. Seguendo l’esempio di suo zio, Alessandro VI farà cardinale il fratello della sua amante, Alessandro Farnese, che sarà eletto come papa Paolo III, che fu ritratto proprio con i suoi nipoti da Tiziano.

Ma il nepotismo non è iniziato né finito con i papi o con il clero, lo stesso Pericle era figlio di un politico e di un membro di una delle famiglie più importanti dell’aristocrazia ateniese, gli Alcmeonidi, che tra i suoi componenti annoverava anche Clistene, l’ideatore della democrazia ateniese.

Il nepotismo sembra una consolidata tendenza umana, un’attitudine naturale delle persone a voler aiutare il proprio circolo più vicino e offrire loro opportunità di successo. Può essere utilizzato anche come modo per mantenere il controllo e garantire la lealtà all’interno di un sistema di potere feroce come può essere quello del papato o di Hollywood. 

La soluzione al nepotismo più logica sembra l’implementazione della meritocrazia. 

L’idea che le posizioni di visibilità e di potere vadano a chi ha più qualificazioni, voglia o affinità. 

Negli Stati Uniti, addirittura tra il 67 e il 70 per cento della popolazione crede che “i candidati nelle selezioni universitarie dovrebbero essere valutati solo sulla base del merito.” 

Un dato che è venuto fuori proprio in relazione ad un scandalo in cui Lori Loughlin e Mossimo Giannulli hanno tentato di oltrepassare questi requisiti di merito, pagando oltre mezzo milione di dollari per far ammettere le loro figlie alla prestigiosa University of Southern California.

Spostandosi verso l’ideale meritocratico, abbandonando la società di classe, sembra che le gerarchie del passato e le sue tracce si stiano sfaldando. Ma, come scrive Marco Meotto su Doppiozero, «nella realtà dei fatti, l’applicazione della meritocrazia produce nuove gerarchie, fondate sul suo stesso dispiegamento: i meritevoli surclassano i non meritevoli. Ma i criteri con cui si stabilisce il merito sono tutt’altro che naturali, come invece l’ideologia che li sostiene vorrebbe far credere».

Lo stesso ideatore della parola “meritocrazia”, Michael Young, evidenzia un altro problema dell’ideale meritocratico:«[le persone più  in basso in una società meritocratica] Sono stati messi più volte alla prova. Se sono stati ripetutamente bollati come ‘somari’, non possono più avere pretese. L’immagine che hanno di se stessi si avvicina a un riflesso fedele e poco attraente».

Il problema della meritocrazia in risposta al nepotismo non è solo nel modo in cui vengono assegnati i meriti, ma anche nei meriti stessi. Coloro che sono in cima vengono rispettati e “sentono di meritare tutto ciò che possono ottenere”, mentre coloro che non hanno ereditato il talento e le capacità per accedere alle professioni più retribuite, vengono privati di rispetto, sia dagli altri che da se stessi.

L’utopia meritocratica sembra così scivolare in una vera e propria distopia, che non a caso è la descrizione che Young fa ne “L’avvento della meritocrazia”. 

Ma proprio in questo libro, l’autore cerca una soluzione e descrive un gruppo di rivoluzionari che stilano “Il Manifesto di Chelsea” in cui ci si immagina una nuova società: «…senza classi e che possedesse e agisse in base a valori plurali. Se dovessimo valutare le persone, le dovremmo valutare non solo secondo la loro intelligenza e la loro educazione, la loro occupazione e il loro potere, ma secondo la gentilezza e il loro coraggio, la loro immaginazione e la loro sensibilità, la loro simpatia e generosità, così non ci potrebbero essere classi».

Una visione ancora più utopica di quella meritocratica, e nonostante ciò lo stesso Young si è recentemente dichiarato molto deluso dal fatto che la parola «meritocrazia» fosse diventata parte del lessico politico del governo britannico e, prima ancora, di quello statunitense

 

Meritocrazia: specchio delle competenze o della posizione sociale?

Difatti, deliberare che un’azione (risultato di una summa di molti fattori, talvolta anche casuali) sia più meritevole di un’altra,implica il possesso di una nozione di “società buona”, ma dire che una società è buona se premia il merito porta a una circolarità imbarazzante. Dunque, lungi da tale implicazione morale, è possibile identificare il merito come un’unione di talento e impegno, ma – come già ricorda John Rawls in “A Theory of Justice”,–il talento è in buona parte dono”. Derivi esso dalla genetica o da condizionamenti ambientali riconducibili alla famiglia e alla società – come nel caso  nepo-babies,  – ed più plausibilmente associabile alle competenze, mentre eguale impegno non conduce sempre a eguale riconoscimento, o a eguale retribuzione. Tuttavia il confronto a parità di competenze, sostiene l’economista Andrea Boitani, è possibile solo facendo due assunzioni: la prima è che tutti abbiano pari opportunità (obiettivo concretamente molto lontano dall’essere realizzato), la seconda è che il merito si rifletta nella posizione sociale, a sua volta approssimativamente misurata dalla retribuzione o dalla ricchezza. Si crea quindi un parallelismo tra ricchezza/reddito e merito che permette non solo di affermare che la posizione sociale è segno del merito, ma anche di sostenere che il merito è l’origine e la giustificazione della posizione sociale. Si arriva così alla critica mossa da Young alle classi politiche moderne riguardo un’aporia che non hanno saputo individuare, cioè che le persone considerate portatrici di un particolare merito «si consolidino in una nuova classe sociale senza lasciare in essa spazio per altre persone», portando a un eguale immobilismo sociale di quello ereditato dal “sangue”. 

Nel corso degli anni, critiche al concetto di meritocrazia in parte simili a quelle formulate da Young sono state espresse dal filosofo statunitense Michael Sandel nel libro del 2020 “La tirannia del merito”. Secondo Sandel, attribuire eccessiva importanza al merito individuale tende a indebolire l’etica pubblica, perché «l’idea che il sistema tenda a premiare talento e duro lavoro incoraggia i vincitori a considerare il proprio successo come il risultato delle proprie azioni», e a trascurare gli altri fattori determinanti nel successo, dalla posizione sociale alla fortuna ai benefici ottenuti dai servizi pubblici a vantaggio della collettività.

Anche ammesso che l’eguaglianza nelle opportunità sia una condizione rispettata, come scrive Sandel: «una meritocrazia perfetta bandisce qualsiasi concezione di dono o grazia e inibisce l’attitudine a considerare noi stessi parte di un destino comune».

Articolo di Lorenzo Pedrazzi, Beatrice Puglisi, Margherita Scavo e Maria Quagliarello