A cosa ci si riferisce quando si parla di patrimoniale

Limiti e potenzialità di un’imposta generale sul patrimonio 

“Le parole sono importanti!”, dice alzando la voce Nanni Moretti alla giornalista che lo sta intervistando. Un monito semplice, ma che andrebbe tenuto sempre a mente. Così, quando il dibattito pubblico si accende su temi caldi come la “tassa patrimoniale”, è difficile fare ordine tra le parole e gli slogan, e si rischia di non riuscire a coglierne il significato. Il termine “patrimoniale” ricorre spesso nelle discussioni politiche del nostro Paese, con una certa ciclicità: l’ultima volta è stata tirata fuori in queste settimane, diventando oggetto di un emendamento della legge di bilancio, avanzato da alcuni parlamentari di centro-sinistra, venendo poi bocciata pochi giorni fa.

Senza soffermarci sulla loro timida proposta, cogliamo l’occasione per cercare di fare un po’ di chiarezza sulle prospettive e i limiti di un’imposta generale sul patrimonio.

È ovvio poi che una trattazione nel dettaglio sulla questione dovrebbe partire da un’idea di imposta patrimoniale già specificata (quindi conoscendo tutte le aliquote, deduzioni, scaglioni e così via). Nell’articolo che segue invece saranno poste come condizioni solo due elementi. Il primo è che l’imposta patrimoniale di cui parliamo è ordinaria, ovvero inserita stabilmente nel sistema fiscale, e non straordinaria. Il secondo è che abbia un carattere decisamente progressivo, cioè in parole che più è grande il patrimonio, più l’imposta da pagare sarà più alta in termini di percentuale sul patrimonio stesso. Per il resto delle specificazioni, se ne valuteranno potenzialità e possibili critiche senza entrare nel particolare.

 

Lezione 0: cos’è l’imposta patrimoniale

Partiamo dall’inizio: non si tratta di una tassa, bensì di un’imposta. Potrebbe sembrare una sfumatura, ma queste due parole si riferiscono a due tipologie di tributi diversi e soprattutto con finalità diverse. L’imposta è uno strumento coercitivo che lo Stato utilizza, non per finanziare direttamente un servizio, come succede per le tasse, bensì per compensare il disavanzo di bilancio e per perseguire scopi redistributivi. La definizione stessa di imposta ci dice quindi che essa è disegnata per permettere allo Stato di esercitare una delle sue attività di intervento nell’economia, ovvero la redistribuzione delle risorse.

Chiarito il concetto di imposta, è evidente che ne esistono numerosissime tipologie. Gli elementi costitutivi, sulla base dei quali le imposte si differenziano, sono innanzitutto il soggetto passivo, ovvero colui che ha l’obbligo di pagarla, e la base imponibile, ovvero il riferimento su cui si applica e si calcola l’imposta. La base imponibile più nota e ampiamente utilizzata nei sistemi fiscali contemporanei è il reddito, nelle sue varie forme e componenti. In Italia, per fare un esempio, l’IRPEF è l’imposta sul reddito per eccellenza, e si applica principalmente ai redditi da lavoro dipendente.

I redditi da capitale invece sono esclusi dalla base imponibile dell’IRPEF e vengono tassati da altre imposte specifiche: e come spiega Salvatore Morelli, ricercatore e membro del Forum Disuguaglianze e Diversità, queste imposte sfavoriscono chi ha alti rendimenti. Quando la base imponibile è il patrimonio, si parla di imposta patrimoniale. Anche qui dobbiamo fare delle distinzioni: un’imposta patrimoniale generale, detta anche imposta sulla ricchezza o wealth tax, si applica all’intero patrimonio posseduto da un soggetto, ovvero all’insieme di tutti i beni mobili e immobili e delle attività finanziarie che detiene. Questo tipo di imposta è molto poco utilizzata e solo alcuni Paesi ne costituiscono eccezione, anche per la difficoltà di calcolo che comporta il dover catalogare ogni singolo bene, da una villa ad un’opera d’arte. Al contrario, un’imposta speciale sul patrimonio si concentra solo su alcune tipologie di beni. Nonostante il solo nominare un’imposta patrimoniale scateni il panico – sia a livello politico che di opinione pubblica in Italia – il sistema fiscale italiano comprende già diverse imposte patrimoniali speciali: l’IMU, che si applica al patrimonio immobiliare, il bollo auto, che riguarda invece questo tipo di beni mobili, l’imposta sui conti correnti, e ancora un’imposta patrimoniale indiretta sui trasferimenti della ricchezza, cioè le eredità e le donazioni. Morelli individua infine una fondamentale distinzione tra le imposte periodiche (es. annuali) e quelle “one-off”, ovvero una tantum: una tassa per sua natura ineludibile “perché si basa sui valori retroattivi […] quindi il contribuente non può far nulla per modificare la base imponibile”.

Discutere le caratteristiche di un’imposta patrimoniale, comprenderne aspetti positivi e negativi, può essere importante in un periodo come questo, non solo per armarsi di strumenti che permettono di non farsi ingannare dalla facile propaganda politica, ma anche per iniziare a muoversi verso una riforma in senso progressivo dell’intero sistema fiscale italiano. La crisi economico-sanitaria infatti, ha aggravato la vertiginosa crescita delle disuguaglianze, che già da tempo era in corso nel nostro Paese. Questo preoccupante decorso può essere fermato solo abbandonando il consueto approccio delle mini-riforme incrementali, spesso contraddittorie e confusionarie: è necessario ed urgente mettere in atto una revisione complessiva, che coordini il lato delle entrate con quello della spesa pubblica.

 

Competizione a ribasso

Uno degli elementi fondamentali nella crescita della disuguaglianza è stata la tendenza di tutti i Paesi europei ad alleggerire il carico fiscale sulle fasce più ricche di popolazione, entrando in una vera e propria competizione per risultare più “attraente” agli occhi dei proprietari di grandi capitali.

In Italia per esempio viene incoraggiata la presenza di grandi ricchezze, i patrimoni dei cosiddetti ultra-high-net-worth individuals, grazie ad una tassa forfettaria sui patrimoni stranieri varata nel 2017 dal governo Renzi. Questo regime di flat-tax prevede il pagamento di un’imposta forfettaria di 100 mila euro all’anno, per 15 anni, che sostituisce l’Irpef altrimenti applicata ai redditi prodotti all’estero. Per i redditi ottenuti in Italia si applica invece la tassazione ordinaria. A questo regime possono aderire anche gli italiani che abbiano avuto residenza all’estero per almeno 9 dei 10 anni precedenti alla richiesta e la tassa può essere applicata anche ai familiari, con un pagamento aggiuntivo di 25 mila euro a persona.

Questi provvedimenti di agevolazione fiscale si inseriscono in una più ampia diminuzione delle aliquote fiscali all’interno dell’Unione Europea, come evidenzia il rapporto della Commissione Europea del 2009. In un articolo di Piergiorgio Valente, Presidente CFE Tax Advisers Europe, vengono analizzati dati provenienti da tutti i Paesi UE riguardo l’andamento complessivo delle aliquote fiscali nel periodo 1995-2009. Dai dati si evince come le imposte sui consumi e sul lavoro – che più vanno a colpire la classe media, la cui ricchezza economica si basa proprio sul reddito lavorativo – non siano andate incontro a significativi decrementi (a parte isolati provvedimenti in alcuni Stati dell’Europa dell’Est). Mentre si riporta che un numero crescente di Stati membri “va introducendo un sistema di tassazione dei redditi a due livelli”, che “corrisponde a un considerevole alleggerimento fiscale a beneficio dei più ricchi.

 

Perché no

“Il modo migliore per sostenere le entrate pubbliche e l’equità è far sì che il sistema fiscale funzioni meglio, migliorando l’adempimento fiscale e limitando le esenzioni, mentre si fa spazio a riduzioni delle aliquote”, così Catherine MacLeod, a capo del Desk Italia all’Ocse, ha commentato al Sole24Ore a proposito della proposta di una tassa patrimoniale, ponendo l’accento sul già elevato cuneo fiscale italiano. Il dibattito delle ali contrarie all’emendamento è politicamente rilevante tanto quanto complesso e necessita ulteriori attenzioni. Puntare all’equità sociale citata dall’economista può comportare, infatti, una perdita di efficienza del sistema economico-fiscale. Per lo studioso Arthur Melvin Okun, il cammino di trasferimento di ricchezza dai più agiati ai meno abbienti è paragonabile ad un “secchio bucato”: parte della ricchezza prelevata ai contribuenti più ricchi sarà persa a causa delle inefficienze.

Le distorsioni e gli argomenti più utilizzati dai critici di un’imposta sulla ricchezza riguardano in primo luogo duplice tassazione, disincentivi verso investimenti o accumulo di capitale, e, in ultimo, un non indifferente sforzo di vigilanza nell’esercizio di raccolta delle contribuzioni. Uno dei primi vincoli è di natura strettamente politica, legato alla scelta di tassare insieme personalità fisiche e giuridiche, oppure escludere una delle due categorie. Nel diritto, la persona fisica indica il singolo identificato da nome e cognome, mentre la persona giuridica è l’insieme organizzato di persone e di beni che l’ordinamento considera un soggetto di diritto (come, ad esempio, le società). Da un lato, coinvolgere le personalità giuridiche nel progetto di tassazione rischia di essere un suicidio politico – non a caso, ciò non è ammesso nemmeno dalla proposta di Fratoianni-Orfini. Dall’altro, una tassazione sulle sole personalità fisiche crea perplessità in merito all’effettiva portata dell’entrate che convoglieranno in ultimo nelle casse dell’erario. Ricollegandoci alla puntualizzazione della rappresentante Ocse, sussistono non poche problematiche nell’accettazione da parte dei contribuenti di una nuova imposta, alla luce di una tassazione già vessante.

 

Quindi la patrimoniale?

Valutare e considerare le  potenzialità  di  un’imposta patrimoniale è sicuramente necessario. Ma le problematiche di cui tener conto sono tante. Se il punto di partenza è una base imponibile spezzettata, si creano incentivi a spostare i patrimoni in quella fetta di possibilità di esenzioni. Una soluzione potrebbe essere rappresentata da un allargamento della base imponibile, coinvolgendo anche una norma necessaria come una tassazione sulle successioni. L’Italia, infatti, non spicca per grado di mobilità intergenerazionale della ricchezza e vive una profonda crisi generazionale: la maggior parte della ricchezza è concentrata in poche mani e viene trasferita da generazione a generazione. L’Italia è anche tra i paesi più patrimonializzati, e il rapporto patrimoni netti/redditi delle famiglie italiane negli anni è aumentato a dismisura: in questo senso, pensare ad una misura di redistribuzione della ricchezza rende necessario toccare lì dove la ricchezza è conservata. Ma il tutto non può prescindere da un ripensamento più ampio del sistema fiscale italiano, che ha bisogno oggi come non mai di riacquistare progressività per affrontare questa crisi.

 

 

Questo articolo è un adattamento dell’approfondimento I risparmi degli italiani che potete trovare sul numero 37 di Scomodo abbonandovi qui.
Articolo di Giulia Alioto, Chiara Di Tommaso, Eleonora Pizzichelli Hanno collaborato Lucia Giorgi, Aurora Grazioli, Eleonora Sartirana