Cisa S.p.A è di proprietà dell’imprenditore locale Antonio Albanese, indagato - come riporta Il Corriere del Giorno - nel 2019 per inquinamento di prove nell’ambito dell’inchiesta “Monnezzopoli”. Anche la società di trattamento rifiuti risulta aver avuto rapporti con Eni: dalle Tabelle riassuntive della produzione di rifiuti nella raffineria di Taranto emerge che, tra il 2001 e il 2006, l’impianto di gestione dei rifiuti ha ricevuto da Eni 745,230 kg di rifiuti solidi, tra cui lana di roccia, carta e cartone, e persino «alghe e mitili». Sulla scheda del progetto PlaCE, reperibile sul sito di UniBO, vengono indicate dieci partnership: università, piccole imprese e aziende. Sulla pagina dedicata del sito PON Ricerca e Innovazione 2014-2020, però, compare anche un «Comitato strategico di indirizzo», del quale risulta far parte anche Confindustria Taranto. Anche con l’associazione degli industriali Eni sembra avere rapporti privilegiati: come emerge dai documenti interni all’amministrazione della raffineria, nel 2017 è stato realizzato il convegno “I progetti di alternanza scuola-lavoro e di apprendistato di 1° livello di Eni”, «in collaborazione con Confindustria Taranto». Gli industriali tarantini hanno - e come potrebbe essere diversamente? - sostenuto in modo netto l’operato della multinazionale petrolifera nella città pugliese. Come riportato da Il Sole 24Ore (quotidiano di Confindustria, ndr), il presidente di Confindustria Taranto, Vincenzo Cesaro, ha guardato con molta soddisfazione allo sblocco del progetto Tempa Rossa, che prevede investimenti «per 300 milioni [...] da realizzare nella raffineria Eni per far arrivare a Taranto il petrolio della Basilicata».