Per accessibilità si intende la capacità di fornire informazioni fruibili a tutti, inclusi coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari. Abbattere le barriere alla fruizione dei contenuti è il primo passo per permettere a più persone di partecipare e contribuire al cambiamento.
Per questo noi di Scomodo stiamo cercando di inserire strumenti che favoriscano la lettura e la navigazione del nostro sito a quanti più utenti possibile.
Cosa stiamo facendo? Stiamo cercando di migliorare sempre di più l’accessibilità delle informazioni e delle interazioni anche per chi ha necessità particolari: come ad esempio chi può navigare solo con la tastiera, oppure chi ha difetti della vista o disturbi del neurosviluppo che riguardano la capacità di leggere.
Un menu laterale, sempre visibile, ti permette di modificare la visualizzazione della pagina in modo da facilitare la navigazione a seconda delle tue esigenze:
Hai trovato difficoltà? Puoi scrivere a tancredi@leggiscomodo.com.
Il tuo aiuto ci fornirà ulteriori spunti per migliorare l’accessibilità del nostro sito.
Chiudi
Intervista a Fabrizio Barca
Come superare le sfide di un futuro fin troppo vicino
Al termine di un anno di crisi globale, che innescata dalla pandemia ha travolto prima il sistema economico e poi la tenuta sociale del Paese, il grande investimento del Next Generation Eu rappresenta un importante crocevia per avviare un processo di ricostruzione su nuovi modelli e nuovi paradigmi così da gettare solide fondamenta per il futuro di una generazione che, negli ultimi vent’anni, ha visto il susseguirsi di una crisi dopo l’altra. Per cercare di tracciare una strada e costruire un percorso in grado di affrontare le sfide che ci attendono nei prossimi anni abbiamo intervistato Fabrizio Barca, statistico ed economista, ex Ministro per la coesione territoriale e attuale presidente del Forum delle Disuguaglianze che proprio di recente, sul sito del Forum, ha pubblicato una approfondita analisi del “Piano di Ripresa e Resilienza”.
Secondo lei l’attuale sospensione del divieto di deficit oltre il 3% porterà ad un ripensamento di tale strumento di governance europeo del debito?
Neanche a Bruxelles lo sanno e nessuno lo può prevedere, dipenderà molto dal modo in cui verrà utilizzata la flessibilità che è stata introdotta in questi mesi, se verrà usata per smitizzare il tema delle soglie e dimostrare che quello che conta è la qualità della spesa.
Se questa flessibilità verrà utilizzata per cambiare passo nel nostro Paese che è in una situazione di doppia gravità, di produttività ferma e disuguaglianze. Se nei prossimi due, tre anni, noi dimostriamo questo, allora, la flessibilità mostrata oggi potrebbe dare luogo a dei cambiamenti strutturali di comportamento; se viceversa questa flessibilità viene usata male, questo andrà a confermare tutte le tesi che dicono: “ L’Italia non ha chance.”
Questo discorso si inserisce in un contesto di cambiamento storico, non tanto legato al comportamento verso l’Italia, ma alla scelta storica dell’Europa è di emettere debito. La grande novità è che l’Europa riconosca a) di emettere dei propri titoli b) di impegnarsi a ripagare quel debito entro un orizzonte temporale fissato nell’accordo con imposte che toccano i profitti finanziari e il digitale con delle imposte europee. Questo è un elemento di cambiamento radicale che potrebbe prefigurare quel passo, quel passaggio che ci auguriamo da tempo da un’unione monetaria a un’unione politico-fiscale e dunque a un esercizio e una funzione fiscale, emissione di debito, raccolta di imposte diretta e finanziamento del bilancio europeo non attraverso gli Stati, ma in modo diretto; ministro del Tesoro dell’Europa, Parlamento che lo controlla, che è una delle ipotesi che vengono discusse. Questi, diciamo, sono i due piani: un piano Italia e un piano Europa, che ovviamente sono tra loro interconnessi, visto che noi siamo il principale prenditore dei fondi di questa tornata.
A livello strutturale l’Italia sarà anche in grado di gestire questi fondi per quanto riguarda le procedure di appalti o il rischio di infiltrazioni mafiose, ma anche la capacità della Pubblica Amministrazione che, negli anni, si è vista un po’ in difficoltà a spendere tutti i soldi provenienti dall’Unione europea
Allora, quando parlavo di capacità dell’Italia e di utilizzare questi fondi bene, mi riferivo esattamente a questo: esiste una tara italiana che riguarda l’arcaicità della sua Pubblica Amministrazione? Sì, esiste e ce la trasciniamo praticamente dal Dopoguerra.
Una tara antica, non sanata. Noi del Forum Disuguaglianze pensiamo che, per uscirne, non si tratta di inventare le ennesime semplificazioni, parola adorata da molti, né tantomeno di costruire sistemi di attuazione esterni alla Pubblica Amministrazione, cioè di ricorrere a metodi straordinari.
Esiste una carta per ridare forza all’amministrazione, un’occasione storica, che è il rinnovamento generazionale della PA, il fatto cioè che la PA più vecchia del mondo occidentale, con un 2 % di persone al di sotto dei 34 anni, la più vecchia Pubblica Amministrazione del mondo occidentale, essendo arrivata all’età della pensione per motivi generazionali e di età demografici, una parte elevata ha l’occasione di rinnovarsi.
Se questo rinnovamento avviene, come diciamo noi alla chetichella, cioè con i vecchi bandi che durano tra i 16 e i 18 mesi, che privilegiano solo le materie della conoscenza amministrativa e non sono attenti alle competenze che servono oggi (tecniche ingegneristiche, sociologiche, psicologiche, antropologiche).
Se non vengono implementate le competenze organizzative – perché non si tenga conto solo delle competenze della disciplina, contano anche le attitudini organizzative – se questo non avviene, il rinnovamento non serve a niente e noi siamo condannati a un grave rischio di insuccessi.
Viceversa, il fatto che si viva in questo momento in una condizione molto difficile e quindi che le missioni siano molto chiare: combattere la dispersione scolastica, abbattere l’emergenza abitativa, realizzare un trasferimento tecnologico delle PMI, per fare degli esempi, offre l’occasione d’intervenire.
Il primo fattore per rimobilitare e rigenerare la PA è in primis è quello di darle forti missioni misurabili e verificabili; la seconda è assumere bene, assumere con bandi rapidi, è possibile fare i bandi tra i tre e i sei mesi. Lei si immagini cosa vorrebbe dire se improvvisamente il Governo annunciasse quello che già sta facendo, ma lo tramutasse in un progetto nazionale, dicesse alle generazioni di giovani che vanno tra i 28 e i 35 anni che sono destinatarie di concorsi pubblici, che stiamo realizzando un nuovo modo di assumere nell’Amministrazione, gli dicesse anche che: “Quando entrate nell’amministrazione, vi affideremo grandi missioni precise e vi accompagneremo nell’entrata”, il c.d. mentoring, questione decisiva perché un giovane che entra nella PA non può essere abbandonato a sé stesso, ma deve essere accompagnato. Da chi? Dagli anziani! Ma le anziane e gli anziani vengono rimotivati dal solo fatto di far accompagnare un giovane all’interno della PA. Questi sono esempi concreti per dire: “Si può fare!” Lo stanno facendo? No. Se non lo fanno, noi non saremo in grado di usare bene questi fondi; se lo facciamo da domattina, ce la possiamo fare.
A fronte dell’importanza di questo tema non pensa che se ne stiamo parlando troppo poco nel dibattito pubblico?
Pochissimo. Si immagini un esempio banale, che interessa soprattutto le donne, ma anche agli uomini, e in generale alle giovani coppie: uno degli obiettivi del piano è arrivare a 450.000 posti negli asili nido per raggiungere una percentuale del Paese che sia superiore al 50%. Teniamo conto che in Campania e in Calabria siamo a dei livelli tra il 2% e il 5%, il che vuol dire una gravissima perdita dell’opportunità di cambiare la vita dei bimbi sin dalla prima età, quindi un peso fortissimo della famiglia in cui nasci; impossibilità per le donne, perché poi su di loro gravano i servizi di cura e quindi blocco delle loro aspettative di vita e ritardo del momento della scelta dei figli, abbassamento del tasso di fertilità. È infinito il numero degli effetti positivi di quei 450.000 posti. Se io specifico in quale città e provincia del Paese avverrà l’aumento. Quanti a Enna? Quanti a Trapani? Quanti a Nuoro? Quanti a Viterbo? E attrezzo la PA di quel posto a realizzarli e a fare i bandi rapidamente io le dico che la situazione cambia da così a così. Se non lo facciamo, se quell obiettivo rimane scritto in un documento morto, se non faccio capire alle amministrazioni e ai cittadini che sto facendo una cosa vera, e dunque cosa concretamente significa a Enna, a Nuoro e a Viterbo, non ce la faremo.
Siamo di fronte a un passaggio importantissimo della storia del nostro Paese.
Mi ricollego agli esempi che faceva prima rispetto alle esigenze cruciali di questo momento storico, come il tema della casa che noi, come Scomodo, abbiamo approfondito tanto: che interventi sono previsti e come si possono allocare al meglio le risorse?
Sulla carta per la casa ci sono numeri grossi nel piano, attualmente sono 23 miliardi e mezzo, ma non c’è anima e non sono necessariamente messi sulle cose giuste: c’è troppo poco sulle case popolari, noi del Forum della Disuguaglianze pensiamo che ci vogliono almeno 200000 posti, in modo che entreranno non solo le persone che non sono in grado di pagare i canoni, ma anche famiglie di giovani che riescono a reggere un canone anche di 250/300 euro, non solo quelle che riescono a pagare solo un canone di 80/90.
In secondo luogo, una grossa parte dei fondi andrà sui ristori del 110% per i costi di efficientamento energetico e antisismico, ma questo andrebbe differenziato a seconda delle condizioni dei quartieri e delle famiglie. Perché famiglie benestanti dei quartieri ricchi e centrali della città possono avere il 110%, quando nei quartieri difficili io rischio di non farlo perché il condominio quasi non esiste o perché non riesce neanche a costruire la procedura per farlo? Quindi differenziazione e legame con gli interventi che riguardano i beni comuni di quello stesso quartiere: se io rinnovo un caseggiato e rifaccio la facciata, io sto migliorando le condizioni della città e del paesaggio di quella zona. Si chiamano esternalità per un economista, l’esternalità, nell’esempio, è la ricaduta positiva per tutti quelli che non vivono in quel palazzo. Approfitto dell’intervento per sistemare la piazza, per farla ridiventare un luogo dove gli anziani possano stare per strada senza paura: così si costruiscono progetti integrati del territorio e in contemporanea magari lavoro nelle scuole, così da tenerle aperte.
Quando dico che non c’è anima, intendo che non c’è la consapevolezza dell’assoluta necessità che i progetti siano territoriali, che cascando nei posti dove vivono le persone vi sia un ruolo maggiore del Comune, non di interventi che vengono dall’alto e staccati gli uni dagli altri.
Questo è il metodo Forum; in poche parole non posso riassumerglielo, posso solo invitare a chi leggerà quest’intervista a leggere le nostre proposte. La caratteristica di tutte le nostre proposte è che non viaggiano in silos settoriali, espressione che si usa molto in Europa: l’idea dei silos settoriali è che della scuola se ne occupano quelli che fanno la scuola, la salute quelli che si occupano della salute e delle periferie quelli che si occupano di periferie. I progetti, al contrario, vanno costruiti intelaiando, occupandosi del territorio e, secondo caratteristiche di tutte le proposte Forum, coinvolgendo in processi di democrazia deliberativa, democrazia partecipata e sperimentalismo democratico? Ma non per raccogliere consenso bensì i saperi, chi è che sà come andrebbe risistemata la scuola di un territorio se non gli studenti che ci vanno e i loro familiari.
Fa riferimento alla sussidiarietà orizzontale giusto?
Assolutamente sì ed è prevista dall’articolo 118 della Costituzione, non stiamo dicendo delle cose eterodosse ma stiamo parlando di cose indispensabili.
Le proposte del forum sono molto diverse ed hanno in comune questa caratteristica: si preoccupano di come “cascano a terra”, cercano di essere leggere nel disegno normativo in modo tale da lasciare spazio alla situazione, da lasciare spazio alle strutture dello stato territoriali e delle organizzazioni di cittadinanza, che ricordo in Italia coinvolgono il 3,5% della popolazione; in un quartiere di Roma di circa 15.000 abitanti, il 3,5% e dunque 400 persone in qualche modo svolgono un’attività per gli altri. Se tu li coinvolgi ce l’hai fatta. Infatti nei quartieri di Roma, ma in tutta Italia, ci sono cittadini organizzati ma sono monadi che faticano che non riescono a intelaiarsi con le politiche perché le politiche sono stitiche, fredde, settoriali e predeterminate. Tutta questa logica di politiche per bandi, ma non sono mica obbligatori i bandi. Esiste un sistema che si chiama coprogettazione che l’Europa promuove che prevede che ci sia coprogettazione, non c’è bisogno di fare i bandi.
Che anche il codice del terzo settore adesso prevede.
E la Corte Costituzionale ne è da poco confermato l’importanza tramite una sentenza storica.
Terza e ultima modalità: anche se fai i bandi puoi fare i bandi partecipati. Quando sono stao Ministro della Repubblica, c’erano tanti fondi da mettere a gara per la cura degli anziani e abbiamo fatto bandi partecipati. Cos’è un bando partecipato: quando io amministrazione ho individuato i dieci punti fondamentali del bando io faccio una conferenza pubblica, collegandomi su internet e in fisica, e dico che sto per fare un bando con queste caratteristiche e ascolto le reazioni.
Ma questa già è la luna perché vuol dire che tutti i possibili errori, distorsioni e incomprensioni dei bisogni e delle aspirazioni del territorio escono fuori e io modifico di conseguenza i bandi. Solo che queste metodologie non sono diffuse. E lì si chiude tutto il cerchio. Se noi immettessimo nell’amministrazione 500mila giovani che sanno dialogare con le persone, che hanno un altro modo di fare e che si alleano con i migliori vecchi dell’amministrazione, noi cambiamo il paese.
Dato che nella mia vita comunque l’amministratore pubblico per diciotto anni, se glielo dico è perché si può fare e l’ho fatto. Lo facemmo a Pompei ad esempio, lei ricorderà che Pompei ha conosciuto uno straordinario cambiamento dieci anni fa rispetto a prima quando ogni volta che pioveva venivano giù i muretti. Adesso non succede più. Perché? Perché vi è stato fatto un grande progetto comunitario, il “Progetto Pompei, avviato dal mio predecessore, Raffaele Fitto, proseguito da Fabrizio Barca e da ministri di altri governi. Che cosa abbiamo avuto in comune? Che abbiamo costruito il progetto rinnovando, con i giovani, lo staff di Pompei. Oggi Pompei è visitabile, i muretti non cascano più, è stata cambiata. Quindi si può cambiare.
Per quanto riguarda le PMI, la spina dorsale della produttività del nostro paese, volevo chiederle secondo lei, dopo l’attuale immissione di liquidità, quali possono essere i principali interventi per risanarle? e tenendo presente il divario fra nord e sud come, sostenendo le PMI, si può favorire anche una coesione nazionale?
Parlando in generale, il nostro sistema produttivo ha due assi: un sistema di imprese pubbliche che rappresentano il 30% della quotazione di borsa di Milano, forse è il caso di ricordarlo, l’Italia non ha mai avuto grandi imprese private ma grandi imprese pubbliche, avanzate e tecnologicamente di frontiera, che attualmente per fortuna reggono bene.
Un altro grande pezzo del Paese, dove c’è il massimo dell’occupazione, è rappresentato dalle PMI. Una parte di queste imprese ha un’elevata produttività ma quello che è successo nell’ultimo trentennio è che si è aperto un divario tra le PMI. Lo stallo della produttività è dato non dal fatto che si sono fermate tutte ma che una parte del sistema, il 30% circa ha migliorato la propria produzione, ha mantenuto posizioni anche di esportatori su mercati difficili come il mercato cinese, anche con piccoli campioni medi, quelli che Romano Prodi chiama “le multinazionali tascabili” mentre un altro settore, rilevante nel sistema come il settore alimentare e dell’agricoltura (in Italia abbiamo una forte industria agro-silvo-pastorale, che dà molto lavoro, produce prodotti di estrema qualità ed anche ad alti prezzi) ha delle punte ma ha anche delle fasce molto deboli.
Queste fasce sono deboli per un motivo importante: perché in questi ultimi vent’anni hanno faticato enormemente a incorporare delle tecnologie ed ha faticato perché la tecnologia digitale è dematerializzata, cioè non è dentro le macchine.
Negli anni Settanta e Ottanta le PMI compravano tecnologie comprando macchine, e quindi avevi il meglio dei mondi, avevi sia quella dimensione aziendale piccola che ti consente un buon rapporto con i lavoratori e una rete di imprese, cioè un buon rapporto con le altre imprese. Al tempo stesso, la loro piccola dimensione era compensata dal fatto che compravano tecnologie comprando macchine. Con la dematerializzazione della tecnologia, che è diventata tutta immateriale (nelle grandi imprese la stragrande parte del capitale non è più rappresentato dalle macchine ma dai brevetti, dalle idee), loro adesso si trovano messe in difficoltà. La Germania, che ha un sistema industriale simile al nostro, fatto di molte piccole imprese, ha sopperito a questo costruendo una grande macchina da guerra che si chiama Fraunhofer, che è un’agenzia che sostanzialmente compra e produce tecnologie, come una grande chioccia, per le PMI, che ne sono in parte proprietarie (in parte ne è proprietario lo Stato). Noi abbiamo faticato, non abbiamo costruito la macchina da guerra perché abbiamo teorizzato l’inutilità della politica industriale, frutto dell’ideologia neoliberale che non pensa sia utile una politica industriale.
Per fortuna il Paese è vivo territorialmente, in molte parti del Paese si sono formate alleanze fra le PMI e le università e questo ci consente di dire cosa bisogna fare: bisogna sistematizzare queste alleanze. E infatti una parte del piano di Ripresa e Resilienza è destinato a questo. Va migliorato, va reso più cogente ma questa è la carta, non quella di dare soldi a pioggia. Quei soldi possono servire per “passare la nottata”, mi lasci citare Eduardo de Filippo, e impedire che muoiano delle imprese magari capaci durante la nottata Covid. Può avere senso dare liquidità, ma a un certo punto bisogna che i finanziamenti siano legati a un salto di qualità: nell’acquisto di tecnologia, nel salto dimensionale, nel rinnovamento del management perché troppe piccole e medie imprese in Italia hanno management familiare, che va bene perché consente l’investimento di risparmio in impresa ma che non va bene quando l’erede, che non capisce nulla di imprese, va a fare il manager. Bisogna che i fondi siano utilizzati e siano legati a impegni di questo tipo e che le risorse pubbliche, le grandi risorse pubbliche che stiamo investendo, siano dirette a risultati verificabili e preannunciati. Non basta dire che si sta investendo, bisogna specificare in che cosa.
Articolo di Ettore Iorio