Istanbul tra due canali

La costruzione del nuovo canale artificiale di Istanbul comporta serie preoccupazioni economiche, ambientali e sociali.

20/08/2021

Progetto pazzo

«Stiamo costruendo il canale del secolo, un progetto di dimensioni così immense che non può essere paragonato ai canali di Panama o Suez», azzardava Erdoğan nel 2011 alla presentazione del progetto del nuovo canale artificiale parallelo al Bosforo, confine naturale tra due continenti e unica via che collega – finora – Mar Nero al Mar di Marmara, nonché al Mediterraneo. Inizialmente il nuovo «Canale Istanbul» doveva essere concluso nel 2023, ma l’inizio dei lavori è slittato a giugno 2021, e dureranno 7 anni. Il progetto, secondo il governo, è stato avviato per via del traffico congestionante nel Bosforo, dove spesso vi sono state micro collisioni, incidenti o addirittura tragici impatti, come nel 1994, quando un incidente costò la vita a 29 operai. 

Il piano di costruzione del «canale Istanbul», che come il Bosforo collegherà il Mar Nero e il Mar di Marmara, prevede un costo di costruzione tra 10 e 15 miliardi di dollari e una capacità di 160 transiti giornalieri; mentre il fatturato generato dal «progetto pazzo» – così denominato dallo stesso Erdoğan – si dovrebbe aggirare attorno ai 25 miliardi di dollari nei primi 20 anni di attività. Il governo turco mira, dopo questa opera e altre grandi costruzioni passate, ad affermare Istanbul come un «World Brand». Il canale sorgerà a occidente di Istanbul, con una lunghezza di 45 km e una profondità di 20,75 metri. Inoltre, il progetto prevede anche la costruzione di sei ponti sul canale e di una «nuova città» attorno al corso d’acqua artificiale, dove è previsto l’insediamento di 1,2 milioni di persone in più: «Costruiremo due città, a destra e a sinistra del Canale di Istanbul. Con queste due città la bellezza e l’importanza strategica di Istanbul aumenteranno», ha affermato Erdoğan.

 

Fonte: Al Jazeera

 

Molti critici sostengono che – nonostante il governo affermi che non ci sia alternativa al Canale Istanbul per decongestionare il traffico nel Bosforo – il flusso nel passaggio naturale è diminuito negli ultimi anni. Secondo il Ministero dei Trasporti turco, tra il 2008 e il 2018 l’ammontare di navi nel Bosforo è sceso da 54.400 a 41.100 all’anno, e anche gli incidenti marittimi nello stretto sono diminuiti di un terzo dal 2003 secondo l’agenzia per la sicurezza costiera della Turchia, riporta Al jazeera. Il decremento di traffico è avvenuto in particolare perché i nuovi oleodotti rendono più conveniente il trasporto di gas e petrolio se confrontato con il passaggio marittimo nel Bosforo. Le perplessità sulla costruzione del nuovo canale non finiscono qui, poiché a esse si sommano le problematiche internazionali. Il traffico e la navigazione nel Bosforo, dei Dardanelli e del Mar di Marmara, e quindi l’accesso al Mar Nero, è regolato dalla convenzione di Montreux firmata nel 1936 da Turchia, Francia, Grecia, Romania, Regno Unito e Unione Sovietica, e successivamente Italia. L’accordo stabilisce una serie di vincoli sia in tempo di pace che in tempo di guerra, come ad esempio garantisce l’accesso al canale delle navi commerciali, o impone il limite di permanenza di 21 giorni nel Mar Nero per flotte militari di stati non riveraschi, scelta compiuta per evitare conflitti russo-americani tra tutti. La convenzione erge la Turchia come garante degli «Stretti», dandole la possibilità di limitare ulteriormente il traffico nel caso in sui si senta minacciata.

Il nuovo canale, esente dalla convenzione del secolo scorso, sarebbe unicamente sotto l’egida turca, in grado così di stabilirne le regole di passaggio, presumibilmente avvicinandosi alla linea statunitense che ha sempre voluto allentare le restrizioni per le sue navi da guerra. Come scrive il quotidiano russo Nezavisimaya Gazeta: «Con la costruzione del Canale di Istanbul, la condizione degli Stretti tornerebbe a quella nel 1913», quando più di un secolo fa, l’Impero Ottomano faceva entrare nel Mar Nero a sua discrezionalità. Questo è vero, ma la questione rimane contorta e imprevedibile poiché il «Canale Istanbul» è alternativo solo al Bosforo, mentre per l’entrata nei Dardanelli e nel Mar di Marmara rimane in vigore la convenzione di Montreux. Ad oggi si possono compiere solo previsioni per via teorica: l’ipotesi più plausibile è quella che la Turchia voglia divenire un metronomo indipendente del Medio-Oriente, impegnata su più fronti e con la capacità di prendere decisioni disgiunte di volta in volta, dunque interpretando ogni caso in via evolutiva, considerando anche che per molti la convenzione di Montreux dovrebbe essere superata. Come spiega Valerio Nicolosi, giornalista di MicroMega occupatosi spesso di rotte migratorie e Medio Oriente, contattato da Scomodo: «Erdoğan vuole avere le mani slegate, così che in futuro possa avere una geopolitica variabile, scegliendo gli alleati che più gli convengono. Sta giocando da anni un ruolo ai margini della NATO e dell’alleanza atlantica per questa ragione». 

Il disastroso impatto ambientale

A far discutere, e non poco, è il forte impatto ambientale che la costruzione del nuovo canale comporterebbe. Imamoglu, sindaco di Istanbul e forte oppositore di Erdoğan, sottolinea come i lavori annienterebbero le risorse idriche per circa 16 milioni di residenti della zona. Repentina la smentita del governo, il quale sostiene di sopperire a tale ingente perdita  con la costruzione di due nuove dighe.

Secondo i piani della terza fase del progetto, il Canale di Istanbul, che copre 10 villaggi e la diga di Sazlıdere – la quale soddisfa in parte il fabbisogno idrico di Istanbul – saranno completamente distrutti in quanto parte del canale; ma questi sono solo i primi irrimediabili effetti.

Il lago Terkos e il bacino idrico di Sazlıdere forniscono un quarto dell’acqua potabile della città, se queste riserve dovessero andare perdute, secondo molti scienziati, non ci sono fonti d’acqua alternative sul lato europeo di Istanbul. A quel punto, il governo dovrebbe pompare acqua dal fiume Sakarya, in profondità sul versante asiatico, e ciò oltre a essere molto più costoso, comportrebbe anche rischi per la salute, dato che il fiume passa attraverso la capitale della Turchia, Ankara, e via aree industriali inquinate per raggiungere il Mar Nero.

Emerge inoltre che non sono state sviluppate soluzioni per salvaguardare la grotta Şahintepe – Yarımburgaz, dove la prima vita stabile è iniziata nella regione 400 mila anni fa, e nella situazione attuale, le grotte potrebbero essere distrutte a seguito del progetto.

Inoltre, esaminando la variazione di piano datata 2020, rispetto al 2009, si riscontra un aumento di 850 ettari di foresta che andrà persa in seguito all’opera. Il terreno previsto nel sito del progetto inizialmente era di 12 mila 509 ettari, ma in seguito è aumentato a 35 mila 714 ettari. Tutto ciò tocca inoltre ampie zone ora designate a campi agricoli e pascoli, i quali passeranno dalla precedente espansione di 497 ettari a zero, portando gli abitanti dei villaggi residenti nella regione a non avere più terreni per pascolare i loro animali, importante fonte di sostentamento per molti nell’area.

 

 

Salta all’occhio anche un’importante differenza: mentre il Bosforo è così profondo da permettere una controcorrente, il canale non avrebbe tale effetto di bilanciamento; perciò il passaggio di grandi navi inquinerebbe notevolmente e, in assenza di acque correnti, il tutto ristagnerebbe sul posto. La maggior preoccupazione è il potenziale enorme di afflusso di acqua ricca di sostanze nutritive dal Mar Nero, che secondo gli scienziati incoraggerebbe la crescita di alghe e ucciderebbe la vita nel Mar di Marmara.

I critici – tra cui il sindaco di Istanbul – avvertono il caro prezzo ambientale da pagare, inclusa la potenziale distruzione ecologica del Mar di Marmara, dal momento in cui esiste un delicato equilibrio tra questo e il Mar Nero, attualmente collegati dallo stretto del Bosforo.

«La salinità del Mar Nero è inferiore a quella del Mar di Marmara e il contenuto organico di quest’ultimo è di gran lunga inferiore a quello del Mar Nero», afferma Akçelik, segretario di Istanbul dell’Unione delle Camere degli ingegneri e architetti turchi. Poiché il Mar Nero è 50 cm più alto del Marmara, sia il livello che la densità di salinità cambierebbero se i due fossero collegati dal canale. In aggiunta, il flusso di organismi cellulari nel Marmara consumerebbe ossigeno extra, portando batteri e altri organismi  a creare un gas sulfureo, il cui odore potrebbe diffondersi in tutta Istanbul come puzza di uova marce. Il canale attraverserà la laguna di Küçükçekmece, dimora di centinaia di specie di uccelli, le cui zone umide vitali utilizzate anche da alcuni uccelli migratori saranno distrutte.

Molti ambientalisti sostengono fortemente che «le aree edificabili che si formeranno intorno si trasformeranno in un’isola di calore urbana, modificando la temperatura, l’umidità, l’evaporazione e i regimi del vento in brevissimo tempo». Considerando tutti questi punti, diventa più chiaro a che tipo di disastro ambientale si va incontro.

Tutto ciò però sembra essere passato totalmente inosservato durante il processo di valutazione dell’impatto ambientale: il 23 dicembre 2019 il Consiglio di Ispezione e Indagine del Ministero dell’Ambiente e dell’Urbanizzazione ha approvato il Rapporto di Valutazione dell’Impatto Ambientale del progetto.

Successivamente, il rapporto è stato presentato al pubblico presso il Ministero dell’Ambiente e dell’Urbanizzazione e la Direzione Provinciale di Istanbul per 10 giorni. In questo periodo molti cittadini hanno indirizzato petizioni al governo di forte opposizione alla realizzazione, coordinate da alcune associazioni ambientaliste come Wwf Turchia e Greenpeace, firmataria di un ricorso. «Sotto molti aspetti, Istanbul, una delle città più importanti al mondo, sarà messa in disastro da questo imprevedibile progetto che influenzerà profondamente la natura e l’ecosistema, rendendo la città ancora più vulnerabile» afferma Bayram, direttore del programma mediterraneo di Greenpeace. Si parla di prosciugamento di riserve idriche, cambiamenti irreversibili per l’ecosistema marittimo e aumento dei rischi sismici.

Il governo nazionale e il ministero dell’Ambiente e dell’Urbanizzazione della città non hanno risposto in alcun modo alle richieste di chiarimenti pervenute da più fronti, approvando imperterriti il 17 gennaio 2020 il rapporto

Un’opera anche politica

Negli oltre di vent’anni di governo, Erdoğan e la sua Turchia hanno dato vita a numerosi progetti megalomani – investendo decine di miliardi di dollari – come il nuovo aeroporto di Istanbul, il nuovo ponte sul Bosforo, ospedali cittadini e moschee. Erdoğan è stato definito come l’«architetto della nuova Turchia», trasformando Istanbul in un «cantiere a cielo aperto». I precedenti progetti, talvolta, hanno fallito nei loro obiettivi, non riuscendo a raggiungere il guadagno previsto. Ad esempio, dopo la costruzione del terzo ponte sul Bosforo nel 2019, il governo ha dovuto versare 515 milioni di dollari all’azienda costruttrice per sopperire a una carenza di entrate nei pedaggi. 

In alcune aree del paese, i grattacieli sono aumentati a dismisura, così come i centri commerciali sono divenuti simbolo dello stile di vita di una parte della popolazione. Contrariamente, si sono estese anche le gated communities e fenomeni come la segregazione spaziale, che hanno modificato il tessuto sociale di alcuni quartieri. 

All’interno di questa spinta modernistica, non si è esacerbato solo il divario tra ricchi e poveri, ma anche tra vere e proprie classi, ossia tra borghesia musulmana conservatrice e i turchi bianchi, identificati come cosmopoliti, amanti del benessere e della bella vita. Più volte Erdoğan ha preso le distanze da questi ultimi, ma nei fatti ha rinnegato sè stesso: tutte le infrastrutture precedenti, come anche la costruzione del nuovo canale, sono da includere in un quadro di modernizzazione del paese affine più che mai ai turchi bianchi. In questo modo, il presidente turco gioca contemporaneamente su più tavoli, tentando di tenersi stretto la fiducia della maggior parte dei cittadini che non si identificano nello stile di vita europeo, ma avvicinandosi tacitamente agli abbienti bianchi, perno del settore economico e quindi elementi fondamentali per le sue mire politiche. Approccio binario che si può, metaforicamente, anche intravedere nei due canali turchi: il Bosforo, storico passaggio naturale, che comunque non vi è l’intenzione di dismettere, e il nuovo canale Istanbul, pensato per fare affari indipendenti, senza dover sottostare a datati accordi, simbolo di svecchiamento che ha come obiettivo il solo sviluppo, rendendo Istanbul sempre più accattivante agli occhi degli investitori. Nonostante ciò, la strategia di Erdoğan potrebbe non funzionare più, così come la costruzione del canale potrebbe non bastare per rimanere alle redini del paese. Infatti, lo studio di Turkiye Raporu riporta che il 17% di cittadini che nel 2018 ha votato AKP, il partito di Erdoğan, non voterà mai più per loro in vista delle elezioni del 2023; mentre il sondaggio di aprile di Metropoll segnala che il sostegno al partito è al 27%, la percentuale più bassa dalla sua fondazione. 

Può essere dunque un’opera anche a fine politico in risposta alla perdita di consensi, visto che testate filogovernative (la stragrande maggioranza) hanno puntato molto sul sottolineare gli innumerevoli posti di lavoro che la costruzione del nuovo canale creerebbe. Secondo Nicolosi, invece, si tratterebbe di un investimento di propaganda solo in parte, ma soprattutto di prospettiva economica, in risposta a una crisi interna al paese, dato che negli ultimi anni la Turchia ha investito molto in Libia e in Siria a livello militare ed economico. «In molti hanno compreso quanto Suez bloccasse l’economia mondiale, e un nuovo canale di questo tipo avrebbe un impatto economico minore ma comunque importante».

La politica oscurantista di Erdoğan

«La democrazia è come un tram, fai qualche fermata e poi scendi». Questa frase di Erdoğan riporta alla memoria come la democrazia in Turchia non sia proprio come la conosciamo. «La svolta autoritaria in politica interna – ricorda Nicolosi – non consente di certo il proliferare di dossier ambientali o di report-denuncia, la cui ricerca sembra essere totalmente vana. Imamoglu è un chiaro oppositore di Erdoğan, a livello nazionale può essere una voce, ma penso sia difficile avere una vera opposizione in Turchia, dopo i vari arresti, con la repressione dei curdi e della sinistra, e il presunto tentativo di golpe secondo Erdoğan». Scomodo nelle scorse settimane, ha provato a contattare alcuni residenti della zona per avere un feedback in merito alla costruzione del canale, e percepire le sensazioni degli abitanti di Istanbul: la totalità di questi si è rifiutata di rilasciare dichiarazioni per paura di eventuali ripercussioni. La redazione, inoltre, ha riscontrato buchi anche nella documentazione relativa ai finanziamenti. «Le fonti ufficiali sono complesse, è tutto molto nebuloso e l’agenzia di stampa turca fa passare solo ciò che vuole», conclude Nicolosi.  Nel frattempo il 26 giugno è stata posta la prima pietra simbolica, con tanto di cerimonia inaugurale da parte del presidente turco.

Articolo di Nicolò Benassi, Andrea Carcuro