Per accessibilità si intende la capacità di fornire informazioni fruibili a tutti, inclusi coloro che a causa di disabilità necessitano di tecnologie assistive o configurazioni particolari. Abbattere le barriere alla fruizione dei contenuti è il primo passo per permettere a più persone di partecipare e contribuire al cambiamento.
Per questo noi di Scomodo stiamo cercando di inserire strumenti che favoriscano la lettura e la navigazione del nostro sito a quanti più utenti possibile.
Cosa stiamo facendo? Stiamo cercando di migliorare sempre di più l’accessibilità delle informazioni e delle interazioni anche per chi ha necessità particolari: come ad esempio chi può navigare solo con la tastiera, oppure chi ha difetti della vista o disturbi del neurosviluppo che riguardano la capacità di leggere.
Un menu laterale, sempre visibile, ti permette di modificare la visualizzazione della pagina in modo da facilitare la navigazione a seconda delle tue esigenze:
Hai trovato difficoltà? Puoi scrivere a tancredi@leggiscomodo.com.
Il tuo aiuto ci fornirà ulteriori spunti per migliorare l’accessibilità del nostro sito.
Chiudi
Può l’Italia contrastare l’avanzata della Turchia nel Mediterraneo?
Il 10 giugno, mentre il nostro Paese era intento ad osservare i primi risultati della riapertura dei confini regionali avvenuta il 3 giugno, il Mar Mediterraneo diveniva il palcoscenico di una delle più aspre diatribe navali della sua recente storia, che ha visto come protagonista la fregata francese Courbet. La nave della flotta francese, che era impegnata nella missione NATO “Sea Guardian” per pattugliare le acque del Mediterraneo, si trovava a largo della costa libica quando è avvenuto l’incontro con le altri due navi protagoniste di questa vicenda, il mercantile Cirkir e la fregata Oruçreis, che gli faceva da scorta per la flotta della Turchia.
Non era la prima volta che la nave battente bandiera tanzaniana si avventurava in quello specifico tratto di mare. Già il 27 maggio, dopo aver spento nei giorni precedenti il proprio sistema di tracciamento automatico nei momenti successivi alla sua uscita dal porto Haydarpaşa di Istanbul, il Cirkir era stato avvistato al largo dell’isola di Creta da un’altra nave francese, la Forbin, mentre faceva ritorno dal porto libico di Misurata, in tempi recenti finito proprio nelle mani del governo di Ankara. Dinanzi alla richiesta del cacciatorpediniere francese di poter ispezionare il carico del mercantile, per controllare se il Cirkir stesse infrangendo l’embargo voluto dalla NATO sul commercio d’armi con ambo le fazioni protagoniste della guerra libica, si sono frapposte le tre navi della Marina turca che erano gli facevano da scorta, impedendo così all’equipaggio francese di procedere con il check del carico.
Il 10 giugno il mercantile, stavolta di passaggio nelle acque al largo della costa libica, è stato intercettato dalla fregata Courbet. In questo caso, alla richiesta di ispezione del carico arrivata dalla nave francese, ha risposto il radar di tiro della fregata turca Oruçreis, che ha illuminato per ben tre volte la fregata e ha schierato gli uomini dell’equipaggio armati sul proprio ponte. Un atto di ostilità con ben pochi eguali all’interno della storia recente del Mar Mediterraneo, specialmente se si considera il fatto che la minaccia ad una nave in missione per conto della NATO è arrivata dal membro di una flotta di un altro paese membro come la Turchia. La NATO stessa è stata talmente presa alla sprovvista da questa vicenda da non riuscire, anche al seguito di una propria inchiesta sull’accaduto, a sanzionare il governo turco per la palese violazione dell’embargo libico e per l’aggressione rivolta verso un altro paese membro, causando così la temporanea fuoriuscita della Francia dalle missioni navali dell’alleanza militare.
L’incidente che ha visto coinvolto la Courbet può apparire come un caso isolato, ma osservando il contesto mediterraneo possiamo notare come l’operato di Ankara stia divenendo sempre più aggressivo, come testimoniato delle sempre maggiori tensioni che si stanno sviluppando con la Grecia, storico rivale e nemico mai dimenticato dal governo di Erdogan. La Turchia si muove con sempre maggior forza all’interno di uno spazio geografico e geopolitico, quello mediterraneo, che noi italiani consideriamo da sempre, per ragioni storiche e culturali che risalgono ai tempi del dominio dell’Impero Romano sull’area, come nostro di diritto. Oggi, la nostra classe dirigente appare totalmente incapace a gestire una simile sfida: come può il nostro paese contrastare l’assalto di Ankara al Mare Nostrum?
La Patria Blu: i Turchi alla conquista del Mediterraneo
Per lungo tempo, siamo stati abituati a pensare alla Turchia come un paese irrilevante all’interno del contesto geopolitico globale: al di fuori dell’Unione Europea e in costante conflitto con due super potenze come USA e Russia, oramai il paese guidato da Erdogan appariva come uno sbiadito parente di quell’Impero Ottomano che era stato capace di conquistare la totalità del Nord-Africa e spingersi fino alle porte dell’Europa Centrale. Gli stessi risultati della politica estera di Ankara testimoniarono a favore di questa visione, come nel caso della disastrosa gestione dell’inizio del conflitto siriano. Nel 2011, la Turchia era infatti il più forte alleato nella zona medio-orientale per al-Asad, ma l’azione combinata del presidente Erdogan e dell’allora braccio destro e ministro degli esteri Davutoğlu risultò totalmente fallimentare nel condizionare l’operato del proprio alleato, al punto tale che il presidente siriano arrivò a minacciare un conflitto militare con Ankara e a uscire completamente dalla sua sfera d’influenza.
Per la Turchia, la Siria è stato il più grande fallimento della storia millenaria del paese ed una ferita che tormenta ancora oggi i sogni di Erdogan in persona, che ha vissuto questa disfatta come un segno del fatto che la strategia geopolitica seguita fino a quel momento fosse destinata a risolversi in una serie di sconfitte senza possibilità d’appello. Oggi, la Turchia è perfettamente consapevole di non essere ancora giunta ad un livello di potenza militare tale da poter smuovere da sé gli equilibri regionali delle aree in cui vorrebbe estendere la propria influenza. Per ovviare a questa debolezza, Ankara oggi si muove e pianifica come se in atto ci fossero degli eventi non ancora innescati, in modo da non farsi cogliere impreparata nel momento nel quale il contesto internazionale permetterà di colpire. Le due aree maggiormente attenzionate dal governo Erdogan sono i Balcani e il Mediterraneo Orientale: nella prima, Ankara cerca il modo di ricongiungersi con la Macedonia e il territorio della Grande Albania sfruttando il parere favorevole della Serbia e dell’Ungheria di Orban, mentre nel Mediterraneo cerca di ristabilire l’enorme potere che l’Impero Ottomano ha mantenuto sull’area per secoli.
Se Ankara ride, Roma piange
Mentre la Turchia inizia a porre le basi di una futura avanzata nel Mediterraneo, il nostro paese sembra assolutamente all’oscuro di questa minaccia. Eppure, l’Italia per prima dovrebbe essere consapevole della forza turca, visto che ad Ankara sono bastati pochi anni per buttarci fuori dalla Libia, paese legato al nostro da ormai un secolo. Oggi sembrano lontani i tempi in cui la comunità internazionale affidava al governo italiano il difficile compito di diramare il lungo conflitto civile che si stava svolgendo fra Haftar e al-Sarraj, mentre la Turchia veniva esclusa totalmente dai dialoghi sul futuro della zona. Sono passati soli due anni dalla Conferenza di Palermo, celebrata allora dal Governo Conte I come decisiva per risolvere la questione, e alla quale la Turchia non venne neanche invitata: in soli due anni, a risolvere le cose sono stati i droni turchi, mentre l’Italia ha perso una delle poche zone d’influenza che le erano rimaste.
La sconfitta in Libia dovrebbe, dunque, rappresentare un pericoloso campanello d’allarme per la nostra classe politica. Perdere un territorio così strettamente legato all’Italia a livello storico per mano di una potenza che neanche veniva considerata come tale, rappresenta una ferita profonda per l’orgoglio del nostro paese, che da sempre considera il Mediterraneo la sua naturale area di influenza senza, però, aver fatto nulla per consolidare una tale posizione nel corso degli ultimi anni. Eppure, dalla Farnesina e dal Palazzo Chigi tutto tace: Conte è impegnato nella gestione del nuovo aumento di casi di COVID-19, mentre di Maio si è tardivamente presentato in Libia a settembre (quando i giochi nel conflitto erano ormai chiusi), e oggi professa una sempre maggiore collaborazione con Ankara nella gestione della situazione. La minacciosa avanzata turca nel Mare Nostrum sembra non esser stata percepita dalla nostra classe dirigente, convinta forse che in caso di pericolo effettivo gli Stati Uniti sarebbero pronti a venire immediatamente in nostro soccorso, mentre sono decenni che i presidenti americani portano avanti una politica di totale disimpegno dagli scenari globali che non li riguardino direttamente.
A testimonianza di questa cecità nei confronti del pericolo turco, va segnalata la concessione per i prossimi quarantanove anni del terminal container del porto di Taranto alla Yilport, multinazionale turca e tredicesima forza a livello globale nel settore portuale. Questa decisione rappresenta un gigantesco assist per il governo di Ankara, che da sempre rincorre le vie commerciali cinesi e che trova in Taranto un perfetto punto d’ingresso all’interno della Belt & Road Initiative. Il fatto che il nostro governo non si sia fatto alcuno scrupolo a cedere uno dei porti che diverranno essenziali nello sviluppo della nuova Via della Seta, ad uno dei suoi competitors più feroci non deve sorprendere: è lo stesso atteggiamento che l’Italia ha mostrato nella firma del memorandum politico con la Cina, atto di capitale importanza per le aspirazioni di Pechino da noi trattato come un semplice accordo commerciale. In questo momento, sembra che la nostra classe dirigente agisca senza porre in prospettiva le singole mosse che manda avanti: un atteggiamento che nel lungo periodo rischia di compromettere seriamente le prospettive geopolitiche future dell’Italia.
Una politica che non guarda al futuro
Questo tragico scenario deriva dalla totale svalutazione messa in atto dalla classe politica nei confronti della difficile scienza della politica estera, testimoniata a livello storico dal trattamento riservato al Ministero degli Esteri durante la formazione dei vari esecutivi che hanno composto la storia Repubblicana Italiana. La Farnesina, pur rappresentando al tempo stesso uno dei Ministeri di maggior prestigio e più difficili da gestire nel caso non si disponga delle necessarie competenze, è sempre stato trattato dai partiti italiani come merce di scambio all’interno delle coalizioni di governo. In tal modo, all’interno del contesto politico attuale del nostro paese, si è andato a creare un loop mortifero: più scende l’interesse generale verso la politica estera e sempre meno i nostri partiti si preoccupano di sviluppare questo punto all’interno dei propri programmi.
Quella che si viene a creare in questo scenario, è una politica totalmente incapace di guardare oltre il domani più prossimo, priva della capacità di investire per il proprio futuro ma, soprattutto, di comprendere le pericolose implicazioni dietro alle scelte apparentemente più banali. Un paese passato dal ruolo di fondatore dell’Unione Europea alla totale diffidenza dei partner continentali e internazionali, che spesso mal digeriscono le decisioni prese dai governi italiani (la firma del Memorandum sulla Belt & Road Initiative con la Cina) e sono sempre più restie ad affidare incarichi rilevanti dopo il nostro fallimento in Libia.
Se la nostra classe dirigente non si pone oggi come obiettivo primario l’invertire questa pericolosa tendenza, l’Italia rischia di diventare in futuro un paese privo di difese, abbandonato nel mezzo del Mediterraneo in attesa di divenire terra di conquista per le superpotenze che in futuro si affacceranno sul Mare Nostrum con sempre maggiore intensità. Per impedire ciò, i nostri partiti devono prendere consapevolezza dell’attuale fragilità italiana all’interno del contesto internazionale, smettendo di perseguire il falso mito dell’importanza strategica del nostro paese all’interno degli organismi internazionali (dettato quasi unicamente dal fatto che l’Italia faccia ancora parte del G7).
Il tempo per invertire la rotta c’è, considerato il fatto che nel Mediterraneo la Turchia è ancora lontana dalla possibilità concreta di imporre il proprio dominio all’interno dell’area. Questo non vuol dire che la nostra classe dirigente possa permettersi nuovi passi falsi nello scenario internazionale, poiché questo non farebbe altro che isolarci ancor di più dai nostri partner continentali e internazionali. Una volta accaduto questo, Ankara e le altre potenze che si stanno affacciando sul Mediterraneo non ci metterebbero molto a fiutare l’affare ed ad attaccare direttamente il nostro paese, facendo così divenire l’Italia una loro conquista di grande rilievo e facendola scivolare all’interno della più totale irrilevanza nel contesto geopolitico globale. Uno possibilità che di certo la Turchia sfrutterebbe per estendere la propria influenza nel Mediterraneo: la recente vittoria elettorale del candidato filo-turco Ersin Tatar nelle elezioni di Cipro Nord è solo l’ultimo successo di Erdogan in ordine cronologico nell’area. Se l’avanzata turca non verrà fermata, il progetto della Patria Blu diventerà realtà, con il concreto rischio che Ankara inglobi al suo interno anche l’Italia.
Articolo di Luca Bagnariol