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LA CURA ENI: SE IL DIRITTO ALLO STUDIO PASSA PER LE MANI DI UNA MULTINAZIONALE DEL PETROLIO

La multinazionale del petrolio finanzia numerose attività in scuole e università, disastrate dai tagli. Costruendo per sé e per il proprio operato un’immagine idilliaca

Eni, negli ultimi anni, ha sviluppato interessi e agende in un numero crescente di direzioni, e il sistema educativo italiano sembra essere tra queste “mire espansionistiche”. Il mondo della scuola e dell’università è ormai storicamente un mondo in difficoltà. Il Ministero (oggi diviso) affronta continue crisi, non ultima quella profondissima dovuta alla pandemia, e soffre di un sottofinanziamento con cui ormai tanto i professori e i ricercatori quanto gli studenti si misurano, con pochi sussulti di protesta.

Eni, negli ultimi anni, ha sviluppato interessi e agende in un numero crescente di direzioni, e il sistema educativo italiano sembra essere tra queste “mire espansionistiche”. Il mondo della scuola e dell’università è ormai storicamente un mondo in difficoltà. Il Ministero (oggi diviso) affronta continue crisi, non ultima quella profondissima dovuta alla pandemia, e soffre di un sottofinanziamento con cui ormai tanto i professori e i ricercatori quanto gli studenti si misurano, con pochi sussulti di protesta.

In questo quadro, qualsiasi finanziamento diretto o indiretto è il benvenuto. La multinazionale italiana per eccellenza, oggi pubblica solo al 30%, ci si è tuffata. Dall’alternanza scuola-lavoro al finanziamento di interi corsi e progetti di ricerca universitari, passando per la formazione dei docenti: il mondo dell’istruzione e della ricerca inizia ad essere sostenuto dai contributi di un colosso energetico.

SOTTO LA STELLA DI ENI: LA DIREZIONE DELL'ISTRUZIONE SICILIANA

In Sicilia la povertà educativa è un problema caratterizzante. Il trend nazionale sugli investimenti nella ricerca, sullo stato di salute del sistema educativo e sui livelli di apprendimento non è già roseo di per sé stesso. Al Sud, la situazione è emergenziale. L’Assessorato all’Istruzione e alla Formazione Professionale della Regione Siciliana attesta quanto per l’isola la povertà educativa sia un problema complesso. La Sicilia è «fra le ultime per livello di apprendimento nelle competenze di base. Le scuole sono in ritardo sono di più di quelle che raggiungono soglie educative soddisfacenti: su 520 scuole monitorate, il 42,2% è da definirsi in difficoltà; l’11,3% in forte difficoltà. La dispersione scolastica è un problema molto sentito in alcune province». L’intervento statale è spesso a rilento, e ad intervalli regolari vengono annunciati nuovi piani di aiuto. A febbraio il Ministro dell’Istruzione ha annunciato l’esistenza di «un piano di intervento per la riduzione dei divari territoriali in istruzione» destinato a partire dalla Sicilia.

Nel quadro diffuso delle vacanze istituzionali, si è innestata Eni. Proprietaria di un arcinoto polo petrolchimico a Gela, l’azienda è stata a più riprese sotto accusa per la gestione dello stesso impianto.

Nel 2014, dopo anni di indagine sulla bonifica del territorio, si arriva a un Protocollo d’Intesa tra Eni, Regione Sicilia ed il Comune di Gela per la riconversione. La città, già storicamente “dominata” quasi in ogni aspetto della sua esistenza dalla presenza della multinazionale, inizia a vivere dunque una nuova fase della propria storia. E questa volta, si può lavorare sulla prospettiva.

L’azione della multinazionale nel contesto del diritto allo studio è raggruppabile in tre direttrici d’azione: l’intervento in favore della riduzione dell’abbandono scolastico, l’offerta di programmi di alternanza scuola-lavoro, e quella di possibilità di studio successive al titolo di istruzione media superiore.

Di tutte queste attività si trova traccia nei rapporti locali di Eni e nei documenti riassuntivi delle scuole coinvolte nei programmi di Eni. Nel Protocollo d’Intesa si dà conto di un contributo economico di 32 milioni di euro da parte della multinazionale per lo sviluppo sostenibile nel settore delle energie rinnovabili e di riqualificazione urbana e culturale nella città di Gela. Ad oggi si sono messi in campo 9,5 milioni ripartiti in quattro diversi Accordi Attuativi. Nel rapporto locale di Eni a Gela del 2018, descrivendo le proprie attività a favore della formazione e l’educazione, la multinazionale rivendica l’efficacia dei progetti contro l’abbandono scolastico.

Nell’Istituto Professionale Ettore Majorana, nel triennio 2016-2019, grazie al contributo di Eni alla formazione dei docenti «per gestire un nuovo modo di fare didattica» ed alla «digitalizzazione del sistema», con l’allestimento di reti Wi-Fi, la dotazione di computer e la creazione di una modalità didattica fruita tramite iPad, il tasso di abbandono scolastico è calato dal 48% (era l’anno scolastico 2015-16) al 3% (anno scolastico 2018-19).

Nello stesso tempo, i documenti dell’istituto Majorana registrano il cambio di prospettiva rispetto l’impatto di Eni sul territorio gelese. Nel PTOF 2016-2019, si attesta come «la presenza di uno stabilimento petrolchimico ha contribuito ad un forte incremento demografico, ma anche all’impoverimento e alla dequalificazione del territorio, che, sotto il profilo ambientale, è divenuto una delle zone a più elevata incidenza di carcinomi sul piano nazionale».

Nello stesso tempo, i documenti dell’istituto Majorana registrano il cambio di prospettiva rispetto l’impatto di Eni sul territorio gelese. Nel PTOF 2016-2019, si attesta come «la presenza di uno stabilimento petrolchimico ha contribuito ad un forte incremento demografico, ma anche all’impoverimento e alla dequalificazione del territorio, che, sotto il profilo ambientale, è divenuto una delle zone a più elevata incidenza di carcinomi sul piano nazionale».

Nell’edizione successiva, redatta nel 2019, rimane il riferimento alla situazione economica, ma scompare quello alle tematiche ambientali e sanitarie: «la presenza di uno stabilimento petrolchimico ha offerto sbocchi lavorativi agli abitanti del luogo e dei paesi limitrofi. Questo ha contribuito ad un incremento a livello demografico, ma la progressiva e quasi totale chiusura degli impianti dello stabilimento he generato una crisi economica e sociale di non prevedibile portata».

Nell’edizione successiva, redatta nel 2019, rimane il riferimento alla situazione economica, ma scompare quello alle tematiche ambientali e sanitarie: «la presenza di uno stabilimento petrolchimico ha offerto sbocchi lavorativi agli abitanti del luogo e dei paesi limitrofi. Questo ha contribuito ad un incremento a livello demografico, ma la progressiva e quasi totale chiusura degli impianti dello stabilimento he generato una crisi economica e sociale di non prevedibile portata».

Al contempo, si è effettuata la «promozione di attività di orientamento professionale in sinergia con associazioni, enti e imprese presenti sul territorio». Su questa scia si innesta l’offerta di alternanza scuola-lavoro di Eni. Sempre nel rapporto locale si attesta il coinvolgimento di un totale di 926 studenti durante il triennio 2016-19. Considerando la quota parte degli studenti nella fascia d’età compatibile con le date (circa ottomila unità secondo dati ISTAT), Eni ha interessato circa il 10% degli studenti coinvolti nelle attività di alternanza. Tra queste attività, il campionato green economy oriented, una sorta di competizione incentrata sulle attività dell’azienda che ha coinvolto le scuole superiori gelesi in un percorso di alternanza scuola lavoro: 200 studenti per 31 docenti “made in Eni”.

Gli elaborati dei partecipanti sono emblematici: «Ho visto l’Eni da una prospettiva migliore. La raffineria spesso è considerata come qualcosa che inquina e basta. Da oggi so che non è così: la sicurezza e l’ambiente sono aspetti prioritari per Eni. È stata una bellissima esperienza e un gran privilegio partecipare a questo progetto. Ho imparato tantissime cose e ho avuto modo di mettermi in gioco per la prima volta nella mia vita», secondo una studentessa del Majorana. Ancora, secondo un allievo del Liceo Scientifico Vittorini: «Ho avuto modo di capire che Eni, nonostante le difficoltà dell’industria, sta continuando a investire nel nostro territorio con impegni economici molto importanti, non solo relativamente alla riconversione della raffineria ma anche in tante iniziative a supporto di un progetto industriale di grande rilievo per il nostro territorio».

Parliamo di corsi legati alle tematiche della sostenibilità ambientale, organizzati da un’impresa con un trascorso non privo di storture sul territorio gelese.

Dove, dal 2016, 22 persone tra direttori e tecnici della Raffineria e di Enimed risultano inquisiti al termine di un'inchiesta ambientale su 10 anni di inquinamento del territorio. Per intenderci, nell’attesa dell’udienza del 21 febbraio 2019 al tribunale di Gela, alcuni ex operai della Raffineria hanno raccontato alla Rete nazionale sicurezza lavoro e salute territorio (nodo di Palermo) dell’esecuzione di presunti sversamenti notturni illegali: «Sotto la superficie dell’azienda c’è una quantità di agenti inquinanti da fare paura». Il processo è ancora in corso.

Questo investimento nel sociale, d’accordo con la stessa Eni, ha contribuito favorevolmente all’immagine dell’impresa. L’azienda ha beneficiato e rivendicato il cambio di prospettiva in questione, simile a quello visto nei documenti del liceo Majorana e a quello riscontrabile negli elaborati degli studenti partecipanti al campionato green economy oriented.

Nel 2018 Eni ha commissionato un’analisi sulla sua reputazione a Gela in cui si certifica come «la bioraffineria contribuisca positivamente all’immagine di Eni, mentre lo sviluppo delle attività Oil&Gas è visto positivamente per le ricadute occupazionali»; secondo il rapporto locale, «le iniziative sociali in atto, una volta conosciute, sono state valutate molto positivamente: dall’alternanza scuola lavoro alle attività contro l’abbandono scolastico».

22 persone tra direttori e tecnici della Raffineria di Gela inquisiti dal 2016

32 milioni di euro da Eni per lo sviluppo sostenibile previsti dal Protocollo d’Intesa.

926 studenti coinvolti nel triennio 2016-2019.

LA TUTELA DELL'AMBIENTE, SPIEGATA DA UN COLOSSO DEL PETROLIO

Eni coltiva i propri interessi in ambito scolastico non solo agendo in ambito extracurricolare. Riuscendo a tessere rapporti stretti con le istituzioni pubbliche legate ad istruzione ed università, il colosso italiano dell’energia ne diventa partner privilegiato. Anche quando si tratta di spiegare la tutela dell’ambiente ai docenti, che poi la dovranno insegnare ai ragazzi.

“Il Futuro non aspetta” è stata un’iniziativa che rientra nel protocollo d’intesa siglato tra ANP (Associazione Nazionale Presidi) e Eni lo scorso 12 dicembre. Lo scopo dell’iniziativa è quello di fornire ai docenti (dalla scuola dell’infanzia all’istruzione superiore), che dal prossimo anno scolastico dovranno insegnare il cambiamento climatico ai ragazzi nelle nuove ore di educazione civica, una preparazione di base sui temi ambientali. Proposta del quasi uscente ministro Fioramonti accolta con gioia dall’opinione pubblica, ma che nella preparazione dei docenti trova il suo più grosso ostacolo.

E chi meglio della multinazionale del petrolio “di casa” per spiegare ai professori come trattare l’educazione ambientale?

In particolare, sono quattro gli ambiti trattati dalle lezioni: cambiamento climatico, efficienza energetica, rifiuti e bonifiche; argomenti trattati in otto seminari tenutisi in giro per l’Italia a cavallo tra gennaio e febbraio. Nelle slide utilizzate per gli incontri, rese pubbliche dall’ANP, specifiche tecniche si mischiano a vaghi “cosa possiamo fare”. In questo senso, pur facendo riferimento ad alcuni dei network e report ambientali più importanti al mondo, lo sguardo sull’ambiente offerto ai docenti è tutt’altro che neutro. Se la lotta al cambiamento è rappresentata blandamente come un processo dove cittadini, ONG, Stati nazionali e businesses hanno egual compito di impegnarsi, senza mai nominarla la transizione ecologica viene posta come una doppia sfida per il settore energetico. Nell’ambito del trattamento dei rifiuti e delle operazioni di bonifica, della piaga costituita dagli sversamenti in Italia e nel mondo ovviamente non v’è traccia. Come commenta Duccio Facchini per Altreconomia, «Eni ha voluto essere contemporaneamente presente (nell’analisi) e assente (rispetto al contenuto e agli impatti delle sue scelte) ed è un limite enorme in un corso di formazione che non era rivolto a semplici promotori del marchio». La scelta di affidare la divulgazione di queste tematiche ad un soggetto con interessi così forti nel campo ha suscitato, ça va sans dire, molte polemiche

«È proprio nel momento in cui un soggetto ha inquinato molto che ha sviluppato delle competenze per contrastare l’inquinamento», ha candidamente dichiarato ad Altreconomia proprio il presidente di ANP Antonello Giannelli, apparentemente miope alle contraddizioni alla base di quest’idea.

Ma il “pulpito” dal quale parla Eni non è l’unica criticità di questa iniziativa. Giannelli cita tra i motivi alla base della scelta dell’azienda anche un tema di convenienza: l’Eni è l’unico partner che si è proposto per offrire questa formazione gratuitamente. Del resto, il ritorno che l’azienda cerca non è certo economico, quanto piuttosto di immagine e di valore sociale. Non è un caso che tutti i professionisti coinvolti nei seminari abbiano, nei curricula, esperienza nelle attività di Eni Rewind (la società ambientale di Eni) e HSEQ (Health, Safety, Environment and Quality). Un rebranding “green” fondamentale per rilanciare il marchio. D’altronde “Il futuro non aspetta” è solo una delle iniziative che Eni ha intrapreso negli ultimi anni per ripulire la sua immagine attraverso la didattica nelle scuole. Sul versante degli studenti, nell’ultimo anno la multinazionale ha lanciato il progetto Eni + Scuola, per diffondere la consapevolezza sull’economia circolare nelle scuole. Questa attività si inserisce nel più ampio programma per l’ambiente “Eni + 1”, lanciato lo scorso giugno probabilmente come reazione all’onda delle proteste dei giovani per il clima. Mentre in un’ottica di ponte tra la scuola e il lavoro opera EniLearning, un corso incentrato sia sulle tematiche ambientali che sui metodi di lavoro in Eni che gli studenti possono frequentare online per adempiere alle necessità dell’alternanza scuola-lavoro, e già adottato da molte scuole in tutta Italia.

ENIBO, LE ZAMPE DEL CANE SULL'ALMA MATER

L’origine dell'interessamento di Eni nella formazione universitaria è riconducibile al 1957, anno di fondazione della Scuola di Studi Superiori sugli Idrocarburi da parte di Enrico Mattei. Da allora, Eni ha rivolto sempre maggiore attenzione alla formazione specializzata in ambito Oil & Gas.

Oggi, la «realizzazione di programmi di formazione manageriale e professionale» è affidata alla controllata Eni Corporate University S.p.A., attiva dal 1998. ECU è presieduta dal 2014 da Claudio Granata, stretto collaboratore dell'AD Claudio Descalzi. Granata, come riporta Il Fatto Quotidiano, sarebbe coinvolto in «un falso complotto-depistaggio […] per condizionare l'inchiesta sul caso Eni-Nigeria» in cui lo stesso Descalzi è imputato per corruzione internazionale.

Nel 2018 la University di Eni ha erogato 838 mila ore di formazione e attivato 13 nuovi dottorati, da Cagliari a Pavia. Le strategie comunicative, stando agli allegati del Bilancio 2018, hanno puntato a “ripulire” l’immagine della società, trasmettendo «una visione positiva e ottimistica ai giovani», per «affermare la capacità di Eni di generare un futuro di innovazione» e « ribaltare alcuni falsi luoghi comuni».

Nel 2018 la University di Eni ha erogato 838 mila ore di formazione e attivato 13 nuovi dottorati, da Cagliari a Pavia. Le strategie comunicative, stando agli allegati del Bilancio 2018, hanno puntato a “ripulire” l’immagine della società, trasmettendo «una visione positiva e ottimistica ai giovani», per «affermare la capacità di Eni di generare un futuro di innovazione» e « ribaltare alcuni falsi luoghi comuni».

Come si legge nel Report di sostenibilità Eni 2018, la società ha siglato vari accordi quadro per la ricerca con diverse istituzioni, fra cui il Politecnico di Milano, quello di Torino e il CNR. La partnership con il PoliMi «risale al 2008 e ha implicato investimenti da parte di Eni [...] per circa 40 milioni di euro». Collaborazione duratura, rinnovata nel 2018 per altri 3 anni, con la promessa di Descalzi di un «budget di 23/25 milioni». Ma l'influenza del Cane a sei zampe sulla storica università milanese va oltre questi finanziamenti: dal 2015, infatti, Eni Corporate University possiede 12.000 azioni (pari al 2,82%) della Graduate School of Business del Politecnico: una vera e propria ingerenza diretta. La collaborazione ha portato all'attivazione di progetti in Ghana, Angola, Egitto, Congo e Nigeria. La strategia di Eni è quella di «favorire [...] lo sviluppo delle professionalità del settore energetico dei Paesi in cui opera» e l'Africa è sicuramente uno dei principali poli d'attrazione per le sue attività, tant'è che il il 34% della formazione di ECU è stata erogata nel continente africano. E proprio l'interesse commerciale è il criterio di assegnazione delle borse di studio di Eni Corporate University, riservate, come nel caso della Laurea Magistrale in Petroleum Engineering (PoliTo) a «studenti stranieri provenienti da paesi di interesse per il business».

È dunque abbastanza evidente come i paesi nei quali Eni concede sovvenzioni o attiva progetti siano anche quelli dove ha interesse a costruire una forte social license per continuare a perseguire i propri obiettivi di business.

Un altro caso significativo delle partnership siglate da Eni con gli atenei italiani è quella con l'Università di Bologna. La collaborazione risale agli anni ‘60: nel 1962, infatti, grazie all’accordo fra l’Alma Mater e la sezione Nucleare di Agip (di proprietà del gruppo Eni fin dal 1953) viene costruito il Laboratorio ingegneria nucleare di Montecuccolino. Come riporta Repubblica, nonostante i livelli di radioattività siano ad oggi bassissimi, «c’è ancora l’involucro del reattore nucleare» e «smaltirlo non sarà facile»: un’eredità pesante.

Nel giugno 2017 il Rettore Francesco Ubertini e Claudio Descalzi firmano un «accordo quadro triennale dal valore di 5 milioni di euro per ricerca [...] sui temi dell’energia e dell’ambiente». Questo accordo, commenta lo stesso AD, «permetterà ad Eni di avere accesso ad uno straordinario bacino di competenze in un territorio per noi molto importante». La presenza in UniBo è strategica per la compagnia petrolifera nazionale, che ha stanziato, per il solo primo anno di cooperazione, 1,4 milioni di euro. Una cifra rilevante, considerato il fatto che nel 2017 l’Alma Mater dichiarava contributi da privati per circa 8,5 milioni di euro. Stando al Bilancio sociale 2018, grazie ai finanziamenti Eni sono stati attivati sette workshop e undici contratti di ricerca «ai quali partecipano circa 15 gruppi afferenti ad oltre 10 dipartimenti» oltre alla «partecipazione congiunta a bandi competitivi e partenariati pubblico privati».

Nella scelta delle tematiche sembra essere riservata grande attenzione alla sostenibilità e alla riconversione energetica. Anche se Eni, nel Piano d’azione 2020-2023, riserva appena l’8% del budget per energia da fonti rinnovabili: appena 2,6 miliardi su 32 totali.

Di recente, i rapporti tra Eni e l’Università di Bologna sono stati ulteriormente rafforzati da un finanziamento che il colosso energetico ha erogato per due Dottorati di Ricerca in convenzione con l’impresa nell’anno accademico 2019-2020. Nello specifico Eni finanzia due borse di studio in Chimica per la ricerca nel campo della «Ossidazione e stabilizzazione di grassi di origine Bio» e della «Sintesi di bio-eteri, utilizzabili come biofuel avanzati».

Questo ha permesso, per regolamento, a due dirigenti dell’impresa di sedere nella Commissione esaminatrice dei candidati, in qualità di «rappresentanti di ente finanziatore». In sostanza, nonostante si tratti di un bando pubblico, viene consentito a un’azienda privata al 70% - e come tale rispondente a logiche di mercato - di esprimere giudizi su questioni strettamente didattiche. Il tutto a netto discapito della libertà di ricerca.

Per Eni, inoltre, in quanto impresa che finanzia l’Università bolognese «sono integralmente deducibili dal reddito [...] i fondi trasferiti per il finanziamento della ricerca, a titolo di contributo e liberalità». La bilancia dei vantaggi della (invadente) presenza di Eni negli atenei pubblici sembra pendere fortemente dalla parte del Cane a sei zampe.

A riprova di ciò, come riportato dalla stessa Manager rapporti con le università per Eni Corporate University, Chiara Sarnataro, la strategia aziendale consta dell'attivazione di «dottorati su temi di stretto interesse per l’azienda» perché «alcuni profili ricercati da Eni [...] prevedono che il candidato abbia seguito un percorso di Dottorato di Ricerca su progetti similari a quelli previsti dal ruolo di inserimento».

Si tratta, insomma, di una potente e redditizia azione di lobbying volta a «orientare le attività dei gruppi di ricerca accademici verso campi di interesse aziendali». Sempre presso UniBo, nell’anno accademico 2009/2010 era stato avviato un ambizioso progetto di Master in Oil & Gas che prevedeva per i neolaureati in ingegneria nove mesi di didattica più tre mesi di esperienza di lavoro in Eni per poi venir (eventualmente) assunti a tempo indeterminato.

Non secondario il fatto che il Master fosse a pagamento (5.000 euro), con la promessa che i soldi sarebbero stati restituiti qualora l’impresa avesse deciso di assumere effettivamente i ragazzi e le ragazze usciti dal Master. Di fatto Eni faceva pagare la sua formazione solo a chi non l'avrebbe utilizzata nella sua impresa.

838 MILA ORE DI FORMAZIONE EROGATI E 13 DOTTORATI ATTIVATI DA ENI CORPORATE UNIVERSITY NEL 2018

1,4 MILIONI DI EURO NEL PRIMO ANNO DI COOPERAZIONE TRA ENI E UNIBO, SU UN TOTALE DI 8,5 MILIONI DI EURO DI CONTRIBUTI DA PRIVATE

5000 EURO LA CIFRA DA PAGARE PER IL MASTER IN OIL & GAS ATTIVATO NELL’ANNO ACCADEMICO 2009/2010

Più che lecito in un ambito in cui la conoscenza tecnologica è sinonimo di potere economico, se non fosse che il Master è parte dell’offerta didattica di un’università pubblica: la possibilità di proseguire il proprio percorso formativo sembra così essere un privilegio riservato a chi può permettersi la quota d’iscrizione o, alternativamente, a chi inizierà una carriera in Eni.

Il rischio di questo modello è quello di far perdere al percorso di ricerca la sua completezza accademica in nome di una elevata professionalizzazione che rischia di rendere i laureati obsoleti dopo pochi anni. «Quando la formazione è ritagliata su esigenze specifiche il rischio è di creare eccessiva dipendenza» sottolinea Giuseppe De Nicolao, professore di Automatica a Pavia: un laureato deve avere «la possibilità di “riciclarsi” in un settore che a quell’azienda non interessa più ma alla collettività sì».

L’agenda di Eni in scuole, università e mondo della ricerca è aggressiva, e lo dimostra la réclame sempre più martellante delle attività che propone.

Il colosso energetico ha un accesso praticamente illimitato al “capitale umano” costituito dai giovani studenti e studiosi di atenei e istituti di ricerca attraverso le attività che finanzia.

E, pur insegnando direttamente o indirettamente ai ragazzi la sua particolarissima visione di “tutela dell’ambiente”, arriva di fatto a costruire una serie di percorsi di istruzione che coprono in certi casi tutto l’arco di studio di un giovane italiano. E a formare competenze utili, nel mondo del lavoro, solo a un colosso energetico. L’indipendenza del diritto allo studio e la libertà della ricerca, difese con le unghie e con i denti per decenni, sono così violate dalle ingerenze prepotenti di una multinazionale che estrae e commercia idrocarburi in ogni angolo del globo. E, quel che è più grave, le si violano su temi fondanti per il futuro del Paese e del pianeta. La social license di Eni è quasi irrimediabilmente compromessa in tutto il mondo. In Italia, malgrado le numerose cicatrici lasciati dall'operato della multinazionale sul territorio, è tanto solida da costituire la guida sul tema ambientale.

articolo a cura della redazione di Scomodo

illustrazioni di Luogo Comune