Di recente, i rapporti tra Eni e l’Università di Bologna sono stati ulteriormente rafforzati da un finanziamento che il colosso energetico ha erogato per due Dottorati di Ricerca in convenzione con l’impresa nell’anno accademico 2019-2020. Nello specifico Eni finanzia due borse di studio in Chimica per la ricerca nel campo della «Ossidazione e stabilizzazione di grassi di origine Bio» e della «Sintesi di bio-eteri, utilizzabili come biofuel avanzati».
Questo ha permesso, per regolamento, a due dirigenti dell’impresa di sedere nella Commissione esaminatrice dei candidati, in qualità di «rappresentanti di ente finanziatore». In sostanza, nonostante si tratti di un bando pubblico, viene consentito a un’azienda privata al 70% - e come tale rispondente a logiche di mercato - di esprimere giudizi su questioni strettamente didattiche. Il tutto a netto discapito della libertà di ricerca.
Per Eni, inoltre, in quanto impresa che finanzia l’Università bolognese «sono integralmente deducibili dal reddito [...] i fondi trasferiti per il finanziamento della ricerca, a titolo di contributo e liberalità». La bilancia dei vantaggi della (invadente) presenza di Eni negli atenei pubblici sembra pendere fortemente dalla parte del Cane a sei zampe.