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La deterrenza nucleare potrebbe avere i giorni contati
Il 22 gennaio 2021 entrerà in vigore il Trattato per la proibizione delle armi nucleari, l'Italia, per il momento, non è tra i firmatari
Alcuni argomenti emergono ciclicamente nel dibattito pubblico italiano, tra questi uno che suscita solitamente scarso interesse è quello della questione nucleare. Mentre il referendum del 1987 sugli usi civili dell’energia nucleare aveva scatenato dibattiti incendiari, il tema del disarmo e delle tecnologie nucleari a scopi bellici viene solitamente ignorato. D’altronde il disinteresse sembrerebbe ovvio considerando il fatto che l’Italia è un Paese non nucleare. Appare dunque inusuale l’acceso dibattito generato dal tema in diversi altri stati non nucleari europei, quali Belgio e Germania. Le ragioni del dibattito sono da individuare nella definizione stessa dello status di ‘non nucleare’.
Le testate nucleari in Europa
Se infatti l’Italia non possiede armi atomiche proprie, ospita al momento 40 testate statunitensi tra la base militare di Ghedi (BS) e la base USAF di Aviano (PN), dolceamara eredità della Guerra Fredda. A rendere il silenzio sulla questione ancora più assordante sono le stime dell’osservatorio MIL€X (Osservatorio sulle Spese Militari Italiane, ndr) che valutava nel 2018 il costo di mantenimento di tali ordigni attorno ai 100 milioni. I costi sono dovuti principalmente alla manutenzione e alla supervisione delle testate e delle strutture preposte a ospitarle, nonché all’addestramento necessario per il loro maneggiamento.
Non dobbiamo inoltre dimenticare che altri quattro stati in Europa ospitano bombe atomiche statunitensi nel quadro della politica di condivisione nucleare della NATO; a condividere questo fardello geostrategico con l’Italia sono Paesi Bassi, Belgio e Germania, ospitanti 20 testate ciascuno, e la Turchia che ne custodisce addirittura 50. Gli accordi di condivisione nucleare in seno alla NATO sono stati oggetto di critiche ricorrenti da parte di Paesi terzi con l’accusa che il mantenimento di testate statunitensi sul proprio territorio nazionale fosse in aperta violazione del trattato sulla non proliferazione (TNP), o per lo meno in opposizione allo spirito e allo scopo del trattato stesso.
In tema di bombe atomiche “europee” è inevitabile citare inoltre le circa duecento testate ancora in possesso del Regno Unito e le circa trecento testate possedute dalla Francia. Infatti, sebbene la presenza di armi atomiche su suolo europeo sia notevolmente diminuita dalla fine della Guerra Fredda, il persistente schieramento di tali ordigni rimane quantomeno preoccupante. A contribuire ad aumentare il livello di rischio è il programma di rinnovamento delle testate statunitensi schierate in Europa.
Le bombe atomiche statunitensi attualmente presenti in Europa, modello B-61, sono in corso di sostituzione con una versione tecnologicamente più avanzata identificata dal codice B61-12. Il nuovo modello sarà compatibile con diversi aerei militari, dagli F16 sino ai famigerati F35, e sarà predisposto all’utilizzo per attacchi mirati “chirurgici”; le B61-12 sono, a tutti gli effetti, armi atomiche di tipo tattico. Airforce-technology.com afferma le bombe siano state migliorate così da poterne permettere la guida a distanza; inoltre, il nuovo modello sembra in grado di ospitare testate nucleari di varia entità a seconda della necessità di missione.
Alla luce dell’escalation di tensioni causata dal burrascoso approccio dell’amministrazione Trump alla politica estera, è forse utile fare un piccolo riassunto degli sviluppi più preoccupanti nella diffusione del nucleare a fini bellici nel mondo. Prima di tutto, non si può mai sottolineare sufficientemente il potenziale destabilizzante del rinnovato programma nucleare iraniano e della crescente minaccia posta dalla Corea del Nord. Sebbene entrambi facciano un uso strategico della loro politica nucleare nel tentativo di estorcere condizioni più favorevoli agli Stati Uniti, rimane preoccupante la capacità bellica che tale tecnologia garantisce in due aree dove le tensioni sono già elevate.
Inoltre, la corsa al riarmo nucleare statunitense si è riaccesa negli ultimi anni data la crescente assertività delle Repubblica Popolare Cinese nei confronti degli alleati statunitensi, specialmente nel Sud-est Asiatico. A contribuire alle tensioni è stata la decisione dell’amministrazione Trump di ritirarsi dal trattato che proibiva a Russia e Stati Uniti il dispiegamento e lo sviluppo di missili a gittata intermedia (INF Treaty). Il ritiro, avvenuto nel 2019, è erede spirituale del ritiro di Bush Junior dal trattato che imponeva limitazioni simili per i missili balistici (ABM Treaty). In una continua escalation di tensioni, la scadenza imminente dell’ultimo, fondamentale trattato per la riduzione degli armamenti atomici tra Russia e USA, il New START Treaty, ha costretto i negoziatori a permettere, all’ultimo minuto, un’estensione del trattato della durata di un anno, così da garantirne la rinegoziazione.
Notizia confortante in tempi così bui per il disarmo nucleare è quella dell’entrata in vigore del Trattato per la messa al bando delle armi nucleari (TPNW, dal nome in inglese). Si tratta di un accordo concluso a New York nel 2017 che impone agli stati contraenti di astenersi dal produrre, ricevere, trasportare o permettere lo stazionamento di qualsiasi arma nucleare sul proprio territorio. Così, essendo passati novanta giorni da quando il governo dell’Honduras ha depositato la cinquantesima ratifica, il trattato è pienamente vincolante dal 22 gennaio.
La messa al bando dell’arsenale nucleare
La messa a punto di questo nuovo strumento giuridico per la non proliferazione della armi nucleari ha suscitato reazioni contrapposte. Chi, da un lato, ha come unica prospettiva quella della realpolitik ha additato questo trattato come un inutile pezzo di carta, evidenziando come nessuna potenza medio-grande abbia aderito e che a farne parte siano prevalentemente stati che già appartengono a Zone franche da armi nucleari (NWFZ, dal nome inglese). Jens Stoltenberg, segretario generale della NATO, si è spinto oltre giudicandolo dannoso in considerazione dell’attuale contesto di sicurezza internazionale. L’argomento utilizzato a più riprese dai governi dei Paesi appartenenti all’Alleanza Atlantica è che un regime giuridico internazionale volto ad impedire la diffusione delle armi nucleari già esiste ed è imperniato sul Trattato di non proliferazione (TNP). Una prima grande differenza tra il TNP ed il TPNW sta nel fatto che il primo non sancisce un divieto assoluto dell’arma atomica, ma ne permette il possesso soltanto a quegli stati che già l’hanno acquisita. Il TNP ha così assunto una funzione cristallizzatrice, attribuendo lo status di ‘potenza nucleare’ agli stessi cinque stati che risiedono permanentemente nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Inoltre, mentre il vuoto normativo del TNP non chiarisce fino in fondo se sia lecito ospitare sul proprio territorio nazionale testate nucleari di un altro stato, il TPNW sancisce un divieto assoluto. Questo spiega perché Italia, Belgio, Germania, Paesi Bassi e Turchia, che ospitano armi nucleari statunitensi nel quadro degli accordi NATO di condivisione nucleare, non abbiano i requisiti minimi per prendere in considerazione una loro adesione al Trattato di messa al bando.
Austria, Santa Sede, Irlanda, Malta e San Marino sono invece gli stati europei che hanno deciso di fare un passo in avanti ratificando il TPNW e dichiarando così il proprio territorio libero da armi nucleari. Da notare che Austria, Irlanda, San Marino e Malta, essendo quattro stati risaputamente neutrali e quindi privi di vincoli di appartenenza politico-militare, si trovano in una posizione più agevole per assumere un impegno di questo tipo. Non da ultimo vale la pena richiamare la posizione espressa a più riprese dalla diplomazia vaticana, che si fa portatrice del messaggio del Pontefice riguardo alla questione del disarmo. In una sua visita al Memoriale della pace di Fukushima nel novembre 2019, Papa Francesco definì l’uso dell’energia atomica per scopi bellici “immorale”, così come “immorale” fu definito il possesso di armi nucleari. Nonostante la limitata estensione territoriale, il valore della proiezione internazionale della Santa Sede in materia di disarmo sta nella sua capacità di esercitare una rilevante influenza morale, fungendo da cassa di risonanza per le richieste dell’associazionismo pacifista cattolico.
Infine, benché le relazioni tra gli stati in materia di controllo e riduzione degli armamenti siano caratterizzate da crescenti tensioni e da costanti politicizzazioni, non bisogna sottovalutare la capacità dei nuovi strumenti giuridici internazionali di riformulare i contorni entro cui si sviluppa il discorso collettivo sul disarmo. Proprio la pressione sociale sugli altri membri della comunità internazionale è, secondo quanto afferma il ricercatore John Borrie nel suo ‘Unacceptable Harm’, ciò che ha permesso al Processo di Oslo di giungere all’adozione della Convenzione sul bando delle munizioni a grappolo del 2008. Nello stesso spirito sembra legittimo auspicare che la presa di posizione dei sostenitori del TPNW possa aspirare a scardinare, sulla base di un superiore imperativo umanitario, l’approccio graduale propagandato dalle potenze nucleari e dall’Occidente.
Articolo di Francesco Pezzarossi e Matteo Cortellari