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La fragile realtà del Sahel: quando anche una goccia può cambiare tutto
L’emergenza climatica esiste e ha riscontri sociali, politici, economici e sanitari.
Nel 2018 le Nazioni Unite hanno classificato il Sahel come “l’area più vulnerabile al mondo agli effetti dei cambiamenti climatici”. Parliamo di una zona eco climatica, dal clima semi arido, di transizione tra Sahara e Savana Sudaniana, che attraversa l’Africa dall’Oceano Atlantico fino al Mar Rosso coinvolgendo più nazioni africane.
Negli ultimi anni, nella zona del Sahel, le variazioni delle temperature della superficie del mare, la degradazione della vegetazione e delle terre, e i cambiamenti climatici causati da un impatto antropico, hanno accentuato la presenza di fenomeni come desertificazione, siccità e alluvioni. Secondo la FAO nel 2020 24 milioni di saheliani, metà dei quali bambini, hanno bisogno di assistenza e protezione salvavita. Più di 6.9 milioni di persone sono alle prese con le terribili conseguenze dello sfollamento forzato a causa della violenza diffusa e del disastro naturale. Oltre 4.5 milioni sono sfollati interni e 2.5 milioni di rimpatriati stanno lottando con fatica nel tentativo di ricostruirsi una propria vita. Questa crisi umanitaria è conseguenza dell’innalzamento delle temperature che hanno influito localmente sulla lunghezza e la tempistica della stagione delle piogge (da luglio a ottobre), causando un imprevedibilità delle precipitazioni. Le piccole realtà agricole rurali trovano sempre più difficoltà nella pianificazione della semina e del raccolto basato sui tradizionali cicli stagionali, il che ha portato a un declino nel rendimento della produzione agricola. Anche l’economia, prevalentemente basata su un’agricoltura pluviale di sussistenza e l’allevamento di mandrie in transumanza, ne è rimasta fortemente influenzata e a pagarne le spese sono state le popolazioni che vivono in questa fascia di territorio, già resa ecologicamente fragile dalle siccità degli anni ‘70-‘80. Stando alle dichiarazioni della FAO, il 70% della popolazione del Sahel dipendente dall’agricoltura come fonte di reddito e la minaccia dell’insicurezza alimentare per queste comunità è sempre più presente. Ogni anno in Africa più di 91 milioni di persone si ammalano e 137 000 muoiono per malattie di origine alimentare. Secondo il report del 2019, circa 33 dei 300 milioni di abitanti del Sahel vivono in carenza di cibo di qualità. È chiaro quanto la sicurezza alimentare sia un grosso problema nel continente africano, ma nel 2020 è prevista nell’area saheliana un’impennata senza precedenti, con più di 12 milioni di persone vittime di una grave mancanza di cibo. Questa situazione purtroppo è resa sempre meno sostenibile dall’aggravarsi di più crisi umanitarie che colpiscono su diversi fronti: l’inasprimento di conflitti, le disuguaglianze e la violenza di genere all’interno delle comunità, oltre alle conseguenze dirette e indirette della pandemia di COVID-19.
Agricoltori vs. Allevatori
I cambiamenti climatici hanno alterato la disponibilità di cibo e acqua, ma il problema ricade anche sulla gestione dell’accesso alle risorse che ha inasprito situazioni geopolitiche già esistenti. Per contrastare le problematiche dovute alla scarsità di risorse naturali come acqua e terreni fertili, nella parte centrale del Sahel si è attuata una trasformazione dei metodi di produzione attraverso progetti di sviluppo sostenuti dai governi, che hanno favorito i contadini sedentari alle spese dei nomadi mandriani. Secondo il Global Risk Report del 2019, la sopravvivenza di 50 milioni di persone nell’area dipende dall’allevamento di bestiame. Dal 2002 al 2016, però, le terre dedicate all’agricoltura sono aumentate del 26% (991.554 ettari nel 2016). Lo sfruttamento dei campi una volta riservati al bestiame da parte dei contadini, soprattutto in prossimità di fonti idriche, ha limitato l’accesso degli allevatori ai pascoli e alle sorgenti d’acqua. Questa competizione riguardante le risorse naturali, difficilmente controllata dalle autorità statali, non ha potuto che accentuare l’aumento di violenza e conflitti all’interno delle aree rurali. In una situazione di crescente povertà e forte insicurezza alimentare, i giovani delle tribù di mandriani nomadi hanno visto nel terrorismo un’alternativa alla fame e alla mancanza di opportunità per sopravvivere. I gruppi jihadisti hanno la fama di contrastare le decisioni dello stato e aiutare coloro che li supportano ad acquisire il controllo sui terreni, motivazione in più che spinge gli allevatori, privati dei pascoli per i propri animali, ad unirsi a loro. La violenza dei miliziani e i conflitti tra agricoltori e allevatori per l’utilizzo dei territori ancora non colpiti dalla desertificazione, minano la sicurezza nella regione e alimentano i conflitti etnici. Vi è quindi un legame diretto, dimostrato da più esperti, tra l’aumento di fenomeni di violenza nell’area e i cambiamenti climatici.
Donne in prima linea…
Il problema della scarsità d’acqua e la conseguente insicurezza alimentare hanno tante ripercussioni, anche a livello sociale. A essere maggiormente colpite da questi cambiamenti sono ancora una volta donne e bambine. Nelle realtà rurali agricole la donna ha un ruolo più forte e rilevante dell’uomo, ma con meno possibilità e diritti garantiti e una maggiore difficoltà nell’accesso alle risorse produttive. In agricoltura la forza lavoro femminile supera nettamente quella maschile, ma è prevalentemente coinvolta in un’agricoltura di sussistenza, non remunerativa, che non permette alle donne di sviluppare una propria indipendenza economica. Le comunità agricole si trovano sempre più in difficoltà a causa dei cambiamenti climatici, con piogge imprevedibili e forti precipitazioni con conseguenti inondazioni. In Senegal il fenomeno dell’innalzamento del livello del mare ha portato un avanzamento delle acque salate nei delta dei fiumi, invadendo e causando la salinizzazione dei terreni utilizzati per l’agricoltura, sempre meno fertili, e rendendo l’accesso all’acqua potabile sempre più difficile. Lo sviluppo di nuove formazioni vegetali di mangrovie lungo la costa può essere una soluzione all’avanzamento delle acque dal mare, ristabilendo anche l’ecosistema adatto per la presenza di pesci, ma le terre che fino a qualche anno fa permettevano alle comunità locali di vivere del proprio raccolto di riso, non saranno più coltivabili nel futuro. In queste comunità sono le donne a occuparsi con molte difficoltà di raccogliere il cibo, gestire le faccende di casa, coltivare il riso. Nonostante il loro ruolo rilevante, però, le donne sono difficilmente riconosciute e valorizzate, e finiscono per essere spesso vittime di discriminazioni di genere.
…all’ultimo posto.
Nelle comunità rurali del Sahel sono le donne che hanno il dovere di andare a prendere l’acqua. Ciò significa che se l’accesso alle fonti idriche è scarso, le donne devono compiere tragitti sempre più lunghi per raggiungere il pozzo più vicino, con più di 10 km all’andata e altrettanti per tornare a casa. Questo le espone a un maggiore rischio di aggressioni e violenze sessuali lungo il percorso su strade isolate, ma non solo. Può capitare che il lavoro sia così tanto da chiedere aiuto alle figlie, che le sostengono invece di andare a scuola, gravando fortemente sull’educazione delle ragazze. Inoltre, come ci ha raccontato Paola Maceroni, Responsabile dei progetti di adozione a distanza per ActionAid Italia, organizzazione internazionale che da anni lavora nel territorio per combattere la povertà e difendere i diritti umani: “secondo alcune tradizioni culturali, in famiglia le donne mangiano per ultime, dopo gli uomini” e questo aumenta ulteriormente il loro rischio di malnutrizione. “Come se non bastasse, molte volte dare in sposa una figlia femmina vuol dire liberarsi di una bocca in più da sfamare, soprattutto in situazioni di carestia, costringendo così le ragazze a matrimoni precoci con tutti i rischi che ne derivano.” Le donne giocano un ruolo significativo in ogni fase del sistema alimentare, dalla produzione alla distribuzione alla nutrizione, e contribuiscono a sviluppare la resilienza e l’adattabilità agli imprevedibili effetti dei cambiamenti climatici. Il loro operato è inoltre particolarmente rilevante per quanto riguarda l’eradicazione della fame e della malnutrizione, ma è evidente la necessità di una maggiore rappresentanza politica e partecipazione ai dialoghi istituzionali, ai fini di un’emancipazione della figura femminile. Questo consentirebbe infatti una maggiore tutela delle donne colpite dal calo dei redditi, dall’aumento delle tensioni all’interno delle famiglie e dal rischio di violenza di genere.
La pandemia: un problema in più
Oltre ai conflitti, alla lotta contro HIV/AIDS e malaria, all’invasione di locuste, all’instabilità politica, all’incertezza alimentare, si aggiunge anche l’emergenza COVID-19. Questa è la prima volta in cui tutti i paesi della regione sono interessati dall’emergenza sanitaria. Il fatto che la pandemia abbia colpito prima i paesi europei più sviluppati ha permesso alle organizzazioni che lavorano nel continente africano di pianificare un modo per affrontare l’emergenza. Molti paesi (come Mali, Nigeria e Senegal precedentemente colpiti dall’epidemia di ebola) sono abituati ad affrontare delle emergenze di questo tipo, ma nel Sahel, dove è difficile rispettare il distanziamento sociale a causa del sovraffollamento dei centri urbani (dove si concentra metà della popolazione) e mantenere un’adeguata igiene per la mancanza di risorse idriche, i casi di contagio stanno aumentando in maniera esponenziale. Secondo Paola Maceroni “lo sforzo più grande è stato quello di comunicare alle persone l’esistenza del rischio d’infezione e quali regole adottare per evitare il contagio”. Infatti le risorse messe in campo per limitare la diffusione del virus hanno avuto soprattutto lo scopo di sensibilizzare le persone, grazie al contributo di radio locali, l’uso di volantini, e la traduzione in lingua locale delle direttive emanate dai governi. All’interno di realtà dove è presente un’elevata povertà, le manovre di lockdown decise dai governi influiscono negativamente su tutta la popolazione, in particolare sui bambini. La chiusura delle scuole presenta un altro ostacolo all’apprendimento, ma non solo. I bambini, ma soprattutto le bambine, sono stati privati di un ambiente protetto dove passare la giornata che, in alcuni contesti, gli garantisce anche la certezza di un pasto sicuro al giorno. Le conseguenze sono devastanti per la loro salute, educazione e protezione. Nel Sahel si contano a oggi (dati FAO) 9.7 milioni di bambini a rischio di un’acuta malnutrizione (3 milioni in forma grave). Stando alla World Bank: la pandemia porterà 60 milioni di persone a vivere in estrema povertà e la minaccia è particolarmente rilevante in Africa. Gli effetti diretti del COVID-19 sull’agricoltura e sulle economie rurali non preoccupano quanto le restrizioni relative agli spostamenti e alle aggregazioni, che essi comportano: la chiusura dei mercati rurali, la riduzione dei trasporti pubblici, l’interruzione della commercializzazione delle colture, la riduzione della domanda di eccedenze agricole e l’aumento dei prezzi alimentari nelle aree urbane. In molte società africane l’economia rurale si basa sullo svolgimento di queste attività commerciali che si svolgono prevalentemente per strada e sostengono la vita delle comunità locali. In diverse città il lockdown, che impedisce l’accesso al mercato e alle infrastrutture e quindi l’attuazione di questi piccoli commerci, è stato rilasciato, poiché il rischio di povertà cui andavano incontro le comunità influisce maggiormente del rischio di contagio. Inoltre si teme che le restrizioni alla circolazione possano inasprire (seppur modestamente) le minacce già esistenti, come siccità, locuste e conflitti, portando a gravi perdite di colture e bestiame, minacciando le scorte di cibo, creando un aumento della povertà rurale e dell’incertezza alimentare.
Agroecologia e resilienza all’emergenza ambientale
Alcuni esperti propongono di rivedere le modalità di intervento in queste aree con progetti di sviluppo che non solo generino benessere, ma modifichino profondamente le condizioni locali di accesso alle risorse, in un ambiente di per sé già molto competitivo. Nel tentativo di mitigare l’impatto dei cambiamenti climatici, sono state attuate più iniziative come progetti di riforestazione, sostegni economici agli agricoltori, formazione di apicoltori, campagne di sensibilizzazione sul cambiamento climatico e progetti di agroecologia per l’apprendimento di nuove tecniche di coltivazione. In particolare l’agroecologia, come osservato da Roberto Sensi, Programme Expert dell’unità Global Inequality & Migration di ActionAid, “coniuga metodi di produzione sostenibili, in grado di adattarsi al contesto climatico e ambientale in mutamento, con una visione di giustizia sociale”. Essa tiene in considerazione le dinamiche sociali, biologiche e agricole e le integra con le conoscenze e le culture tradizionali, indigene e degli agricoltori. Le sue tecniche sono adottate in tutto il mondo e si sviluppano sulla base delle conoscenze degli agricoltori e attraverso il coinvolgimento partecipativo della comunità. “È importante insegnare alle persone come gestire l’emergenza”, ci spiega Roberto “in modo da renderli consapevoli delle cause di ciò che sta avvenendo ed essere pronti nel caso di grandi periodi di siccità, sapendo muoversi per tutelare i propri raccolti attraverso nuovi metodi agricoli e organizzandosi per trovare e attuare una soluzione, riscoprendo, in alcuni casi, sementi locali che reggono meglio le condizioni ambientali”. Istituire comitati che si occupano di mantenere e gestire le risorse d’acqua, poi, aiuta a coinvolgere le comunità nella costruzione di pozzi, cisterne per raccogliere l’acqua piovana, piccoli sistemi d’irrigazione o canali per deviare l’acqua dai fiumi e garantirne l’accesso alle popolazioni rurali. Per fronteggiare la crisi nel Sahel è necessario sostenere lo sviluppo della resilienza dei sistemi agricoli. La siccità e le inondazioni creano un grosso problema nella viabilità dell’agricoltura, ma con una nuova strategia di accesso al mercato si possono sviluppare filiere più facilmente accessibili anche dal punto di vista di genere, che permettano di collegare una produzione sostenibile socialmente responsabile a un mercato particolare, adatto anche alle caratteristiche socio-economiche della produzione di riferimento. Come abbiamo capito, per molte persone l’agricoltura è sia una fonte di sostentamento sia di fabbisogno alimentare. L’agroecologia e la resilienza delle comunità hanno un enorme potenziale per rivitalizzare il paesaggio rurale, garantire una crescita inclusiva e determinare un cambiamento positivo tra i piccoli produttori colpiti dalla crisi socio-climatica. Garantendo il corretto funzionamento delle filiere attraverso adeguati mezzi di sostentamento si potrebbe assicurare l’accesso per le popolazioni locali a cibi sani, freschi, variegati e culturalmente appropriati durante tutto l’anno.
Illustrazioni a cura di Gabriel Vigorito
Articolo di Elena Lovato