La reazione del settore bancario al Covid 2019

Crisi e opportunità del sistema bancario italiano

08/10/2020

Agli albori della crisi

L’esplosione del Coronavirus ha trovato un mondo fortemente segnato dalle differenze di carattere economico e sociale. Le anomalie finanziarie, le speculazioni, gli strumenti instabili e caratterizzati da un’elevata volatilità, il rating poco al di sopra della spazzatura incentivato da numerosi istituti bancari e tanti altri fattori, hanno influito sulla società globale, causando spesso una frattura tra economia reale e finanziaria. Le società europee ottengono più di due terzi del loro credito sotto forma di prestiti bancari, dato estremamente rilevante se confrontato con quello delle imprese americane che ne ottengono meno di un terzo. Dunque, una crisi del sistema bancario può velocemente andare ad intaccare il motore produttivo del Paese nella sua totalità.

È doveroso precisare che le conseguenze più gravi di questa crisi inaudita interessano l’economia reale: la contrazione dell’attività economica, dovuta all’arresto forzato della domanda di mercato, apre a questioni inedite.

Oggi la soluzione efficace può essere una sola: mettere in campo misure economiche comuni, omogenee, puntuali, che siano in grado di risollevare le economie dei paesi fornendo credito alle imprese in un’ottica di crescita e sviluppo sostenibile sul medio e lungo termine.

La crisi attuale prende piede in un contesto in cui la finanza è fortemente indebitata, in cui il debito globale è ai massimi storici, in cui la sua variazione non è allineata alla crescita del prodotto interno lordo globale. Alcuni economisti prevedono che l’economia europea subirà una crisi di oltre il 10% nella prima metà di quest’anno a causa della pandemia, minacciando una nuova esplosione di crediti in sofferenza, un deterioramento delle attività e il crollo dei prezzi delle azioni.

In Italia il settore bancario non si è mai totalmente ripreso dalla crisi del 2008. Il credito concesso alle imprese tra il 2001 e il 2008 è cresciuto del 70%, per poi contrarsi negli anni successivi di oltre il 30%.Tuttavia la pandemia è arrivata  in un momento in cui l’ansia accumulata nei confronti delle banche italiane stava calando, con una ripresa di fiducia nel credito. Le sofferenze totali nel sistema (insolvenze) sono infatti diminuite da 350 miliardi di euro nel 2015 a meno di 200 miliardi di euro alla fine del 2018 (i dati più recenti), secondo i dati di Banca d’Italia. Il direttore generale di Banca Popolare Etica, agli inizi di marzo, svolge un webinar incentrato sulla reazione delle banche dinanzi all’emergenza. La riflessione iniziale è fondamentale per comprendere il contesto nel quale si trovano ad operare gli istituti bancari durante la crisi.

Le banche in Italia oggi sono molte meno rispetto al passato: se nel 1999 erano 1000 oggi sono formalmente 500, ma di queste trecento, per effetto delle riforme sulle banche di credito operativo, rispondono a due grandi gruppi bancari. In meno di vent’anni si è passati da 1000 a 200 di autonomi nel mercato. In questo contesto di concentrazione del sistema, è cambiata radicalmente l’ossatura del sistema bancario, con un decremento del numero degli sportelli nonché un mutamento della concezione del presidio fisico come strumento centrale nel modello imprenditoriale. Ciò rischia di andare a discapito della relazione banca-cliente, escludendo alcune fasce di popolazione dall’accesso ai servizi e rivelando anomalie sia dal punto di vista dell’efficienza che da quello dell’equità.

 

Misure attuate dal governo per l’economia

Le misure messe in campo dal governo sono maturate in un contesto in cui l’intera economia della Zona Euro si trova in pesanti difficoltà, consentendo quindi di ricorrere alle norme, di natura sia interna che comunitaria, degli aiuti di Stato per sostenere l’economia.

Poco meno di un mese dopo il “Cura Italia” si è giunti ad un nuovo decreto, denominato “Decreto Liquidità”. L’associazione bancaria italiana ABI recepisce la misura e fornisce agli associati istantanee comunicazioni e segnalazioni in continuo aggiornamento, ribadendo l’importanza di introdurre ponderose misure a sostegno della liquidità delle imprese danneggiate dall’emergenza, in un’ottica di rafforzamento della capacità di resilienza del settore produttivo. Tuttavia, come è facilmente immaginabile, le coperture finanziarie per queste massicce operazioni ancora non ci sono. Quindi per il momento i 200 miliardi previsti all’art 1 del decreto liquidità sono un impegno finanziario e non uno stanziamento effettivo di risorse.

In generale, le misure si possono classificare in misure a sostegno delle famiglie indebitate e in interventi a sostegno della liquidità delle imprese.

Più complessi, e in alcuni casi controversi, sono proprio questi ultimi. Innanzitutto è prevista una moratoria straordinaria sui crediti attivi delle PMI, nonché delle microimprese e dei lavoratori autonomi, consistente in un congelamento delle rate dei mutui e dei canoni di leasing.

Per quanto riguarda invece l’accesso al credito, il sostegno si traduce in un credito, non superiore al 25% del fatturato del 2019, coperto da un fondo di garanzia statale. La garanzia per le medie e grandi imprese è fornita attraverso SACE e si attesta attorno al 70-90%, in base alle dimensioni dell’impresa. Nel particolare, per quanto riguarda le attività economiche di più ridotte dimensioni, in un’ottica di tempestività nel fornire il credito, è stato attivato il portale del fondo di garanzia PMI, per l’inserimento da parte delle banche delle richieste di garanzia del 100% sui finanziamenti bancari fino ai 25.000 euro.

Le suddette misure si rivolgono alle imprese che non si ritrovano con esposizioni deteriorate nel momento di entrata in vigore del decreto, e che dimostrino temporanee carenze di liquidità.

 

Luci e ombre nell’erogazione dei crediti 

Concedere credito, con garanzia dello Stato, all’interno di un quadro in cui il debito cresce costantemente è un rischio.

Considerando che non vi è ancora una visione chiara della fase post crisi e auspicando la necessità della nascita di una coscienza sociale in senso ampio, il rischio si può manifestare nel concedere crediti ad asset potenzialmente già morti, bruciando miliardi e trasformandoli in debito che graverà sulla nostra economia per i prossimi decenni.

Per quanto riguarda invece la moratoria, la possibilità che serva prorogare le scadenze di congelamento delle rate è palese: ciò però porterebbe ad un aggravarsi della salute del sistema bancario che si troverebbe in poco tempo a dover fronteggiare un numero potenzialmente molto elevato di crediti deteriorati.

Infatti, come si può ricavare dall’intervento di Banca Italia, in sede di commissione parlamentare di inchiesta sul sistema bancario, lo shock macroeconomico generato dalla pandemia da potrebbe generare un forte aumento del tasso di deterioramento dei prestiti. Dall’altra parte il danno può essere fatto a quelle imprese che non riescono ad accedere ai crediti per la loro situazione definita di sofferenza.

La definizione di credito deteriorato è piuttosto complessa ed è ricavata da una lettura combinata della disciplina comunitaria, degli orientamenti tecnici dell’Autorità bancaria europea e delle relative circolari di Banca d’Italia. I crediti deteriorati consistono in esposizioni verso soggetti che non sono in grado di adempiere in tutto o in parte alle proprie obbligazioni contrattuali.

“La profonda e prolungata recessione che ha colpito l’economia italiana negli ultimi decenni e la lunghezza delle procedure di recupero dei crediti hanno concorso a determinare un elevato numero di crediti deteriorati nel sistema bancario italiano”, commenta in un comunicato del 2018 Banca Italia.

Nel particolare, tra i crediti deteriorati rientrano  le “sofferenze”, che sono l’unica causa di esclusione delle misure di sostegno previste dai decreti suddetti, sono esposizioni verso soggetti in stato di insolvenza o in situazioni equiparabili.

A dicembre del 2018, dei 173 miliardi di crediti deteriorati, 81 miliardi erano classificati come sofferenze. Alla fine del 2019 i prestiti deteriorati sul totale dei finanziamenti, al netto delle rettifiche di valore, erano scesi al 3,3%. Percentuale decisamente in calo rispetto agli anni precedenti, dal massimo del 9,8% del 2015.

Tuttavia in un periodo così complesso per la stabilità finanziaria del paese il dato non può che essere preoccupante: chi si ritrova in uno stato definito di sofferenza non può accedere al credito, senza il quale il futuro dell’attività economica è sicuramente ancora più oscuro.

Se la crisi persiste, molte aziende italiane potrebbero trovarsi a corto di utili necessari per rimborsare i loro prestiti. Ciò potrebbe indebolire i bilanci bancari fino al punto di crisi, e restringere ulteriormente i campi di applicazione delle misure. “Siamo in grado di resistere almeno per qualche tempo”, ha detto Wim Mijs, amministratore delegato della European Banking Federation sul New York Times, “Se fermerai l’intera economia per sei mesi, beh, allora dovremo vedere”.

 

Una conclusione con uno sguardo al terzo settore 

Per quanto riguarda le misure suddette, in accordo con il modello comunitario, non è necessaria una particolare forma giuridica: tutte le realtà non profit possono beneficiarne.

Tuttavia secondo noi è necessaria l’individuazione di strumenti ad hoc per il terzo settore, che possano andare oltre le semplici dinamiche dell’erogazione dei crediti e della moratoria, e che guardino anche alle realtà che non svolgono un’attività prevalentemente economica.

Su questo tema si è espressa la Presidente dell’istituto Banca Etica, Anna Fasano, affermando il bisogno di “avere la capacità di analizzare le esigenze economiche delle diverse organizzazioni e distinguere tra quelle legate alla situazione attuale da quelle legate allo stato di salute delle diverse realtà – siano associazioni, cooperative, imprese sociali”.

E’ necessario fare rete, allargare i canali di ascolto e mettere al centro i bisogni e le esigenze della comunità. Il fenomeno di concentrazione precedentemente affrontato ha portato ad una tendenza di chiusura dei canali di ascolto con i cittadini, a una situazione in cui è più complicato definire le concrete esigenze delle associazioni e delle organizzazioni limitando così inevitabilmente il campo di azione delle misure in atto.

“Mai come in questo momento è necessario fare rete, mettere al centro i bisogni e le esigenze della comunità”, prosegue Anna Fasano, “Serve una finanza che accompagni il Terzo Settore in termini di credito, metta a disposizione Fondi Impact che sostengono imprese a vocazione sociale, percorsi di microcredito per piccole imprese. Non solo, abbiamo anche l’opportunità di valorizzare i circuiti complementari e di utilizzare piattaforme di crowdfunding e di equity crowdfunding. Molti sono stati catapultati in un mondo tecnologico che fino a poco fa non gli apparteneva, facciamolo diventare strumento per ampliare le modalità di contatto e recuperiamo il concetto di “vicinanza”, conclude.

Viviamo in un momento di transizione, in cui la filosofia della ripartenza è ancora tutta da definire, la speranza risiede nella costruzione di nuove fondamenta per l’economia attorno ai concreti bisogni dei cittadini.

La crisi apre dunque anche a delle opportunità per il sistema bancario: alcuni assetti ed equilibri verranno messi in discussione non con effetti esclusivamente negativi, si potranno ripensare le esigenze finanziarie ed economiche della società in un’ottica di ricostruzione e conversione, con l’intento di delineare una cornice in grado di ragionare al di là dell’emergenza.

Articolo di Lorenzo Cirino