Le condizioni edilizie delle scuole sono problematiche.
E lo sa anche il MIUR.



La scuola che non c'è



Alla parola “scuola” corrispondono infinite associazioni di immagini, significati, luoghi, esperienze. In particolare, esiste una scuola come dovrebbe essere: una mensa in un salone apposito, con pasti completi di primo, secondo, pane e frutta; un riscaldamento per i mesi più freddi e la possibilità di aprire le finestre per far entrare l'aria, proveniente dal cortile silenzioso, nei periodi caldi; una palestra, grandi spazi con canestri, reti da pallavolo, corde e attrezzi; la sensazione di essere in un luogo sicuro. Tutto questo è quello che la scuola dovrebbe essere, ma che purtroppo non sempre è.


Attraverso l’analisi e l’elaborazione delle informazioni raccolte dal MIUR nel 2018-2019 all’interno del Portale Unico dei Dati della Scuola si disegna una realtà molto diversa, da cui emergono aspetti problematici e ambiti che necessitano di intervento. Nonostante alcune lacune relative a dati mancanti e quindi a scuole la cui condizione è parzialmente ignota, l’obiettivo dell’archivio web a disposizione di cittadine e cittadini è garantire il libero accesso a informazioni circa l’edilizia scolastica italiana e non solo. Scomodo ha rielaborato parte di questi contenuti al fine di stimolare riflessioni e possibilmente interventi che possano migliorare l’attuale condizione strutturale di molti edifici. Non solo, fotografare la situazione attuale delle scuole in Italia è fondamentale anche per mettere a fuoco il contesto che studenti e studentesse vivono quotidianamente. Secondo Legambiente e Fondazione Agnelli, infatti, quasi un terzo delle scuole nei capoluoghi di provincia necessiterebbe di manutenzione urgente e l’8,6% delle scuole italiane riporta problemi strutturali gravi. Questa situazione, oltre a rendere l’esperienza scolastica disagevole, può infine diventare pericolosa e causare seri incidenti.

L’inchiesta di Scomodo si concentra quindi su alcuni dei parametri che si possono prendere in considerazione quando si valutano le condizioni degli istituti scolastici: la presenza di spazi funzionali, quali mense e palestre, di un impianto di riscaldamento funzionante, di un contesto sicuro, protetto da disturbi di vario genere.


Il diritto alla mensa


Prendendo in considerazione le sole scuole elementari, emerge un primo dato eclatante: appena un terzo delle scuole sono dotate di una mensa. Secondo Save the Children la mensa scolastica «garantisce il pieno godimento del diritto allo studio» e ci sono dati che dimostrano una forte correlazione tra presenza di una mensa e dispersione scolastica in Italia, tanto che le regioni con il minor numero di mense sono le stesse a registrare i più alti tassi di abbandono scolastico. Il diritto al cibo è sancito e tutelato dalla Convenzione ONU dei Diritti dell’Infanzia e dell'Adolescenza, dalla Costituzione Italiana e da numerose altre norme internazionali.

L’accesso ad un’alimentazione sana e completa dovrebbe quindi essere garantito a prescindere dal reddito e la scuola dell’obbligo rappresenta un momento fondamentale per il soddisfacimento di questo diritto. In Italia sono 1,2 milioni i bambini e adolescenti in stato di povertà assoluta, che implica l’impossibilità di acquisto di beni essenziali e quindi anche di accesso ad un'alimentazione adeguata. In questo scenario, la didattica a distanza, imposta dall’emergenza sanitaria, ha avuto un impatto fortissimo non solo dal punto di vista formativo, ma anche della salute alimentare. Secondo il monitoraggio di Save the Children, quest’anno 160 mila bambini hanno perso l’unico pasto ad adeguato contenuto proteico della giornata, a causa della chiusura delle mense. Il pasto a scuola, consumato insieme a tutti gli altri alunni, non rappresenta solo un momento educativo e di socializzazione essenziale per i bambini, ma per molti anche strumento di integrazione sociale e culturale, e di prevenzione da problematiche quali la malnutrizione e l’obesità infantile. In Italia il 20% dei bambini è in sovrappeso e il 9% soffre di obesità, e la mensa scolastica è il luogo ideale per apprendere e praticare una corretta educazione alimentare e nutrizionale. Il servizio di mensa scolastica dovrebbe essere garantito a tutti, gratuito e di qualità, e invece le disparità sono fortissime. In Sicilia solo il 10% delle scuole elementari ha una mensa, appena il 16% in Basilicata, Campania e Molise, e il 19% in Calabria e Puglia. I dati migliorano andando verso Nord dove spiccano Val d’Aosta, Piemonte e Toscana, evidenziando ancora la presenza di un forte divario tra le due parti della penisola.

Al tema della mensa poi è strettamente legato quello del “tempo pieno”: una scuola senza mensa infatti spesso è una scuola senza tempo pieno. In Italia le scuole elementari si dividono in quelle a tempo pieno, ovvero 40 ore settimanali, e quelle a tempo modulare, che prevedono dalle 27 alle 30 ore. La scelta in linea teorica è lasciata alle famiglie, ma nella pratica spesso dipende dall’offerta, cioè dalla disponibilità di strutture, insegnanti e risorse nella città di residenza. Nel 2020 il 45,8% delle famiglie ha scelto per i propri figli e figlie una scuola a tempo pieno, ma la distribuzione a livello territoriale è tutt’altro che uniforme.

Secondo i dati del MIUR del 2020 la percentuale più alta di iscrizioni al tempo pieno si è registrata in Lazio (64,3%), Piemonte (62,3%) e Toscana (60,3%) mentre Sicilia, Campania, Molise e Puglia rimangono tra il 13% e il 27%. La scelta non scaturisce dalle diverse preferenze delle famiglie, ma dalle diverse opportunità loro offerte. Nelle regioni meridionali sono ancora troppo pochi i posti nelle scuole a tempo pieno, con gravi conseguenze in termini di dispersione scolastica, integrazione sociale e occupazione femminile.


Poco sport senza palestre


Secondo i dati che Scomodo ha ottenuto, meno della metà delle scuole in Italia ha a disposizione uno spazio per far svolgere agli studenti attività fisica. Sono quasi 32.500 le scuole italiane che dichiarano di non avere una palestra, ovvero il 55,2%, eppure l’Educazione Fisica è una materia obbligatoria nei programmi curriculari delle scuole primarie e secondarie di primo grado, e si svolge nella maggior parte delle scuole superiori.

Secondo la legge 23 dell’11 gennaio 1996 «le strutture edilizie costituiscono elemento fondamentale e integrante del sistema scolastico», e tra le altre cose deve essere garantita «la disponibilità da parte di ogni scuola di palestre e impianti sportivi di base», ma la realtà dei fatti sembra essere molto lontana da quanto sancito dalla norma. Molte scuole, per supplire a questa mancanza strutturale e offrire l’insegnamento, si organizzano utilizzando spazi in plessi di altri istituti o impianti sportivi del territorio, quando possibile in prossimità ma talvolta anche molto distanti dall’edificio scolastico. In altri casi l’attività sportiva viene svolta all’aperto, anche d’inverno, oppure in aule non adibite a tale funzione.

La mancanza di uno spazio sicuro e idoneo all’interno della propria scuola per fare attività motoria è allo stesso tempo causa e sintomo di un generale disinteresse verso l’attività sportiva nel nostro paese. L’essenzialità dello sport per la salute in particolare di bambini e adolescenti e la sua funzione educativa sono riconosciute a livello europeo, ma sono profonde le differenze tra i Paesi membri, come risulta dal report di Eurydice (Physical Education and Sport at School in Europe, 2013). Nelle scuole elementari italiane l’attività motoria è una materia obbligatoria ma “ad orario flessibile” in quanto non è previsto un numero preciso di ore, e l’insegnamento non è tenuto da un docente specializzato, nonostante le diverse proposte di legge che sono state sollevate a riguardo. Nelle scuole medie invece il numero di ore di attività fisica svolte all’anno dagli studenti è pari a 66, molto poche se confrontate con le ore dedicate alla materia nelle scuole francesi (108), ancora meno se si considera che l’OMS raccomanderebbe 1 ora al giorno, cioè 200 ore l’anno.

Bisogna specificare poi che la distribuzione delle palestre non è omogenea a livello nazionale. La mappa graduata mostra che ci sono alcune regioni e province che spiccano per mancanza di palestre e impianti sportivi di base. Le zone più chiare presentano una bassissima percentuale di scuole con palestra, che tocca il minimo del 21% in alcune province calabresi e campane. Mentre la percentuale massima di scuole con palestre raggiunge appena il 68%, in alcune province lombarde, toscane e friulane.

Se si osservano i dati a livello regionale, i numeri più preoccupanti riguardano la Calabria, con appena il 25% delle scuole con palestra, e la Campania con il 30%. A parte questi due casi, non si notano forti differenze tra le regioni, che presentano tutte percentuali molto basse. Solo in 6 regioni si supera, e di poco, la soglia del 50% di scuole dotate di spazi idonei a svolgere attività motoria, e la regione con il dato migliore, nonostante sia anch’esso ben al di sotto di quanto auspicabile, è il Friuli-Venezia Giulia (59%).


Al freddo non si studia


Un altro aspetto certamente rilevante ai fini di una valutazione del benessere dell’edilizia scolastica italiana è la presenza o meno di un impianto termico. Come si può facilmente intuire, questo è responsabile del riscaldamento dell’intera struttura scolastica ed è dunque un fattore determinante per la creazione di un ambiente confortevole che favorisca un sereno svolgimento dell’attività scolastica anche nei mesi più freddi dell’anno.

A livello legislativo, non esiste alcuna norma che implichi l’obbligo di possedere un impianto termico per gli edifici scolastici, tuttavia nel D. Lgs. 81/80 - Titolo II si afferma che la temperatura nei mesi invernali deve necessariamente variare tra i 18°C e i 22°C, con un margine di tolleranza di 1°C; per i mesi estivi si consiglia invece di mantenere una temperatura tra i 24°C e i 27°C. Nonostante questi valori implichino direttamente la necessità di un riscaldamento, la situazione italiana potrebbe sorprendere.

Come si evince dal grafico, secondo gli open data del MIUR su quasi cinquantanovemila scuole italiane il 3,3% di queste (all’incirca duemila) non possiede il riscaldamento, un dato che, seppur da non sottovalutare, potrebbe essere considerato uno scarto ragionevole. Particolarmente allarmante è però il fatto che di queste quasi duemila scuole il 61% si trovi in Calabria - una regione che già si distingue per la grave carenza di palestre - seguita, anche se a distanza, dalla Sicilia.

A primo impatto si potrebbe ritenere che questa non sia una casualità, dato che si tratta di due regioni all’estremo sud della nostra penisola e quindi dal clima più caldo, ma analizzando attentamente le temperature è evidente che questo non sia sufficiente a giustificare l’assenza di un impianto termico scolastico. In Calabria, nei mesi che vanno da dicembre a marzo, si registrano in media tra i 7°C e i 12°C, in Sicilia tra i 6°C e i 14°C; inoltre, in entrambi i casi è necessario considerare lo scostamento presente tra una località della costa e una posta all’interno, in cui spesso la temperatura può scendere anche ben al di sotto dei 6°/7°C. Tutto ciò vale allo stesso modo per le regioni che, seppur con percentuali ancora minori, si distinguono per l’assenza di riscaldamento, come l’Emilia Romagna con il suo 5%; nonostante possa apparire un dato forse irrisorio, esso è certamente aggravato dal fatto che in questa regione le temperature dei mesi invernali sono ancor più basse rispetto a quelle di Sicilia e Calabria, oscillando tra 1°C e 9°C.

Alla luce di questo, emerge in maniera piuttosto eclatante l’impossibilità, senza un adeguato impianto termico, di garantire la temperatura prevista di minimo 18°C in queste zone, arrivando a descrivere scenari concreti quanto inammissibili: studenti e studentesse costretti ad indossare cappotti, guanti e sciarpe anche in classe, a portare coperte per potersi scaldare, vedendosi privati di un ambiente accogliente in cui trascorrere le cinque o sei ore scolastiche giornaliere, se non otto nel caso dell’istruzione primaria. Purtroppo la negazione di questo diritto non rappresenta solo un ipotetico futuro ma è già realtà, come testimoniano diversi episodi documentati da giornali locali, spesso rimasti inascoltati. Altrettanto ambiguo e preoccupante è il dato secondo cui di circa settemila scuole italiane (quasi il 12%) non si conosce la condizione dell’impianto termico, se presente o assente, elemento che farebbe presagire il peggio.

Ad ogni modo, come si afferma nel D. Lgs. 81/80 - Titolo II, la temperatura dell’ambiente deve essere adeguata all’organismo umano e deve considerare il tipo di attività svolta, fisica o sedentaria, al fine di assicurare un contesto idoneo. Questo è quanto dovrebbe essere garantito a tutti gli studenti italiani, senza alcuna distinzione, affinché possano usufruire del loro diritto allo studio in condizioni favorevoli e non limitanti.


Scuola: "area sicura"


Ultimo ma non meno importante fattore da considerare è il rapporto che l’edificio scolastico intrattiene con l’ambiente esterno. Più specificatamente è necessario considerare se e quali fattori esterni possano influenzare negativamente l’attività didattica e il benessere di studenti e studentesse, nonché del personale scolastico. I dati forniti dal MIUR rivelano non solo che questi elementi di disturbo possono essere diversi e molteplici, ma anche che il 12% delle scuole italiane ne è affetto, secondo le combinazioni più disparate.

I fattori esterni negativi per lo svolgimento delle attività scolastiche e per la salute di chi ne è coinvolto riguardano sia aspetti concreti quali l’acustica, la qualità dell’aria, la qualità dell’acqua, sia ambiti più prettamente psicologici ma non per questo meno rilevanti quali la percezione di un contesto sicuro e idoneo all’apprendimento e alla vita studentesca, percezione che può ad esempio risultare alterata in condizioni di vicinanza a cimiteri e discariche.

Secondo i dati raccolti, l’elemento di disturbo dominante è certamente l’inquinamento acustico esterno (presente nel 6,6% delle scuole), spesso dovuto alla vicinanza di uno snodo stradale molto trafficato, di una stazione ferroviaria, di un cantiere o in casi ancor peggiori di un aeroporto. La principale conseguenza che ne deriva interessa non tanto l’ambito della salute quanto più la sfera dell’apprendimento: si instaura un circolo in cui ad una maggiore difficoltà nella spiegazione da parte del docente corrisponde una minore capacità di attenzione e acquisizione da parte degli studenti e delle studentesse.

A livello legislativo, esistono norme internazionali e nazionali (DPR 30 marzo 2004, n. 142) che regolano quale sia il livello sonoro accettabile per l’insediamento di edifici scolastici: questo consiste all’incirca in 50 dB (decibel), limite calcolato sulla base della frequenza della voce umana che a volume normale si aggira attorno a questo valore. Diversi studi tuttavia mostrano come, in presenza di fonti di disturbo esterno del tipo descritto, questo limite venga facilmente superato, determinando così una minore intelligibilità dei suoni interni all’aula e un’influenza negativa sulla concentrazione e il rendimento degli alunni.

In percentuale minore ma comunque rilevante si trova poi l’inquinamento atmosferico (2,8%). che può avere origine da fattori esterni, molto semplicemente la qualità dell’aria della zona in cui l’edificio è collocato, e da fattori interni, ovvero emissioni legate ai materiali di costruzione, agli arredi, agli impianti in uso. In entrambi i casi (che spesso coesistono) sono già stati elaborati parametri per la misurazione del livello di inquinamento e allo stesso tempo una nutrita letteratura ha in parte analizzato le possibili conseguenza che si riversano principalmente su studenti e docenti: impatti negativi sulla salute e quindi talvolta anche sulla presenza o assenza in aula, fattore che influenza poi direttamente il rendimento scolastico del soggetto coinvolto. Si annoverano infine tra i disturbi funzionali da cui le scuole italiane sono affette altri elementi quali la vicinanza ad acque e industrie inquinanti, a fonti di radiazioni elettromagnetiche, a discariche e cimiteri; dati che, pur nella loro rilevanza, risultano talvolta di difficile lettura perché rispondenti a requisiti non omogenei. Ad ogni modo, a livello geografico la distribuzione di fattori di disturbo funzionale è piuttosto varia, con particolari picchi in alcune località per determinati elementi, come mostra la tabella: La Spezia ad esempio vince un triste primato per la maggiore percentuale di scuole soggette a inquinamento atmosferico e acustico, così come Latina per la vicinanza ad acque inquinanti, Lucca e Trapani rispettivamente per la prossimità a cimiteri e discariche.

Infine, all’interno degli open data del MIUR spicca un’ultima voce degna di essere considerata che consiste nella dicitura «area sicura»: all’interno di questa espressione rientrano una molteplicità di elementi che vanno dalla presenza di industrie abbandonate o a rischio nei pressi della scuola al degrado dell’area urbana circostante l’edificio. Poiché nessuno di questi parametri è ben specificato rimane spesso vago il loro significato e tuttavia è presente un particolare aspetto, seppur collaterale rispetto al dato in sé, da ritenere rilevante: quale che sia la ragione, il 12% delle scuole nel consegnare i dati al Ministero giudica la propria area non sicura. Questo elemento, a prescindere dai fattori in gioco, non risulta rassicurante né coerente con ciò che la scuola dovrebbe rappresentare: un luogo sicuro, sereno, dove apprendere e a cui affidare anni importanti per lo sviluppo del singolo.


Diritti negati


È evidente che lo status strutturale delle scuole in Italia sia piuttosto preoccupante e siano quindi urgenti e inderogabili numerosi interventi pubblici e un investimento di maggiori risorse da parte delle amministrazioni. Una triste conferma è quella del profondo divario territoriale tra Nord e Sud, che ancora una volta fa sì che i dati più allarmanti siano quelli delle regioni meridionali. Nell’attesa che vengano presi provvedimenti, non si può rimanere indifferenti: una maggiore consapevolezza delle condizioni in cui si trovano a studiare e vivere moltissimi studenti e studentesse e una presa di coscienza dei propri diritti sono necessarie. L’istruzione è infatti un diritto sancito dalla Costituzione, tuttavia la pessima condizione strutturale in cui versano molte scuole contribuisce a ledere questo diritto e ad aggravare le disuguaglianze del sistema scolastico italiano.

di Giulietta Zanga, Chiara Di Tommaso, Gina Maria Marano
Grafici a cura di Giulietta Zanga e Francesco Paolo Savatteri