Le risposte (molto) diverse di Federal Reserve e Banca Centrale Europea

La pandemia da fronteggiare è la stessa, ma contesti economici (e strutture politiche) completamente diversi richiedono alle banche centrali politiche completamente diverse

01/10/2020

Dodici anni fa il fallimento di Lehman Brothers sancì l’inizio di quella che i libri di storia ed economia oramai riportano come “grande recessione” e che rese le banche centrali i nuovi attori protagonisti della scena mondiale. Da quando i mercati finanziari crollarono per la prima volta e si ricorse alla politica monetaria per risollevarli, termini come LTRLO, ABS e Refinancing rate sono diventate parole di uso comune nei telegiornali e importanti strumenti con cui comprendere molto di quello che ci sta accadendo intorno.

Dodici anni dopo

La situazione attuale è diversa dal 2008 sotto molti punti di vista. Mettendo un attimo da parte il lato umano, dal quale è comunque difficile prescindere, la crisi economica e il ruolo che giocano in essa i mercati finanziari sono fortemente diversi. Il mantra usato degli economisti per descrivere questa crisi è quello dello shock dell’offerta. Questo ha avuto un impatto sui mercati finanziari che, sebbene fossero più stabili di quelli alla vigilia del 2008, con un minor numero di titoli spazzatura in circolazione, hanno risentito a catena del colpo inflitto all’economia reale. I titoli di debito di società (e anche degli Stati) che prima erano floride e in buona salute si sono deteriorati in un secondo: un blocco totale delle attività ha fatto si che il rischio di vedere non ripagati i debiti crescesse. Al contrario, durante la grande recessione il crollo dell’economia reale è seguito ad un crollo dei mercati, dove giravano titoli di debito che venivano considerati più sicuri di quel che fossero veramente.

Entrambe queste situazioni hanno avuto poi lo stesso effetto: un crollo dei valori delle azioni e dei titoli sui mercati finanziari. E siccome il corretto funzionamento di questi ultimi è uno dei principali mandati delle banche centrali, il loro intervento è stato necessario per risollevare la situazione. Le azioni intraprese hanno dovuto tenere conto delle diverse motivazioni che hanno portato al crollo finanziario. Nel 2008 si trattava di ripulire il mercato dai titoli tossici, toglierli dalla pancia degli investitori istituzionali per evitare che fallissero e quindi aumentasse la disoccupazione. Oggi l’obbiettivo è sostenere il valore dei titoli ed evitare che le imprese che prima della pandemia si trovavano in una buona situazione economica si vedano schiacciate dalle aspettative degli investitori. In termini pratici, questo viene fatto garantendo l’accesso al credito di compagnie ed individui e la liquidità dei mercati monetari (quelli dove le imprese si finanziano a breve termine).

 

Contesti diversi

Le istituzioni guidate da Jay Powell (Federal Reserve) e Christine Lagarde (Banca Centrale Europea) si differenziano per la natura dei mercati che si trovano a fronteggiare, per il rapporto con la politica fiscale e per quello con i titoli di debito governativi.

Le scelte della Federal Reserve sono dettate dalla maggior efficienza dei mercati finanziari americani, più utilizzati anche dalle società per finanziare il proprio debito. È quindi importante garantire la liquidità dei titoli di debito a breve termine (come le lettere commerciali) delle aziende. Il mercato europeo è ben diverso e le nostre società si finanziano principalmente attraverso il debito bancario. È quindi inevitabile che per garantire l’accesso al credito la BCE si concentri su azioni che assicurino sufficiente liquidità alle banche.

Per sopravvivere le aziende non hanno solo bisogno di prestiti ma anche di agevolazioni economiche che permettano loro di operare: la politica fiscale ha il compito di intervenire su questo fronte. Alla base del sistema moderno c’è l’idea che la politica monetaria debba essere indipendente, ma essa ha inevitabilmente delle implicazioni fiscali. Quando una banca centrale si trova quindi a fronteggiare un singolo organismo responsabile per la politica fiscale, è più facile che i due si coordinino per bilanciare gli effetti delle rispettive azioni, come succede nel contesto americano. Tra le misure messe in atto per combattere la crisi economica causata dalla pandemia, la banca centrale americana ha avviato anche diversi programmi in collaborazione con la US Treasury, volti ad agevolare il credito alle aziende maggiormente colpite. In ogni caso, per tutte le misure che coinvolgano le imprese e non le banche o gli intermediari finanziari, la FED ha bisogno dell’approvazione del governo per procedere. Nel caso della BCE, in mancanza di una politica fiscale condivisa all’interno dell’Unione, è difficile intraprendere azioni importanti che siano anche in linea con le scelte dei singoli Stati membri. Le diversità nel rapporto con la politica fiscale generano anche differenze nella gestione dei titoli di debito dei vari stati. La FED è un organismo creato e limitato dalle leggi del Congresso americano, non ha pressoché limiti all’acquisto di titoli di stato americani ed è garante del debito pubblico emesso dagli Stati Uniti: questo garantisce un controllo preciso e una maggiore stabilità del tasso d’interesse sui bond del Tesoro. Questo meccanismo diretto viene meno in Europa, dove il debito emesso dai singoli stati per finanziare la spesa può poi essere acquistato dalla BCE ma nel rispetto di limiti precisi che garantiscono (teoricamente) un’equa ripartizione delle risorse tra i paesi. Nel mandato della Banca Centrale non rientra inoltre il ruolo di garante del debito degli stati dell’eurozona. Come risultato, i tassi di interesse sul debito sono più variabili e non possono essere controllati direttamente.

 

In termini pratici

La FED è intervenuta principalmente su tre fronti.

  • Il tasso d’interesse è stato ridotto dal 1.5 allo 0.25 e le regole riguardo al capitale che le banche devono tenere sono state alleggerite, per ridurre il costo del denaro e agevolare così l’accesso al credito per i cittadini.
  • L’acquisto di strumenti finanziari sul mercato è stato rafforzato per garantire il corretto funzionamento di quest’ultimo. A queste misure di Quantitative Easing, ben note, si aggiungono anche prestiti diretti a grandi investitori istituzionali, che contribuiscono alla liquidità dei titoli.
  • Misure speciali sono state rivolte ai mercati monetari, che essendo quelli in cui le operazioni avvengono a breve termine sono anche i primi a risentire della crisi. L’acquisto di titoli su questi mercati, analogo ai programmi descritti nel punto prima , agevola le grandi società che li usano per garantirsi liquidità e anche alcuni importanti investitori, il cui fallimento porterebbe a gravi conseguenze per l’intero sistema.

 

È importante notare come in tutte queste misure, la Federal Reserve sia autorizzata a comprare solo titoli di debito, che siano statali, privati, a breve o a lungo termine. Il limite ai suoi poteri è dettato dal divieto di acquistare azioni.

La vera novità tra le misure della FED è però la possibilità per le grandi aziende di finanziarsi attraverso la banca centrale: essa può infatti acquistare titoli di debito appena emessi dalle società, imponendo comunque alcuni controlli riguardo la posizione finanziaria degli anni a venire. In supporto diretto alle imprese si aggiungono anche programmi di finanziamento a breve termine (sempre attraverso il mercato finanziario). Agevolazioni simili, con prestiti concessi dalla Federal Reserve stessa, sono stati resi accessibili anche a società di medie e piccole dimensioni.

Il 27 agosto un discorso di Powell ha annunciato un’altra novità importante per la banca centrale americana. Il presidente della FED ha comunicato un cambiamento nelle priorità e negli obbiettivi dell’istituzione di cui è alla guida. Il classico modello di “Inflation targeting” utilizzato per interpretare e gestire la relazione tra tasso di occupazione, tasso d’inflazione e tassi d’interesse ha avuto fino ad ora come primo obbiettivo il rispetto del limite massimo del 2% per il tasso d’inflazione.  Adesso la priorità diventa la ripresa del mercato del lavoro e quindi la riduzione del tasso di disoccupazione. A questo fine, sarà ammessa una crescita dell’inflazione (che avviene se aumenta l’attività economica, che nel modello viene assimilata alla crescita dell’occupazione) oltre il 2%, anche se solo per periodi brevi e non per sforamenti significativi. Questa scelta ha però delle forti implicazioni sia sui mercati finanziari, dove essa è una garanzia che i tassi d’interesse rimangano bassi ancora per un po’ (l’inflazione viene ridotta attraverso aumenti nel tasso d’interesse), sia sul ruolo della Fed, che per la prima volta ha tra i suoi obbiettivi un aspetto dell’economia reale, sancendo la sua importanza anche al di fuori del contesto finanziario.

 

La BCE, con Christine Lagarde che appena insediata si è trovata a fronteggiare una crisi senza precedenti, ha cercato di rispondere il più velocemente possibile allo shock causato dalla pandemia mentre l’Unione Europea cercava di capire come strutturare una politica fiscale unitaria di sostegno all’economia, che è stata definita solo a metà del mese di luglio.

  • Essendo il tasso d’interessa già negativo, non vi è stata nessuna ulteriore riduzione da parte della banca centrale. SI è cercato di favorire l’accesso al credito e costi più contenuti attraverso la riduzione dei requisiti minimi di capitale per le banche e i programmi di prestiti a lungo termine (tra le banche e la banca centrale).
  • I programmi di prestiti a lungo termine per le banche servono anche a garantire il corretto funzionamento dei mercati monetari, dove quest’ultime si finanziano a breve termine. Sebbene in Europa questi mercati siano meno importanti rispetto all’America, il loro funzionamento è comunque essenziale per garantire liquidità alle banche ed agli altri pochi investitori che li utilizzano per finanziarsi a breve termine.
  • Il tanto discusso PEPP non è altro che l’acquisto di titoli di stato, uno dei principali strumenti utilizzati dalla Banca Centrale Europea. I limiti rimangono pressoché invariati: la BCE può acquistare bond solo sui mercati secondari e non può consistentemente comprare titoli solo di un singolo stato per quanto esso sia in difficoltà. Questo limite si definisce “divieto di assistenza finanziaria” (che infatti non rientra nel mandato della BCE).

Per sopperire ai limiti imposti all’acquisto di titoli di stato la banca centrale ha la possibilità di comprare azioni sui mercati, a differenza della Federal Reserve, garantendone un migliore funzionamento.

Le ultime notizie rivelate dal Financial Times parlano della possibilità di creare una “Bad Bank” Euopea. La proposta di alcuni membri della BCE dovrebbe però trovare l’appoggio dell’Unione e questo per ora sembra difficile. La Bad Bank servirebbe a ripulire i bilanci delle banche dai crediti deteriorati e se partecipata dall’Unione Europea significherebbe un cambiamento alla regola secondo la quale il salvataggio delle banche può avvenire solo dopo una risoluzione di quest’ultime. È difficile pensare ad un cambiamento di queste regole in tempi brevi, considerando le difficoltà che abbiamo tutti osservato nei negoziati per il recovery fund, ed infatti la proposta è caduta nel nulla.

 

Misure straordinarie?

Le misure adottate dalle due banche centrali sono uno specchio prima di tutto della diversità dei mercati finanziari e delle scelte di finanziamento europee e americane. La BCE sta cercando di fare tutto il possibile affinché le banche continuino a prestare soldi ad individui e società, mentre la Fed sta garantendo il corretto funzionamento dei mercati, che sono la principale fonte di sostentamento per gli attori dell’economia americana.

Nel contempo, stimoli diretti all’economia sono stati predisposti solo dalla Federal Reserve, grazie alla sua collaborazione diretta con il governo: un coordinamento tra questi due aspetti dell’economia è essenziale ma deve avere dei limiti precisi per garantire l’indipendenza della banca centrale. In europa questa collaborazione non è stata altrettanto possibile, non essendo la politica fiscale responsabilità del consiglio europeo ma dei singoli stati. Anche le decisioni più recenti (come il Recovery Fund) rappresentano una prima risposta comunitaria ma comunque slegata dalla politica monetaria.

Christine Lagarde ha definito questi momenti come “tempi straordinari” da fronteggiare con misure altrettanto straordinarie. Grandi differenze con i programmi messi in atto nel 2008 non si sono però viste. Nonostante per la prima volta il PEPP abbia introdotto flessibilità e soggettività dei limiti entro cui la BCE possa agire, quello che veramente lo rende un programma di emergenza è l’importo stanziato, superiore a qualsiasi altro programma deciso fino ad oggi.

Ben diversa è stata la risposta della FED: il capo della banca centrale statunitense Powell ha spinto questa istituzione oltre limiti che fino a poco fa sembravano invalicabili, creando un importante precedente. Entrando nel mercato del debito societario, la Federal Reserve ha aperto il sipario su un nuovo scenario di capitalismo. Sebbene i poteri utilizzati in questo caso straordinario siano soggetti all’approvazione del governo americano, si stanno rivelando essenziali per il corretto funzionamento dell’economia. Quel che sta accadendo è che un’istituzione pubblica sta assumendo i debiti del settore privato, nel nome della tutela dei posti di lavoro e più in generale dell’economia. Acquistando i debiti di alcune grandi società, la Federal Reserve ha garantito che tutto il mercato del debito societario funzionasse correttamente.

Confrontando l’operato delle due banche centrale è evidente come solo negli Stati Uniti siano state intraprese azioni realmente radicali e senza precedenti. Questo non è però necessariamente un bene. Le azioni promosse in collaborazione con il governo americano avranno un ruolo determinante per evitare il tracollo economico, ma fanno sorgere dei dubbi riguardo l’indipendenza della politica monetaria, che è uno dei fondamenti dei sistemi economici moderni. L’altro dubbio importante riguarda il nuovo ruolo assunto dalla Federal Reserve nel mercato del credito societario. La domanda che sorge spontanea è qualora la tutela dei posti di lavoro sia una giustificazione sufficiente per trasferire il rischio del debito privato ad un’istituzione pubblica. Sarà interessante capire l’estensione in termini di tempo e di risorse di questi programmi, tenendo comunque presente nelle prossime situazioni di emergenza, che la banca centrale americana ha dimostrato di poter andare ben oltre i limiti convenzionali e di essere disposta davvero a tutto pur di tutelare il sistema economico.

Articolo di Chiara Lettieri