Perché c’è bisogno della legge Zan (e perché potrebbe non bastare)

L’Italia è uno dei Paesi più indietro in materia di diritti lgbt+ in Europa, ma non è detto che debba rimanere così

Sebbene in Europa la comunità lgbt+ stia da anni cercando di farsi spazio per ottenere i propri diritti, la sua battaglia non è certo priva di ostacoli. Secondo il quadro che emerge dalla Rainbow Europe Map 2021 – l’indice elaborato da ILGA Europe (International lesbian and gay association) che classifica gli Stati in base al loro sistema legislativo e alle politiche adottate per garantire eguali diritti – diversi Paesi manifestano ancora forme di discriminazione e intolleranza elevate. I dati mostrano un’Italia al 35esimo posto su 49 Paesi nella tutela lgbt+ – restringendo la classifica ai soli Paesi UE, l’Italia si trova al 23esimo posto su 27. L’est Europa è il fanalino di coda: Polonia e Ungheria si confermano le più repressive e ad arresti, attacchi fisici e condanne, si aggiungono vere e proprie campagne discriminatorie di hate speech promosse da istituzioni e reti mediatiche pubbliche.

 È per questo motivo che l’11 marzo 2021 il Parlamento Europeo ha dichiarato gli Stati dell’Unione europea “zone di libertà” per le persone lgbt+. Un atto simbolico che invita i Paesi membri a dotarsi urgentemente di appositi provvedimenti interni per la tutela della comunità da ogni forma di discriminazione, intolleranza e persecuzione, difendendone il diritto di libera espressione a livello di orientamento sessuale e identità di genere. La dichiarazione del Parlamento si indirizza in primis ai Paesi dove il tasso di intolleranza è particolarmente elevato, ma è anche un invito – a paesi come Italia e Portogallo – a legiferare a tutela dei soggetti lgbt+ e a conformarsi alle decisioni prese in seno al Parlamento, pena l’infrazione di quest’ultime.

Ci sono però delle perplessità. La risoluzione bandisce ogni tipo di discriminazione e violenza fondate sul sesso e sull’identità di genere, ma allo stesso tempo rammenta che dal punto di vista biologico sono necessari entrambi i sessi per la procreazione; ciò significa che le legislazioni, in materia di matrimonio e genitorialità, dipendono esclusivamente dalla sovranità degli Stati membri. Inoltre è stato toccato anche il discorso della libertà d’espressione, rendendo noto che l’opposizione politica pacifica all’interno di un dibattito non può essere equiparata all’omofobia. Tuttavia, non è ancora ben chiaro cosa si intenda per “opposizione politica pacifica”. Fuor di dubbio, comunque, la risoluzione del Parlamento è stata adottata con 492 voti favorevoli, 141 contrari e 46 astensioni. Tra i contrari in Italia, numerosi sono gli appartenenti a Lega e Fratelli d’Italia, mentre tra gli astenuti si trova Forza Italia. Il quadro che ne emerge è quello di un Paese ancora fortemente diviso in materia di diritti, tanto che la stessa proposta del deputato del Partito democratico Alessandro Zan, volta a dotare l’Italia di una legge contro l’omotransfobia, è stata essa stessa oggetto di critiche nonché bersagliata ideologicamente su ogni fronte politico. 

 

La Legge Zan in Italia

La cosiddetta “Legge Zan” contro l’omotransfobia prende dunque il nome dal suo relatore. Approvata dalla Camera il 4 novembre 2020 con 265 voti a favore, 193 contrari e 1 astenuto, ora è in attesa di approvazione al Senato. Il testo di legge interviene sulla legge Mancino del ‘93 – che in origine puniva unicamente le discriminazioni di ordine religioso, razziale ed etnico –  introducendo all’interno dell’articolo 604 bis e 604 ter del Codice penale nuove circostanze di reato contro i comportamenti discriminatori e violenti rivolti a un individuo per via dell’identità di genere e dell’orientamento sessuale. Per quanto riguarda le sanzioni, invece, che in base alla gravità del reato vanno da una multa salata alla detenzione fino a quattro anni, l’articolo 4 del testo di legge introduce anche la possibilità di assegnare pene accessorie come lavori socialmente utili, l’obbligo di rimanere in casa in orari prestabiliti, la sospensione della patente di guida o del passaporto, il divieto di detenzione di armi e il divieto di partecipare ad attività di propaganda elettorale.

Tuttavia, la legge Zan ha introdotto nel testo anche due clausole “pericolose”, come le definisce Fabrizio Marrazzo, portavoce del Partito Gay lgbt+ “solidale ambientalista liberale” che abbiamo intervistato. La prima clausola riguarda la rimozione del “reato di propaganda d’odio” in favore della salvaguardia della libertà d’espressione. Secondo molti, infatti, il nuovo testo di legge avrebbe potuto limitare il diritto fondamentale della libertà di pensiero costituendo un “reato di opinione” per chiunque difendesse la famiglia eterosessuale o contestasse la comunità lgbt+. Così, al fine tutelare democraticamente le libere opinioni, «Zan ha eliminato una norma importantissima che garantiva di denunciare le dichiarazioni lesive nei confronti di soggetti lgbt+ anche nel caso non si fosse personalmente la vittima. In sostanza, oggi, la propaganda d’odio razziale è reato, quella dell’omosessualità no». L’altra clausola oggetto di discussione è invece la cosiddetta norma “salva-idee”, inserita nell’attuale articolo 4. Tale emendamento stabilisce che le opinioni contrarie al pensiero lgbt+ non costituiscono un reato se non sfociano nella discriminazione e nella violenza, ma Marrazzo spiega che «con questo emendamento si può tranquillamente affermare che l’unione gay sia un “abominio” senza incorrere nel reato penale: essa non salva le idee ma svuota la legge».

 

Le leggi contro l’omotransfobia nei maggiori Paesi europei

Dunque, mentre l’Italia resta in attesa dell’approvazione della legge contro l’omotransfobia, nel frattempo è ancora possibile rimanere impuniti a seguito di aggressioni omofobe verbali. Per quelle fisiche invece – che costituiscono reato – l’aggravante omofoba non è ancora prevista, come nel caso della recente notizia di aggressione avvenuta nella metro romana ai danni di una coppia lgbt+, attaccata e malmenata da un uomo infastidito dalla loro presenza, il quale non è imputabile per omofobia. E se l’Italia deve ancora compiere il necessario step della tutela, molti tra i principali paesi europei hanno già provveduto a legiferare sui diritti delle persone lgbt+, migliorandone la qualità della vita. In Francia è a partire dal 2003 che lo Stato ha iniziato ad emendare gli articoli del Codice penale al fine di punire l’omofobia, riconoscendola come reato ed estendendo successivamente le aggravanti anche alle discriminazioni fondate sull’orientamento sessuale. Ma un vero passo avanti è avvenuto nel 2012, quando il governo francese ha aggiunto alla lista dei reati anche le discriminazioni fondate sull’identità sessuale, rendendo il Paese, ad oggi, tra i più attenti alla tutela lgbt+. Anche la Germania può dirsi avanti in materia di diritti: pur non avendo norme esplicite che assumano l’omofobia come reato, all’interno del Codice penale sono previste diverse sanzioni contro coloro che discriminano in ragione dell’orientamento sessuale. Nemmeno il Regno Unito è dotato esplicitamente della definizione di omofobia nei testi legislativi, ma le discriminazioni per motivi basati su religione, etnia e orientamento sessuale hanno rilevanza penale (hate crimes). In ogni caso, il Regno Unito ha cominciato ad occuparsi giuridicamente di queste cause a partire dal 2003, esattamente come la Francia. In Spagna, invece, l’ordinamento legislativo contiene esplicite norme relative alla discriminazione basata sull’orientamento sessuale, le quali specificano che il movente omofobico è causa di aggravante, mentre la Norvegia si assesta sulle posizioni più avanzate d’Europa: il 14 novembre 2020, infatti, il Parlamento ha approvato gli emendamenti alla legge contro l’incitamento all’odio, che già nel 1981 includevano l’orientamento sessuale di gay e lesbiche e che oggi estendono la fattispecie alle persone bisessuali e transessuali. 

Tutti e cinque i Paesi si trovano in una posizione migliore rispetto all’Italia Rainbow Europe Map 2021, con la Norvegia in cima alla classifica. 

 

I partiti italiani sulla legge Zan

Se l’Italia in Europa si assesta su posizioni tendenzialmente rigide e tradizionaliste, poco inclini all’apertura verso i diritti delle comunità lgbt+, la storia non cambia molto nel caleidoscopio partitico del Paese. Se la maggioranza del Pd (ma non tutto) ha sottoscritto e appoggiato la proposta di legge Zan, assieme ad una buona parte del Movimento 5 stelle che si definisce “orgoglioso” del disegno di legge (ddl), l’opposizione ha fatto muro sfiduciandola e criticandola aspramente.

Primi fra tutti i deputati di Fratelli d’Italia che, il giorno del voto nell’aula della Camera, si sono imbavagliati i volti in segno di protesta, urlando “libertà, libertà”. Una degna rappresentazione di performing art se non fosse stato che, ad accompagnare la scena visiva che ha impedito lo svolgimento dei lavori, si levavano dai banchi voci aggressive di sdegno verso i promotori della legge “liberticida”, come è stata definita dalla senatrice Rauti. La capogruppo Meloni, invece, aveva bersagliato sui social Pd e M5S interrogandosi sul bisogno di una legge a tutela delle persone lgbt+ in un momento in cui l’unica priorità del Governo sarebbero dovuti essere lavoratori e studenti, piegati dall’emergenza pandemica.
Fronte comune con FdI, Forza Italia e in particolare Lega. Matteo Salvini si pronuncia nel suo stile, ribaltando la situazione e vittimizzando la famiglia tradizionale e ‘naturale’. Riferendosi all’articolo 604 bis del codice penale, su cui la legge Zan interviene prevedendo l’aumento del carcere da uno a quattro anni in caso di istigazione alla violenza omotransfobica, l’ex ministro si dice contrario al carcere “per chi dice che i bambini hanno bisogno di una mamma e di un papà”. L’omogenitorialità è inconcepibile perché vista come un vezzo, un egoismo dell’adulto che vuole a tutti i costi ‘farsi genitore’ a scapito del bambino.  

La legge Zan – cercata di ostacolare dalla cosiddetta ‘eccezione di costituzionalità’, tecnica parlamentare utilizzata dall’opposizione per bloccare temporaneamente l’approvazione delle leggi – concretizza dunque alcuni dei timori atavici del centrodestra, come ad esempio la convinzione che conferendo diritti a determinati soggetti si tolgano automaticamente diritti ad altri. Che istituendo una Giornata nazionale contro l’omotransfobia si istighi all’omosessualità, che la libertà di dissentire e non accettare l’omosessualità possa essere ostacolata.
Tuttavia, sebbene la politica italiana sia solita suddividere temi, lotte e battaglie tra quelle che sono ideologicamente di destra e di sinistra, non manca di assestarsi spesso su idee solo apparentemente diverse ma – nella sostanza – molto simili. «Non sono unicamente i partiti di destra ad aver definito il ddl “liberticida”», spiega Marrazzo nell’intervista. «Alcuni esponenti stessi del PD e del M5S lo hanno fatto, e la cosiddetta “norma salva idee” è stata voluta su proposta di Alessandro Zan e del suo Pd, con i voti del M5S che si è aggregato». Eppure questa norma, dice l’attivista del Partito Gay, non fa che aggravare il paradosso: tutelare i soggetti vulnerabili lgbt+ ma accettare che si discrimino in nome della libertà di opinione. 

 

Stato, Chiesa e lgbt+

Un nodo cruciale è quello dell’intreccio tra Stato e Chiesa. Il dibattito sull’ingerenza clericale nelle questioni politiche ha oscillato negli anni a seconda dell’evidenza; i movimenti cattolici – tra cui Comunione e liberazione, a cui fanno riferimento numerosi esponenti del Governo tra cui la ministra della Giustizia Cartabia, la ministra dell’Università Messa, le ministre Gelmini e Carfagna, i ministri Giorgetti e Giovannini – hanno fortemente influenzato le opinioni della società e della politica in merito alle tematiche dei diritti fondamentali dell’individuo. 

Tuttavia, il rapporto tra le due principali istituzioni non è sempre lineare. Ciò che non è chiaro, infatti, è perché la politica oscilli tra il non considerare affatto le posizioni del Vaticano, e utilizzarle in altri casi in modo strumentale. Forse la risposta, dice il portavoce Marrazzo, «riguarda i sondaggi: essi dimostrano che a livello mondiale esiste un residuo del 15% di persone omofobe, e in Italia tale percentuale aumenta al 25%. Ciò significa che la politica pensa che esista un elettorato del 25% – distribuito da destra a sinistra – fortemente contrario ai nostri diritti. È lecito che la Chiesa abbia una sua linea di pensiero ben definita in materia lgbt+, ma al tempo stesso lo Stato deve garantire un approccio laico al tema come previsto dalla nostra Costituzione. La politica, in sostanza, deve smettere di utilizzare la Chiesa come schermo».

Dal Vaticano la proposta del dem Zan approvata alla Camera non è stata accolta favorevolmente. Nonostante la lotta all’omofobia sia stata intrapresa anche dalla Chiesa, sotto la spinta di Papa Francesco, l’ideologia alla base del ddl non è ancora condivisibile: ciò che si rischia, dicono, è che si abitui a credere che la famiglia e l’unione tra uomo e donna sia solo un costrutto societario (eppure, se fosse questo il messaggio a passare, si potrebbe dire di aver fatto centro). Infine, sebbene dopo anni la chiesa cattolica abbia accolto gli individui lgbt+, la loro unione non può ancora essere benedetta: questo è quanto comunicato pochi giorni fa da una bolla del Sant’Uffizio. Molti, stampa compresa, hanno interpretato il responsum come un dietrofront da parte del Papa, il quale aveva fatto intendere la sua apertura sulle unioni civili. «Per me non è dietrofront quanto piuttosto strategia – dice Marrazzo – Il Papa fa la chiesa, mentre lo Stato (che è laico) deve riconoscere i diritti egualmente per tutti senza accusare il Vaticano di non concederli. Nulla di nuovo, quindi». 

 

Ripartire dall’Abc

È chiaro, dunque, come l’Italia si posizioni tra gli ultimi paesi europei in materia di diritti lgbt+ e tra i primi – secondo uno studio condotto dall’Agenzia dell’Ue per i diritti fondamentali – per tasso di discriminazione, fissato al 19%. Un Paese che, a distanza di circa trent’anni dall’inizio del dibattito nelle aule di Governo, ancora non riesce a dotarsi di una legge contro l’omotransfobia a causa delle resistenze di una classe politica decisamente non più al passo con la società che rappresenta. Fabrizio Marrazzo conclude in modo semplice: «noi lgbt+ siamo una parte consistente della popolazione ma abbiamo lo 0% dei diritti. Ripartiamo allora dall’Abc, ricominciamo da capo da un concetto di equità». 

 

Articolo di Francesca Asia Cinone, Costanza Ibba