L’esodo
Ep. 3

di Adriano Bordoni

14/08/2020

 

Tornato in hotel non ho avuto troppi problemi ad addormentarmi. L’alzata alle quattro, la mattina prima, ha avuto il sopravvento sulla voglia di sbattere Bruno faccia al muro e sul pensiero di tutto quello che avrei dovuto sorbirmi nei giorni successivi. 

 

Mi sono svegliato alle tre con la guancia affondata nella mia bava sul cuscino. M’ero sognato Bruno che ammazzava di botte il ragazzino tedesco della finale dei mondiali del 2014, solo che quello aveva la faccia di mio padre nelle sue foto da giovane. 

A parte l’interpretazione psicoanalitica del tutto, che certo esisteva su qualche forum cabalistico perso nel gran mare di internet, la certezza più importante era quella di non riuscire a riprendere sonno. E che in questo c’entrava Bruno.

Dato che dormire bene è l’unica cosa alla quale tenga davvero, e che il pensiero di Bruno mi impediva di farlo, ho deciso che avrei dovuto sbloccare subito la situazione con lui. In fondo quando avevo accettato di accompagnarlo sapevo che cercava di trascinarmi a Berlino solo perché non gli era rimasto nessun altro. Un presupposto disperato, con cui era ovvio aspettarsi scene come quella con le due ciccione della sera prima. 

Poi sicuramente Bruno s’era comportato da stronzo: l’avrebbe capito a breve, ammesso non l’avesse già fatto. Conoscendolo non m’avrebbe chiesto scusa con semplicità, ma stava bene pure questo: tra noi due l’unico che ostentava maturità ero io. 

Hai voluto la bicicletta? 

Ho cominciato a pensare ad un messaggio che assomigliasse ad un’apertura verso Bruno mentre cercavo a luci spente la porta del bagno. 

Pelle nuda sulla tavoletta del cesso, il gelo m’ha aperto gli occhi con prepotenza. Pisciavo seduto in un’oscurità cieca, infranta da un solo filo di luce gialla che passava sotto la porta della stanza, e interrotto a metà dall’ombra di un rilievo sul pavimento. 

Ho indovinato l’interruttore della luce, e con la luce accesa ho decifrato sulla moquette la figura di un cartoncino. Gli ho mosso contro senza nemmeno riconfezionare le appendici nelle mutande, strascicando i piedi e gocciando in terra qualche lacrima d’urina. 

Era una cartolina della porta di Brandeburgo nel giorno della caduta del muro di Berlino, pieno di gente. 

L’ho girata. 

“Ho esagerato, pure se tu rimani una merda. Io t’avrei aiutato se ti fosse piaciuto un Ugo di qua. Ci vediamo a colazione.”

Ho rigirato il cartoncino tra le mani. Dove cazzo l’avesse trovata una cartolina del genere in piena notte l’avrei voluto capire; intanto il mio messaggio non serviva più. 

Era la terza volta che Bruno mi sorprendeva in 24 ore. 

Sono tornato a letto, ho girato il cuscino e mi sono addormentato subito. 

 

La mattina successiva, ho trovato Bruno dietro una piccola muraglia di cibo e piatti da buffet. Abbiamo contrattato un itinerario separati da quel vallo: più ci avvicinavamo ad una soluzione, più Bruno allargava il valico.

Svuotato l’ultimo bicchiere d’aranciata, eravamo pronti a raggiungere il muro di Berlino. 

È stata una giornata piacevole. Un’epopea di cinquanta foto consegnate in otto post tra le braccia del profilo Instagram di Bruno, un account cognome-nome-data-di-nascita (modificata) nato con malagrazia naturale a febbraio di tre anni fa. Pregevolissimo volume illustrato dei traumi tecnologici della generazione X. Bruno ci pubblica sopra gli screenshot non ritagliati che fa a tutti i meme delle pagine ultras laziali che riesce a trovare in giro per il web, foto di donne succinte su moto tirate a lucido e qualche video MadLiptz fagocitato da autori terzi. 

Lui compare solamente in una foto al mare, spiaggiato su un materassino allo stremo delle forze, e assieme a me a Berlino; magari non sono belle foto, ma di certo sono le cose migliori che si possano trovare tra i suoi reperti. 

 

Per cena, Bruno ci ha tenuto ad onorare il suo debito davanti al primo kebabbaro trovato sul tragitto di ritorno. Sapeva lui cosa metterci dentro, così m’ha lasciato fuori a far da guardia alle bici mentre si rimboccava le maniche e varcava la soglia. 

Vista dall’esterno, era la scena di un film: un pelato ed irriconoscibile Stefano Fresi nel ruolo commovente di un foodblogger alla ricerca dei gusti più estremi in un viaggio on the road attraverso l’europa del nord; non riuscirà a trovare nuove ricette, ma il vero amore, quello sì. 

Una sceneggiatura già scritta.

Bruno è tornato sorridente e con le mani unte. Prima di passarmi il kebab ha tirato fuori dalla tracolla due fiale di enterogermina.

«Manda giù, manda giù, che forse domani riesci a caga’ qualcosa di solido, qua abbiamo beccato il principe della salmonella… So’ esperienze, André, è tutta vita…»

Ho sorriso a quel cilindro bitorzoluto di carne e spezie, salse e cipolle, e ho mandato giù un morso senza farmi problemi. Bruno m’ha guardato con orgoglio.

«Carne di mangusta, però è buono, sai? Ah, domani piove, almeno così m’ha detto il negro là dentro…»

 

Il negro aveva ragione. 

Per tutta la mattinata successiva, il mondo di là dalle finestre è esistito solo come una macchia grigia e gonfia di umidità. Bruno ne ha preso atto con stoicismo: s’è riportato dalla colazione un fagotto di cibo in camera e poi m’ha chiamato da lui a connettergli il cellulare alla TV. 

M’ha tenuto un’infinità di tempo a capire quale film potesse vedersi, e trenta proposte di titoli più tardi m’ha liquidato con la decisione di vedersi Il ritorno del re. Per la quarta volta. 

Gli ho fatto compagnia fino allo sbarco dell’esercito dei morti; là ho capito che quel film lo sapevo ancora troppo a memoria per sopportarne un’altra ora e mezza. Sono scivolato via dal letto sulle scaglie di un toast, e prima che uscissi dalla camera Bruno m’ha fatto un segno dalla penombra. 

«Capisci che se potemo magna’, per favore».

 

Verso le quattro la pioggia è diminuita, e Bruno s’è smosso dalla digestione dei tacos che gli avevo recuperato su Uber Eats per venirmi a cercare. M’ha trovato nella hall e m’ha proposto di uscire: mica mi pagava per non fare niente tutto il giorno. 

Aveva persino un piano: un’escursione a Berlino est. 

M’ha raccontato ridendo che a motivarlo nel suo concepimento era stata la frustrazione per il tentativo fallito di trasmettere un porno in streaming sulla TV. Mentre la condivisione dello schermo moriva ed il sangue cominciava a tuffarsi via dal suo pene nelle gambe, e Bruno ha pensato di consolarsi con l’alcol. Aveva trovato qualcosa su Berlino est cercando su Google. 

Posti per bere a Berlino, o giù di lì.

Per me andava bene, così Bruno m’ha mandato a contrattare un prezzo di favore per le biciclette e ci siamo messi in strada. 

Fuori, calma piatta e una pioggia fina.

La quiete è durata per meno di un chilometro, poi il cielo s’è deciso a crollarci addosso con ancora più violenza della mattina. 

Ci siamo rifugiati sotto un ponte di ferro. Il mondo esterno era di nuovo scomparso dietro una coltre d’acqua, e ci ricordava della sua esistenza solo ogni tanto, col passaggio di qualche convoglio sopra le nostre teste.

Isolato dal suo adipe sovrabbondante e da una sciarpa della dimensione di una tenda, Bruno stava poggiato contro la trave più esterna di quel ponte, sguardo fisso nell’ignoto e ritto come un palo contro quel cielo gonfio di nubi. L’ho lasciato là a vigilare sul nulla che avanzava, e mi sono rannicchiato gelato sulla bici guardando in terra ai rivoli dell’acqua.

Dopo dieci minuti, la cascata ha cominciato a scemare. 

Ho sentito Bruno che ridacchiava.

«Toh, ‘na puttana…»

«Che vuoi?»

«Guarda là, la vedi la tettoia? Sotto ci sta una mignotta».

Ho frugato con gli occhi nell’aria rischiarata, cercando sotto la tettoia i segni di una puttana da strada consolare: carne esposta, tacchi e via dicendo. C’era solo una ragazza zainetto nero su felpa grigia, leggins scuri e stivaletti. 

«Una puttana…»

«Eh, André, ‘na puttana, sì. Ce stanno ancora, pensa un po’».

«Cazzo Bru’, è davvero la mignotta più furba che mi sia mai capitato di incontrare. Praticamente che sta’ a batte l’avete capito solo te e lei, e gli altri le si avvicinano per chiedere l’ora. Chissà quanto alza in una sera…»

«André, è una puttana, poi fai te. Anzi, non fa un cazzo, statte qua. Io vado là a chiederglielo, e se è ‘na puttana, dato che me pare ‘na fregna e io c’ho ancora voglia de svuotamme le palle, poi me la vado pure a tromba’ da qualche parte, e co’ te se rivedemo a cena».

«Faccio il tifo per te».

Bruno m’ha dato un buffetto e s’è girato verso la puttana, ha preso la bicicletta per il manubrio, s’è coperto la testa con la sciarpa e ha accennato una corsa ciondolante verso la tettoia, sguazzando i piedi nelle pozzanghere. 

A mignotte in bicicletta, mens sana in corpore sano. Tempi maturi per rifondare i principi del turismo sessuale.

 

Fosse una mignotta o meno, Bruno è rimasto a parlare con lei per una decina di minuti. Dialogo onesto con le lavoratrici del settore: altro principio da aggiungere al nuovo decalogo del viaggiatore sessuale equo e solidale. 

Avevo già dato per fatto l’accordo, e invece Bruno l’ha salutata con una stretta di mano, tornando da me nello stesso modo in cui era venuto da lei. 

Sulla faccia aveva tirata una smorfia.

«Non lo so perché non m’è venuto in mente di scommetterci sopra, sai?»

«Perché me dovresti ‘na cifra de soldi, bello de zio, ecco perché».

«Sì, perché era una puttana, e infatti ora vi state accoppiando in un cespuglio…».

«André era una puttana, e parla pure un po’ di inglese tante volte glielo vuoi anda’ a chiede pure tu».

«Va bene, e cosa ti saresti detto per quindici minuti con una puttana, dato che c’avevi tutta ‘sta voglia di svuotatte le palle?»

«M’ha parlato di lei. È kazaka, è una puttana, è cristiana e a casa c’ha pure un fidanzato. Sta qua pe’ fa i soldi e torna’ a casa a sposasse».

«Madonna che cazzate Bruno…». 

«E mica è finita. Questa è cattolica, e praticamente vuole arriva’ pura al matrimonio. Però fa’ la mignotta, e quindi?»

«E quindi lo piglia al culo, che cazzo ne so…»

«Bravo André! Questa lo piglia solo al culo. Al culo e basta…» 

Stava per aggiungere altro, ma gli è preso a ridere come un coglione.

«E dato che tu aborri il sesso anale è andato tutto in vacca, giusto?»

«Io non aborro un cazzo. È andato tutto in vacca perché tuo zio è un romantico, gli piace il gusto della conquista, c’ha progetti più importanti e sa che ad andá a mignotte so’ capaci tutti». 

«I progetti più importanti poi me li racconti…»

«Te li faccio addirittura vede’, guarda».

Ha tirato fuori il cellulare da una tasca e ha preso a frugare tra le applicazioni. L’ha girato verso di me scorrendo veloce col dito sullo schermo di una chat. Non c’ho capito nulla di quello che sfilava sotto, scritto in tedesco e velocissimo a scomparire. 

Ho aggrottato la fronte, e Bruno ha fatto la faccia di uno costretto a spiegare cosa sia l’acqua calda. Ha ripreso il cellulare in mano, ha dato due tocchi e m’ha restituito lo schermo con la faccia di una donna truccatissima e con le tette che quasi venivano fuori dal corsetto. 

«Che sarebbe, un sito di incontri?»

«Lei sarebbe Agnes, e il sito è pe’ scopa’, almeno se piaci abbastanza alle donne, non pe’ incontrasse».

«E tu piaci un sacco, Bru…»

«A te che sei finocchio no, a Agnes un botto, e infatti m’ha invitato da lei, e io mesà proprio che ce vado». 

«Ed in quale sobborgo di Berlino abita questa?»

«Ad Amburgo». 

L’ho fissato un secondo. 

«Ad Amburgo…»

«Eh, ad Amburgo. So’ due ore de treno: parto domattina, chiacchiero un po’, trombo parecchio, e ‘a sera torno qua. Oppure il giorno dopo, dipende sempre da quanto trombo».

«Ma sei serio?»

«André, l’hai mai sentito il richiamo dell’avventura tu? Che poi dico: rimani qua pe’ cazzi tua, te puoi vede’ tutte le le poesie e i musei e i pischelli tedeschi che te pare, e io vado a tromba’ e torno. A me me pare n’affare, dimme te…»

«A me basta che torni in tempo per il volo e che non vieni a piangere da me se finisco da un travello, poi puoi fare quel che vuoi».

M’ha stretto la spalla e ha guardato fuori alla pioggia, diminuita di nuovo.

«Daje bello de zio, daje. Mo’ annamosene da qua che t’offro ‘n’acqua minerale».

S’è ricoperto la testa con la sciarpa ed è salito in sella alla bici. È sparito sotto l’acqua fischiettando allegro, senza aspettarmi.

 

Siamo tornati in hotel che eravamo quasi da buttare. Sulla strada di ritorno, tra alcol, pozzanghere e paletti, Bruno è pure caduto: un po’ di sangue, diecimila bestemmie, ginocchia sbucciate e pantaloni da buttare.  

M’ha salutato davanti alla mia camera, ci saremmo visti la sera successiva, o il giorno dopo ancora, dipendeva

L’ho guardato girare l’angolo e sono entrato in stanza. Quando mi sono messo a letto, le pareti ancora s’inseguivano in un girotondo. 

Ho pensato a Bruno, che stava peggio di me e s’era pure aperto un ginocchio. La mattina dopo l’avrei trovato a fare colazione nel bar all’angolo della strada, svegliatosi troppo tardi per la colazione in hotel. Quando mai avrebbe trovato la forza di partire. 

 

Alle undici meno dieci la sveglia m’ha piantato un paletto acuminato in testa. Sono andato fino al bagno a bere, e sotto la porta della stanza ho trovato un nuovo fagotto. 

Ottanta euro in una busta con l’augurio di divertirmi. 

Era solo un prestito, ché Bruno non sapeva se avessi denaro a sufficienza per vivere senza di lui. A Roma li voleva indietro. 

Ho attivato il Wi-Fi: alle nove e cinquantasette m’era arrivato il selfie di Bruno seduto accanto ad un finestrino affacciato sulla nebbia. 

Occhiaie profonde sotto le lenti da sole e pelle giallognola. 

Era partito davvero. 

 

Articolo di Adriano Bordoni