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Llaika: un viaggio post covid tra i luoghi della cultura indipendente – quarta tappa
Che Ci Fanno Tanto Divertire è il primo progetto del collettivo Llaika.
Barbara, di antica stirpe nomade, ora raccoglie funfacts delle sue avventure calabresi. Esther, spesso pizzicata a indossare cappelli a cilindro dopo essersi imbucata a festini a tema. Katerina, compositrice di suoni loopsonici e principale acquirente mondiale di gallette di riso. All’attivo, solo inesperienza punk e fanatismo astrologico. Questo è Llaika.
Per la sezione online di Scomodo, Llaika scriverà una serie di racconti a tre mani che riporteranno, oltre alle parole degli intervistati, le impressioni, gli stimoli e gli imprevisti di un viaggio improvvisato, nato dal desiderio di testimoniare le possibilità della cultura come pubblica risorsa fuori dal mercato dell’intrattenimento. Un’indagine territoriale sugli adeguamenti attuati dalle lavoratrici e dai lavoratori della cultura e dello spettacolo durante l’emergenza Covid19 che assume la forma di un viaggio in automobile a tappe iniziato da Venezia e terminato a Catania, alla ricerca di librerie, spazi espositivi, realtà musicali, performative e luoghi di produzione artistica.
Due erano le cose chiare: la durata massima del viaggio doveva essere di trenta giorni, il documentario e i racconti scaturiti dal viaggio avrebbero dovuto seguire un percorso non geografico ma tematico. E’ secondo questo principio che spazio per spazio abbiamo disegnato la nostra traiettoria.
Quarta tappa: Luoghi di partecipazione culturale.
Il 3 dicembre 2020 esce il nuovo DPCM previsto dal governo per le vacanze di Natale, il decreto “salva feste”, che si prospetta terminare dopo il 7 gennaio. Come già abbiamo raccontato nel secondo articolo del nostro viaggio (link), la natura comunitaria della fruizione della musica dal vivo affronta in questo periodo difficoltà evidenti, molto simili a quelle che hanno affrontato e stanno affrontando i luoghi della cultura e dello spettacolo. Ma ancora una volta dall’inizio di quest’anno le normative sembrano dimenticarsene, infatti la riapertura (sia in zona arancione che rossa) di centri culturali, cinema, discoteche, teatri, palestre e musei, continua ad essere rimandata – e probabilmente non se ne riparlerà fino a primavera. È così che i piccoli luoghi di sperimentazione musicale e culturale rimango nuovamente tra i più colpiti dalle misure anti-covid. La limitazione del pubblico, e l’impossibilità di creare assembramento penalizza non solo gli incassi, e quindi la possibilità di pagare gli artisti, ma anche la messa in sicurezza stessa degli spazi e tutto quello che ha a che fare con la sanificazione degli ambienti. D’altronde così come nel contesto dello spettacolo dal vivo la soluzione non può essere lo streaming, anche nell’ambito della partecipazione musicale si sente la mancanza di poli di riferimento, soprattutto nel bisogno, sentito, di portare la musica fuori dai binari istituzionali.
La domanda è sempre la stessa: qual è – anzi quale vorremmo fosse – il ruolo della cultura indipendente in Italia? Peschiamo tre carte. La torre rovesciata, il giudizio, la temperanza: Rottura della stabilità, rinascita, trasformazione e riconciliazione. La nostra lettura dei tarocchi sembra darci segnali più attendibili delle previsioni del governo per il 2021. Non è scaramanzia; probabilmente i dpcm li scrivono così…
– Ho solo del pomodoro…e delle birre. Parmigiano lo mangiate?-.
Siamo tutti in post sbronza, quindi molto inclini ad accontentarci. Pastasciutta capitolina di una domenica di fine giugno, siamo ospiti di Nicola Compagno, che ci ha invitate a pranzo per raccontarci della storica occupazione romana del Nuovo Cinema Palazzo. Brindiamo alla cultura indipendente e allo spazio, che da marzo è rimasto chiuso e ora è pure senza luce, in seguito ad una violenta effrazione di alcuni vigilantes mandati dai proprietari della struttura: immobiliaristi e palazzinari della famiglia Paoletti, gli stessi che, nove anni fa, volevano trasformare il Cinema nell’ennesimo casinò. ‘In un quartiere già a pezzi, con grossi problemi sociali, si è deciso di non faglielo fà sto casinò’ – ci racconta Nicola. Prima c’è stata una grossa assemblea, tra centri sociali, lavoratrici e lavoratori dello spettacolo e gente del quartiere, poi nel corso del tempo è nato un vero e proprio collettivo, le persone hanno iniziato ad avvicinarsi – ci spiega Nicola. In questi anni il Nuovo Cinema Palazzo si è radicato nel territorio, realizzando numerosissimi eventi che hanno coinvolto artisti locali e internazionali tanto quanto gli studenti e la comunità del quartiere di San Lorenzo: dai concerti, le residenze artistiche e il cinema sociale, alla squadra di calcio popolare giovanile che poi è diventata una polisportiva. L’occupazione, oltre ad essere un modello riconosciuto di autogestione culturale dal basso, è diventato un punto di riferimento e un sostegno sociale e politico per il quartiere, contribuendo anche a rendere le strade più sicure. “Poi siamo dietro la caserma dei carabinieri, gli facciamo i concerti in ufficio praticamente. Non abbiamo un dialogo con loro ma non abbiamo nemmeno mai avuto problemi perché per loro è un presidio importante che sgrava tutti, sgrava il municipio dal pensare che so, un teatro per i bambini a due euro? Che fai a fà tanto ci pensa il Cinema Palazzo”.
Nicola del Nuovo Cinema Palazzo
Sono tanti i piccoli spazi di ricerca musicale e culturale che, penalizzati dalle misure anti-assembramento, non saranno più in grado di pagare gli artisti o offrire eventi a prezzi accessibili, e durante il lockdown i collettivi che gestiscono il Cinema hanno iniziato a ragionare sulle condizioni minime di sostenibilità per la sua riapertura. I più vicini sono passati a controllare le condizioni dello stabile, a curare il giardino e gli alberi che sono cresciuti lì davanti, un fico e un tiglio, gli stessi che qualcuno ha denunciato perchè ‘occupano’ nove posti auto a pagamento (post scriptum: il 10 ottobre sono stati abbattuti dal comune). Malgrado queste continue ritorsioni probabilmente derivate dal conflitto con i proprietari, c’è una trattativa aperta con la regione per rendere il posto pubblico. Nicola ci assicura però che è difficile ragionare sugli spazi sociali con un comune ottuso che, solo per fare un esempio recente, sgombera casa pound perché è abusiva e non perché è fascista. “Siamo tutti abusivi, questa mossa rischia di danneggiarci tutti.”
Rinvigorite dal pranzo ci rimettiamo alla guida per affrontare l’ennesimo slalom nel traffico romano. Estraggo distrattamente dal mazzo la carta dell’impiccato. Uno strano presagio ci accompagna, ma non sembra avere a che fare con tamponamenti stradali e parcheggi in doppia fila.
Raggiungendo Parco San Sebastiano a Roma a bordo della nostra astro-fiat gialla, ci addentriamo attraverso l’ingresso secondario di una bocciofila vuota, quella del laboratorio sperimentale romano Angelo Mai. È la sera della riapertura, all’entrata ci attendono gel igienizzante, un dj-set e Camila, la nostra intervistata, che ci accoglie offrendoci un giro di birre.
Secondo l’ISTAT, una persona con un reddito mensile al di sotto degli 800 euro è considerata povera. Chi, fra le lavoratrici e i lavoratori dello spettacolo, ha potuto accedere ad una forma di ammortizzazione sociale durante il primo lockdown, ha visto una cifra che si aggira intorno ai 600 euro al mese. Questo – ci dice Camila, – fa parte di un programma politico molto chiaro: la cultura non è un vero mestiere, e chi si ostina a considerarla tale verrà mantenuto al di sotto della soglia di povertà.
È per questo motivo che il collettivo ha deciso di rinunciare ad una programmazione artistica in streaming, dedicandosi invece ad attività sociali. In collaborazione con gli altri circoli Arci della città, sono stati organizzati sportelli psicologici, video tutorial di esperti di diversi settori, come le CLAP, Camere del Lavoro Autonomo e Precario che hanno spiegato quali sostegni economici richiedere, entro che giorno e con che modalità. L’avvocato Arturo Salerni ha raccontato come l’ondata Covid ha avuto un impatto disastroso sui migranti accolti nei centri di accoglienza, fra cui nello specifico, il Baobab Experience, a cui l’Angelo Mai ha offerto assistenza, usando i suoi spazi come luoghi dove poter preparare pasti caldi.
Hanno inoltre sfruttato il tempo a disposizione per creare una rete fra i centri culturali indipendenti di Roma e discutere delle problematiche legate all’ endemica precarietà delle professionalità del mondo dello spettacolo, in particolar modo all’interno dei teatri. Le proposte che sono emerse da questi incontri riguardano la creazione di un sistema di regole, sia di sicurezza che fiscale, che sia cucito sul sistema spettacolo, tramite l’instaurazione di un reddito di continuità che vada a coprire anche i periodi di non lavoro e che ostacoli le retribuzioni a nero.
Camilla dell’Angelo Mai
Prima di prendere la superstrada ci fermiamo all’ultimo distributore di benzina utile, leggo distrattamente le carte sul sedile posteriore della macchina, seminascosto tra gallette di riso, pentole e cartabellame vario. Il muso serio della giustizia sembra guardarmi con superiorità.
Passiamo all’ombra di alte mura, alle spalle di Piazza Dante, attraversando viuzze strette con saliscendi tipici del centro storico napoletano. Ci troviamo nei pressi di Salita Pontecorvo, di fronte all’ex-carcere minorile Filangieri, un edificio mastodontico che dalla sua occupazione nel 2015, prende il nome di Scugnizzo Liberato. Un grosso portone di legno con un catenaccio ci sbarra l’ingresso, lateralmente un’insegna con logo, un ragazzo calcia la palla che lo incatena. Uno scugnizzo del quartiere ci passa accanto in motorino, ci fissa, e con un gesto improvviso fa l’impennata.
Ci accoglie Giulia del collettivo NaDir, e ci perdiamo nei racconti di come l’edificio da palazzo nobiliare del ‘500 divenne carcere minorile, raccogliendo storie di fughe finite tragicamente, ma anche di riscatti e riqualifiche. Proprio per questo il contatto con gli “scugnizzi” è così importante per lo spazio, “è la storia dell’edificio che lo richiede, se ci fossimo fatti gli affari nostri come collettivo, non saremmo durati un mese”. Grazie anche al loro intervento lo Scugnizzo è diventato negli anni un’istituzione: è uno spazio con un teatro dignitoso, dove si possono portare artisti internazionali e dove molti ragazzi hanno mosso i loro primi passi verso la produzione musicale. Alcuni di loro poi sono rimasti ed è così che si è creata la comunità attorno.
I ragazzi dello ScugnizzoLiberato
Durante l’emergenza le consegne dei pasti ai senzatetto e le sanificazioni degli spazi si sono coordinate con altre reti che esistono sul territorio, con cui c’è più o meno congiunzione sui temi. È la filosofia degli spazi liberati a Napoli: si è aperto negli anni un dialogo con le autorità che ha permesso, attraverso l’utilizzo di assemblee, di essere i responsabili legali dello spazio e soprattutto riconosciuti dal comune. Questo dà il nome Liberato e permette al collettivo e ad altri di organizzare attività al suo interno, senza paura dello sgombero. “Ci mancherebbe che dicessero andatevene e lasciamolo chiuso per altri vent’anni lo Scugnizzo” commentano, essendo una città con molte mancanze il comune ha fatto la scelta di gestire così la situazione invece che optare per l’opposizione violenta.
Se le incongruenze del sistema economico sono ormai palesi a tutti, il Covid19 è stato un’occasione per avere chiaro il problema, “nel panorama quotidiano siamo costantemente chiusi in cubi domestici e nucleari”, la presenza di uno spazio come lo Scugnizzo, che si occupi di riunire la collettività e di prendersi cura dei corpi non ha motivo di fermarsi.
Il sentimento di rinascita che trasmettono i ragazzi del collettivo ci stampa in viso un sorriso sornione come quello del mago, la prima carta dei tarocchi. A loro si prospetta qualcosa di inaspettato, mentre a noi un lento e straniante ritorno verso casa.
Siamo giunte alla nostra ultima intervista. Siamo a casa, a Venezia, nel caldo afoso di agosto. Katerina cammina incerta mentre cerca di smaltire il sedativo della gastroscopia mattutina, Esther la accompagna tenendola per mano, sulle spalle il peso dell’attrezzatura. Abbandoniamo la laguna in treno per raggiungere Marghera: cuore industriale della provincia, nonché unica meta per chiunque volesse trascorrere una serata ballando e sudando in un aerosol di musica ripetitiva, nella lontana epoca pre-covid.
Aggirarsi per il complesso di edifici del Vega in pieno giorno è sempre piuttosto straniante, essendo abituate ad attraversarlo di notte, quando le uniche luci sono le lampadine dimenticate accese negli uffici dei piani superiori. Superati un paio di sottopassaggi, arriviamo all’ingresso di Argo16 e ci accomodiamo sui familiari divanetti della sala principale, che ci hanno viste così tante volte prima del Covid collassare all’alba con i piedi – e spesso il fegato – in fiamme. Sebbene vuota e illuminata a giorno, la grande sala concerti non perde la sua imponenza, con le alte pareti rivestite di pannelli isolanti neri, i tubi argentati dell’impianto di riscaldamento che pendono dal soffitto, il mega-impianto audio e il mixer luci in bella vista. Scattano i ricordi malinconici del tempo passato qui, dei primi anni di università in cui Argo16 aveva appena aperto e ancora si chiamava Spazio Aereo, delle serate trascorse fra concerti jazz, celebrità della scena elettronica contemporanea – primo fra tutti Jon Hopkins – e concerti di amici prodigiosi, delle mattine in after passate a ripulire l’area insieme e ancora, delle ore di volontariato, del volantinaggio e di quelle volte che Argo16 ci ha offerto i suoi spazi e il suo impianto per le nostre produzioni e sperimentazioni.
Per Argo16 è fondamentale alternare grandi serate di musica più mainstream a concerti con band locali, fino ad arrivare ai corsi di yoga per i lavoratori dell’area. L’intento è di creare una rete culturale tra le associazioni di Venezia e permettere alle persone di incontrarsi, conoscersi, per adempiere alla mancanza di un assessorato alla cultura che promuova politiche giovanili. “Durante il lockdown, quando abbiamo chiuso, eravamo un po’ sgomenti. La nostra realtà era un po’ traballante, un po’ fragile.” ci racconta Francesco Bevilacqua. L’idea di organizzare clubbing online è parsa loro insensata, hanno invece preferito sfruttare il tempo a disposizione come finestra di riassestamento, per ripartire poi con più sicurezza. È stato sfruttato il piano superiore per ospitare workshop di stampa risografica, mentre la sala principale è stata attrezzata come aula studio, offrendo un servizio utile per quella grossa fetta di popolazione studentesca privata di biblioteche, per mesi rimaste chiuse o ad accesso ridotto. Attualmente, non potendo più autofinanziarsi con i concerti, lo spazio sta venendo riadattato in nuova veste di atelier e sala registrazione, per accogliere produzioni musicali e artistiche. Argo16 ha sempre risposto alle esigenze dei suoi fidelizzati frequentatori, prevalentemente studenti e giovani residenti della provincia, in cerca di un luogo di svago e di ritrovo, ma anche di confronto, accogliendo e realizzando proposte culturali, eventi artistici e musicali, residenze teatrali. Per le ragazze e i ragazzi che cercano di avanzare proposte culturali in una città come Venezia, in cui gli spazi sono carenti e monopolizzati dalle grandi istituzioni, questa possibilità vuol dire tanto.
I ragazzi dell’Argo16
Argo16, lo Scugnizzo, Angelo Mai e Nuovo Cinema Palazzo sono solo alcune fra le tante realtà dedicate allo spettacolo e alla musica dal vivo che, malgrado abbiano dovuto interrompere la propria attività remunerativa, non hanno mai smesso di lavorare e lottare per supportare la comunità che prima animava i loro spazi, offrendo sostegno allo studio, organizzando assemblee politiche, attivando reti di mutuo soccorso ed erogando servizi di solidarietà durante la pandemia.
Sono luoghi in cui la cultura è prima di tutto un bene comune è uno strumento di auto governabilità che veicola processi dal basso di sostenibilità economica, inclusività, cura e coesione sociale. Sono ‘luoghi del possibile’, che rispondono alle istanze trasformative del territorio e delle comunità in cui operano, alle esigenze delle nuove soggettività che continuamente si formano e che spesso solo e soprattutto all’interno di queste realtà trovano voce. Sono i nuovi centri culturali, in cui il termine ‘cultura’ non corrisponde solo all’idea di intrattenimento e divertimento diffusa da un pensiero sterile e impopolare – da cui artisti, attivisti e operatori hanno preso distanza – e di cui il ministro Conte si è fatto portavoce. L’agitazione delle realtà culturali socialmente e politicamente impegnate non è dovuta a questioni di orgoglio: è l’ennesimo tentativo di mettere in guardia i consumatori da un pensiero neoliberale a cui fa comodo che la cultura venga dirottata a prodotto ludico, per limitare gli spazi di autonomia e dissenso nell’esercizio della libera – o liberata- democrazia cittadina.
Anche se non ne viene riconosciuto il merito, è proprio da queste realtà, e proprio perché più marginali e indipendenti rispetto alle grandi istituzioni, che si sta muovendo il ‘cambiamento’. Eppure sono sempre più a rischio di scomparire, per mancanza di soldi, ma soprattutto, per gli spazi nati da occupazioni, a causa dei maxi-sgomberi che stanno toccando un po’ tutte le grandi città, da Torino a Bologna a Roma. L’opinione pubblica più conservatrice e la magistratura ne attaccano la presunta illegalità, appellandosi alla legge come fosse uno stato di natura e non l’espressione delle necessità di un popolo – omettendo gli interessi politici ed economici. Eppure chi più di questi spazi raccoglie proprio la voce del popolo? Evidentemente è una falsa retorica quella che vorrebbe la legge uguale per tutti, soprattutto dato che non tutti godono degli stessi privilegi e della stessa rappresentanza governativa davanti alla legge. Bisognerebbe sempre chiedersi a chi è riferito questo ‘tutti’, per capire la necessità di sopravvivenza di luoghi che, attraverso un impegno sociale e culturale, lavorano per l’estensione dei diritti e delle soggettività.
Post scriptum: l’appiccato aveva ragione.
La mattina del 25 novembre il Nuovo Cinema Palazzo è stato sgomberato. Malgrado le trattative per l’acquisizione dello spazio fossero già in corso, La Corte dei Conti ha ceduto alle pressioni e alle minacce della società proprietaria dello stabile, che ha chiesto un risarcimento di 300mila euro. Le opinioni sono nettamente divise e l’appello alla legalità non basta: è un fallimento e soprattutto una perdita enorme per il quartiere di San Lorenzo, a cui ora vengono presentati subdoli progetti di ‘riqualificazione’ che celano – senza nemmeno troppa vergogna, tanto poco è il potere decisionale lasciato ai cittadini – piani di speculazione edilizia e gentrificazione.
C’è da chiedersi se, in corrispondenza di tutti questi sgomberi, il ministero e le amministrazioni pubbliche stiano almeno varando un piano di sostegno alla cultura per le comunità a cui vengono sottratti i beni e i servizi, per garantire un minimo di continuità e non lasciarle in balia di un vuoto di potere.
Ogni vuoto di potere è uno spazio di possibilità e un terreno di contesa su cui intervengono forze contrastanti in continua negoziazione d’interessi. La cultura indipendente vive di poche risorse ma di tanti, tantissimi alleati, sono una piccola percentuale quelli che abbiamo incontrato nel nostro viaggio: la maggior parte devono ancora essere scoperti e sono in continua trasformazione, nascono nuove alleanze, produzioni, spazi sociali clandestini per ogni casinó o museo-vetrina messo in piedi con l’appoggio del comune.
Perché la cultura, in tutte le sue forme, è anarchica come l’Imperatrice dei tarocchi: è la radice dell’abbondanza e della resistenza.
Così la cultura, soprattutto nella sua veste più indipendente, non conosce l’abbandono: continuerà a rigenerarsi e crescere come un’erba spontanea, dentro, fuori, ai margini di ogni vuoto di potere, nei giardini curati e borghesi di chi la strappa via per disprezzo.
#chidisprezzasgombera
Articolo di Collettivo Llaika