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Malta, paradiso perduto
L’isola non è più la cassaforte d’Europa, ma è ancora al centro degli interessi italiani. Fra criminalità organizzata, paradisi fiscali, e alta finanza sporca
Ciò che accade a Malta interessa a tutti. Non tanto per l’associazione visiva agli stereotipati paradisi fiscali americani quanto più per la centralità che l’isola stessa ha rispetto al denaro e ai flussi finanziari esteri. Immersa tra le acque del Mediterraneo, Malta è sempre stata terra contesa da britannici ed europei, fino a quando è riuscita nel 2004 a diventare membro dell’Unione Europea e a godere di alcuni privilegi. Tra questi, però, sono presenti privilegi fiscali tipici non della politica europea ma appartenenti a quel tipo di paradisi tropicali lontani dal nostro immaginario. Società offshore, illeciti finanziari e limitazione della libertà di espressione sono il pane quotidiano dell’arcipelago e, nella sua ambiguità, Malta è diventata una sorta di “terra di mezzo” tra le coste europee e i paradisi fiscali più noti. Non a caso gli italiani, da sempre presenti sull’isola, sono protagonisti dello stesso plot americano, intrecciato però agli interessi criminali delle coste mediterranee. L’isola non è ricca di risorse naturali e l’attrazione di flussi finanziari è diventata una necessità, come spiegano le teorie geopolitiche contemporanee: i piccoli stati sono sensibili a diventare connettori dei flussi transnazionali.
«Per esempio, noi siamo persone reali, proprio come voi»
Prima del 2017, a Malta, vigeva la regola d’oro dell’attività criminale: l’omertà. Dopo l’uccisione di Daphne Caruana Galizia, l’opinione pubblica ha puntato lo sguardo su ciò che sta succedendo nel bel mezzo del Mediterraneo, una situazione che solo la giornalista maltese stava cercando di denunciare. Nonostante la sua voce sia diventata afona, i media internazionali ed il mondo accademico hanno evidenziato i problemi dell’isola rispetto a vari indici nel monitoraggio europeo sul pluralismo dei media. Non a caso, i due partiti politici maltesi che si sfidano a colpi di scandali gestiscono il mercato dei mass media nel Paese (da un lato, il partito Nazionalista con Net TV e dall’altro ONE, affiliato al partito Laburista) contribuendo alla ridefinizione del lavoro giornalistico e veicolando il processo informativo in direzioni predefinite. Caruana Galizia, ad esempio, lo sapeva bene: «c’è del malaffare ovunque si possa guardare. La situazione è disperata», scriveva sul proprio blog il giorno prima di essere uccisa.
L’uccisione di Caruana Galizia può essere considerata il punto di svolta nel riaccendere i riflettori sulle Malta e sulle sue attività, in cui si intrecciano economie extra-legali, corruzione e pratiche clientelari. A tal proposito, il rapporto nazionale dell’Eurobarometro Standard pubblicato nel 2020, evidenzia un forte calo della fiducia dei maltesi nella forza della democrazia, mostrando un 46% di insoddisfazione, a differenza dello stesso Rapporto che nel 2018 presentava un timido 24%. Il sondaggio ha anche rivelato un calo significativo nella percezione della popolazione, con il 58% che giudica la situazione «buona o abbastanza buona», rispetto all’87% nel 2018. In altre parole, se il dilemma dell’economista turco, Dani Rodrik, riguardante il fenomeno della globalizzazione fosse applicato al sistema maltese avremmo tre fattori: la democrazia europea, la libertà di espressione e di stampa e l’integrità economica. Tutte e tre le costanti in un sistema funzionante non si possono avere e la scelta di due fattori determina un tipo ben preciso di sistema economico e politico. Malta, tra i vertici del trilemma, ha scartato sicuramente l’integrità economica, ma anche la solidità della democrazia e della libertà di espressione sembrano oggi vacillare.
La delicata situazione dell’isola, ponte fra l’Europa e i paradisi fiscali oltreoceano, risulta particolarmente evidente dalle complesse reti societarie che si snodano dietro le principali attività maltesi. Scomodo è riuscito a ricostruire la mappa di una di queste reti, a partire da un giornale che sembra essere molto legato all’Italia.
Made in Italy
Dal 2017 il giornale della vasta comunità italofona dell’isola è “Il Corriere di Malta”, un piccolo quotidiano online, fondato per iniziativa di alcuni imprenditori nostrani, che promuove le attività italiane sul territorio. A febbraio 2021 il Corriere è stato candidato al premio “Patrimonio Italiano Award”, «per i servizi svolti a favore degli italiani residenti all’estero». Scavando più a fondo, però, si scopre che questa pressoché anonima attività locale ha una struttura societaria – che tutto è fuorché italiana o maltese – sproporzionata rispetto ai suoi introiti, con ramificazioni che si perdono nei paradisi fiscali più inaccessibili del mondo.
La società proprietaria del “Corriere di Malta” è, stando al sito ufficiale, la Fortissimo, 1.200€ di capitale e profitti nel 2018 poco sopra i 1.600€. Fortissimo è registrata al numero 5 di Saint Mary Street, nella piccola città di Mellieha. Secondo il database dell’International Consortium of Investigative Journalism questo è anche l’indirizzo di una società che fa tax optimization, ovvero aiuta, legalmente, i clienti a pagare tasse effettive pari ad appena il 5% dei guadagni. ICIJ riporta che, allo stesso indirizzo, sarebbero domiciliate altre 25 società, fra cui alcune che si occupano di scommesse online, un settore che attrae molti investitori a Malta ma che è stato spesso al centro di indagini giudiziarie.
Come si apprende dal Malta Business Registry (MBR), i beneficiari finali (cioè coloro che controllano o possiedono un’entità legale) della società che edita il Corriere sono tre. Un primo 25% appartiene a Tommaso d’Alessandro, agente di fumettisti di Chieti, attraverso la Watermark Rights Malta di cui è unico beneficiario, la quale a sua volta fa capo all’omonima Watermark Rights-(SVG), registrata sull’isola caraibica di Saint Vincent e Grenadine. Questo isolotto, secondo Tax Justice Network, ha un indice di vulnerabilità ai flussi finanziari illeciti molto elevato (71/100), superiore anche a quello di paradisi inseriti dall’Ue nella black list dei paesi «non collaborativi» rispetto alle normative fiscali internazionali, come le Seychelles. Saint Vincent ha numerosi vantaggi per chi vuole operare nell’anonimato: una società può essere gestita da qualsiasi altra parte del mondo e, soprattutto, i dettagli degli azionisti e degli amministratori di una compagnia offshore non sono archiviati in alcun registro pubblico. Niente obblighi minimi, nessuna trasparenza e zero tasse.
Il secondo 25% della Fortissimo fa capo al direttore del Corriere, Dario Morgante, fumettista e scrittore. Della stessa quota di azioni è titolare la Time is running out, con sede nell’arcipelago delle Seychelles. Il nome compare nel Registro imprese di Malta, ma non nel Seychelles Business Register, quindi non conosciamo ulteriori dettagli. Rispetto a St. Vincent la sostanza non cambia: le Seychelles sono uno dei paradisi fiscali più ambiti, il registro pubblico non contiene nessun dettaglio dei membri di una società e le compagnie offshore – che anche qui non pagano tasse – non devono presentare neppure il bilancio annuale. Inoltre, questa piccola repubblica insulare ha perso, nel solo 2020, l’equivalente del salario annuale di 10.926 infermieri per illeciti fiscali. Della fantomatica Time is running out sappiamo solo ciò che riporta l’MBR: ha sede sull’isola di Mahé, in Rue de la Perle, 8. Qui sono registrate, secondo il database del ICIJ, almeno altre 116 società. I nomi di alcune di queste compaiono nelle carte dei Panama Papers, lo scandalo che nel 2015 ha travolto personalità politiche di tutto il mondo accusate di aver gestito società offshore. Altre società con sede allo stesso indirizzo sono rimaste invischiate in inchieste per illeciti fiscali, come la compagnia pubblica spagnola Defex che, secondo “El Mundo”, avrebbe «spostato illegalmente fondi in tutto il mondo» pari a 100 milioni di euro. Non c’è alcuna evidenza che Watermark Rights o Time is running out abbiano compiuto illeciti.
Sapere di più sulle società che hanno le due quote di minoranza della Fortissimo è impossibile: proprio a questo servono i paradisi fiscali – che, comunque, non sono illegali, così come non lo è aprirvi una società – a garantire la massima riservatezza. A questo si aggiunge il vantaggio di una gestione che ha come base Malta: l’isola consente l’accesso diretto al mercato europeo e, allo stesso tempo, consente di non finire troppo spesso sotto l’occhio delle autorità fiscali italiane. Nonostante gli sforzi degli ultimi anni, la giurisdizione antiriciclaggio dell’isola è ancora giovane e spesso le richieste di cooperazione in materia di controlli fiscali si incagliano nella reticenza delle autorità. Come conferma a Scomodo una fonte italiana competente che chiede l’anonimato, a Malta sembrerebbe mancare l’interesse a indagare tempestivamente situazioni a rischio illegalità.
La quota di maggioranza restante (50%) di Fortissimo, in apparenza non sembra prendere la via delle isole tropicali: è infatti posseduta da Tyke Holding Limited, di cui beneficia in toto un imprenditore di Ragusa residente a Malta, Germano Arnò. Proprio come Fortissimo, anche Tyke Holding è una specie di scatola vuota: nell’ultimo bilancio disponibile (2016) non ha dichiarato alcun ricavo, ha pagato 0€ di tasse e ha chiuso l’anno con una perdita di 2.363€. Le cifre della gestione del Corriere, insomma, somigliano più a quelle di una piccola azienda appena avviata. Con la differenza che Arnò non è un imprenditore qualunque, così come i collaboratori che ha scelto per gestire le proprie società.
Malta connection
Arnò, infatti, è fondatore e CEO di Em@ney, un istituto di moneta elettronica con sede a Malta, ed è ideatore dell’assegno elettronico. Come si legge su alcuni siti specializzati, i metodi di pagamento Em@ney – che è partner della Federazione Italiana Gioco Poker – sono utilizzati su diversi siti di scommesse online. Lo stesso Arnò sembra essere molto stimato in Italia, e nel 2017 è stato invitato come relatore al convegno «Digitalizzazione, Crescita e Opportunità per il sistema Paese» presso la Camera dei deputati, al quale sono intervenuti diversi onorevoli e senatori. Stando all’ultimo bilancio depositato (2018), Em@ney ha registrato un flusso di cassa netto di quasi 16 milioni di euro, in aumento di otto volte rispetto all’anno precedente.
Secondo l’MBR, azionista al 25% di Em@ney PLC è la Tyke Holding (il cui beneficiario è Arnò) mentre il restante 75% è della maltese Absolute Holding, di cui è beneficiaria al 99% O. M.. Absolute Holding, a sua volta, possiede i due terzi di WPAY S.r.l., una società italiana amministrata da Arnò che si occupa di servizi digitali. Dall’ultimo bilancio nel registro imprese italiano, che risale al 2011, anche WPAY si rivela essere una sorta di società “fantasma”: la voce «Utili dell’esercizio» riporta 0€. Secondo la legge italiana, una società che per cinque anni consecutivi non deposita il bilancio dovrebbe essere sciolta. Nel caso di WPAY ne sono passati il doppio ma la società è ancora attiva. Secondo le carte maltesi, nel 2016 WPAY avrebbe anche beneficiato di transazioni finanziarie per alcune migliaia di euro da parte di Tyke Holding, ma di questo flusso di denaro da Malta verso l’Italia non c’è traccia nei documenti italiani, visto che i bilanci sono vecchi di dieci anni.
Coinvolti nella gestione delle società di Arnò – Tyke e Em@ney – troviamo personalità di primissimo piano del potere maltese. Dalle visure camerali emerge che il segretario è David Gonzi, figlio dell’ex premier maltese, espressione del Partito Nazionalista, Lawrence Gonzi. David Gonzi, di professione avvocato, era stato indagato nel 2015 dalla magistratura italiana dopo che, come riporta il “Times of Malta”, «il suo nome era apparso in diverse società di scommesse presumibilmente gestite dalla ‘ndrangheta». Nell’inchiesta della Procura di Reggio Calabria, il «denaro contante ottenuto con mezzi illegali sarebbe stato riciclato attraverso punti vendita di scommesse “legittimi” in Italia, Malta e altri paesi». Ai tempi dell’inchiesta il figlio dell’ex premier era azionista di una compagnia che forniva – secondo il database ICIJ – servizi fiduciari ad altre 175 società, molte delle quale di gaming e scommesse online. Nel 2017, tuttavia, l’accusa è caduta per insufficienza di prove.
Il revisore dei conti a cui Arnò si è affidato, invece, è Simon Ciantar, un commercialista maltese. Ciantar figura nel registro imprese come azionista di maggioranza di una società di Malta, la Sicilia Holding Limited, il cui direttore e rappresentante legale è Antonino Agatino Epaminonda, gestore di scommesse di Catania arrestato nel giugno 2016 nell’operazione contro il clan mafioso di Giostra. I ventiquattro arrestati, tra cui Epaminonda, erano stati accusati a vario titolo di «associazione di tipo mafioso, concorso esterno in associazione mafiosa, trasferimento fraudolento di valori, estorsione, detenzione illegale di armi, esercizio abusivo di attività di gioco o di scommessa, corse clandestine di cavalli e maltrattamento di animali». Il clan, secondo le accuse, avrebbe costituito un network di imprese che gestivano illegalmente il gioco d’azzardo online. Epaminonda, dopo la revoca della custodia cautelare in carcere, è stato nuovamente indagato nel 2017 per scommesse illegali e rinviato a giudizio nel processo, ancora in corso, iniziato nel 2019. Ma i collegamenti fra Simon Ciantar e l’Italia non finiscono qui: Ciantar, infatti è stato scelto come revisore dei conti di un’altra società di gaming maltese, la LB Group, che in Italia opera col marchio Leaderbet. Secondo quanto riporta “IrpiMedia”, la società è stata citata in varie investigazioni antimafia, e nel 2019 «le autorità italiane hanno arrestato uno dei direttori di Leaderbet, John Calogero Luppino, per associazione mafiosa ed estorsione. Luppino, secondo “Il Fatto Quotidiano”, era stato arrestato perché sarebbe stato «tra i principali finanziatori della latitanza di Matteo Messina Denaro» e la stessa LB Group, scrive OCCRP citando le carte della procura, sarebbe stata direttamente gestita dalla cosca di Mazara del Vallo, città sotto il controllo proprio del Capo dei capi, latitante dal 1993. Né Arnò né Ciantar, è bene specificarlo, hanno qualcosa a che fare con queste vicende, e non risultano aver commesso alcun illecito.
Le dichiarazioni pubbliche di Arnò non mancano di sottolineare l’attenzione di Em@ney nei confronti delle direttive antiriciclaggio, spiegando ciò che offre il proprio servizio di controllo: «La verifica dei clienti non riguarda solo gli aspetti legati alle attività malavitose, come mafia o terrorismo, ma anche attività perfettamente legittime e perfino di prestigio, come la politica attiva». «Il nostro servizio – continua – segnala […] anche chi non è più in politica attiva ma lo è stato in passato e per questo potrebbe ancora esercitare una certa influenza». Eppure, nella gestione delle proprie società – Em@ney compresa – è affiancato da personaggi quantomeno ambigui, come Gonzi e Ciantar.
«Finalmente sparisce il denaro anonimo online» esultava Arnò nel 2017, per l’entrata in vigore della direttiva europea antiriciclaggio. Nessuno mette in dubbio la rigorosità dei controlli che Em@ney effettua, ma è un fatto che Tyke Holding sia schermata da un trust – cioè un fondo con patrimonio autonomo, amministrato da una fiduciaria – che possiede il 100% delle azioni «per conto del beneficiario», ovvero Arnò stesso. Secondo l’Ufficio Informazione Finanziaria di Bankitalia, ci sono vari elementi potenzialmente legati a un utilizzo anomalo del trust: fra questi, l’«istituzione del trust in paesi o territori a rischio, specie se il disponente o un beneficiario è residente in Italia», ma anche la «collocazione del trust al vertice di una complessa catena partecipativa, soprattutto se con diramazioni in paesi o territori a rischio». Di nuovo, Arnò non risulta aver fatto nulla di illegale. Lo stesso non si può dire della fiduciaria a cui si è affidato, il cui nome è Trident Trust.
Fin qui abbiamo visto come Malta costituisca uno snodo fondamentale tra l’economia europea e i paradisi offshore, e come la criminalità organizzata, in particolare nelle scommesse online, cerchi sistematicamente di infiltrare il sistema imprenditoriale maltese. Il punto d’arrivo del sistema si trova, invece, sull’altra sponda dell’Atlantico, nei tax haven “nudi e crudi”: si tratta di quelle grandi compagnie che, materialmente, consentono agli imprenditori di aprire complessi e irrintracciabili schemi societari al sole dei Caraibi. Uno dei leader in questo campo è proprio Trident Trust, fiduciaria che ha in gestione le società di Germano Arnò.
Le punte del tridente
«Precision & Excellence», sono queste le due qualità che Trident Trust presenta sul proprio sito. Le sue filiali sono in oltre 20 paesi e tra questi spiccano alcuni dei maggiori paradisi fiscali del mondo: Isole Vergini Britanniche, Cayman, Isola di Man, Lussemburgo. E ovviamente anche Malta. Il nome di Trident Trust compare in vari documenti. La prima è nel 2006 in un report del Permanent subcommittee on Investigations, una commissione del Congresso statunitense, il cui titolo è piuttosto eloquente: Illeciti dei paradisi fiscali: i complici, gli strumenti e la segretezza. Qui Trident Trust viene indicata come una delle società coinvolte nell’operazione POINT, un complesso schema di titoli finanziari che aveva l’obiettivo di nascondere 2 miliardi di dollari di utili di capitali al fisco americano.
Passano cinque anni e il nome della Trident Trust ricompare in un altro documento ufficiale. Siamo nell’aprile del 2011, diversi paesi NATO hanno iniziato da circa un mese una serie di attacchi militari in Libia, che si trova in piena guerra civile. Il 12 aprile il Consiglio dell’Unione europea pubblica una risoluzione in cui decide di congelare i fondi di una società chiamata Capitana Seas Limited, perché di proprietà Saadi Gheddafi, figlio di Muammar e legato al regime dittatoriale libico. Il Consiglio, inoltre, riconosce che le «informazioni identificative» – indirizzi, numeri e registri della compagnia – si trovano presso la Trident Trust Company, nella sede delle Isole Vergini Britanniche. Infine, secondo quanto riporta “CaymanNewsService”, nel maggio di quest’anno l’Agenzia delle entrate danese ha bussato alla sede della Trident Trust alle Cayman, per richiedere informazioni su un presunto schema di evasione fiscale del valore di 2 miliardi di dollari.
Tornando a Malta, la sede della società sull’isola si trova a Orange Point, un palazzo con grandi vetrate nella città di Birchircara. Secondo il Registro imprese maltese, le azioni della Trident Trust sono divise in questo modo: un’azione appartiene a un certo David Hermanus Bester, 99.999 azioni sono di un’altra società di nome TTG. Le azioni della TTG sono a loro volta divise così: un’azione è di David Hermanus Bester, 1.199 azioni sono di Binder Investments, società con sede nelle Isole Vergini Britanniche. Questo arcipelago nel Mar dei Caraibi è uno dei paradisi fiscali più segreti al mondo: non esiste un registro pubblico dei trust e alcune informazioni di base su altri tipi di società (le informazioni più importanti, come il nome del direttore, vengono generalmente omesse) si possono ottenere solo tramite una complessa e costosa procedura burocratica. In pratica le Isole Vergini Britanniche sono le Colonne d’Ercole di molte indagini finanziarie, compresa questa. Nonostante ciò, il registro imprese di Malta fornisce diverse informazioni utili per collegare queste opache società a persone reali. Sia la Trident Trust sia la TTG hanno infatti gli stessi tre beneficiari finali.
Triumvirato
Su due di loro non c’è molto da dire. Uno è Raymond Colin Haas, un inglese di cui si sa soltanto che che nel 2014 è stato inserito dall’Università di Cape Town nella lista di chi ha donato all’ateneo più di 250.000 Rand (circa 14mila €). Il secondo si chiama Peter Michael Cohen. Sul sito della CAF – Charities Aid Foundation of America – si trova una sua foto insieme a una breve biografia. Sulla sessantina, Cohen è membro di diverse associazioni internazionali legate alla finanza. Oltre a questo, è «legato al gruppo Trident Trust da oltre 30 anni». Inoltre, secondo il database ufficiale della Federal Electoral Commission, da maggio a novembre del 2020 Cohen ha fatto sessanta donazioni a diverse personalità legate al Partito Democratico, per un totale di circa 6000$.
Il terzo beneficiario è David Hermanus Bester, lo stesso che ha una sola azione sia della Trident sia della TTG. Anche lui inglese, è nato nel 1962. Gli indirizzi a lui associati portano tutti all’Isola di Man, piccola isola tra l’Inghilterra e l’Irlanda, conosciuta per il suo sistema di tassazione molto leggero e il gioco d’azzardo. Secondo il sito “OpenCorporates” e alcuni vecchi documenti leaks del registro imprese di Panama, il primo ruolo di peso di Bester risale al 1984 come direttore di una società panamense. Da quel momento è stato segretario, direttore o presidente di moltissime altre società in tutto il mondo. Non si trova una sua foto su Internet e il suo nome compare nei registri giudiziari di diversi Paesi in almeno 3 continenti, legato a scandali finanziari di vario tipo. Ed è a lui – o meglio, a società in parte sue – che Arnò ha deciso di affidare il proprio denaro. Ma conviene andare con ordine e ripercorrere gli eventi più controversi del terzo beneficiario della Trident Trust.
Uno e trino
Secondo i dati ICIJ, nel 1996 alle Bahamas viene formata una società, la Esplanade Directors. Rimarrà attiva poco meno di due anni. Tra i direttori c’è David Hermanus Bester, mentre la carica di segretario – che nei sistemi anglosassoni è una figura importante nella struttura di una società – è affidata proprio alla Trident Trust. Il ruolo di intermediario – chi fa da tramite nei rapporti tra società e clienti per aiutare una persona a fondare una società offshore – viene invece ricoperto dal protagonista di uno dei maggiori scandali del mondo: lo studio legale Mossack-Fonseca, da cui una fonte anonima ha trafugato i documenti dei Panama Papers. Ma l’attività di Bester non si ferma qui.
Tra il 2007 e il 2014, il suo nome viene coinvolto in quattro diversi processi civili nell’Isola di Man, secondo quanto si legge nel database ufficiale delle Corti di Giustizia del luogo. Uno è particolarmente interessante: si tratta di una richiesta da parte della Securities and Exchange Commission (SEC) americana alla Corte dell’Isola di Man per parlare con alcuni testimoni residenti nell’isola. Il motivo di questa richiesta è che due ricchi fratelli imprenditori, Sam e Charles Wyly – entrambi con un patrimonio netto di circa un miliardo di dollari – secondo la SEC avevano messo in piedi un gigantesco schema per evadere le tasse attraverso un sistema di trust, tra cui anche la Trident Trust. Wyly è stato dichiarato colpevole e nel 2016 ha raggiunto, secondo l’agenzia Bloomberg, un accordo con la SEC per una multa di 198 milioni di dollari. Per seguire le attività di Bester bisogna poi spostarsi dal piovoso clima atlantico al caldo africano. Il 24 Marzo del 2015 David Hermanus Bester viene invitato a comparire di fronte al tribunale di pace della città di Lubumbashi, in Congo. Come spiega la “Gazzetta Ufficiale del Congo”, l’accusa è quella di aver reclamato, insieme ad una collega, il possesso di un edificio per conto di una società inesistente, falsificando anche alcuni documenti. La pena richiesta dall’accusa non sembra fare sconti: arresto immediato e una multa di 3.500.000$. Scomodo non ha trovato altri documenti circa l’esito del processo.
Infine, il nome di Bester compare in diversi articoli del 2015 della testata “The Malta Independent”. Si tratta di un’inchiesta su un presunto tentativo illecito da parte del presidente-dittatore dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, di trasferire alcune quote dell’azienda semi-statale Azercell nelle mani di società vicine a lui e alla sua famiglia. La Trident Trust in questo caso era fra i proprietari di una società il cui rappresentante legale è omonimo (l’articolo non si spinge oltre) di una guardia di sicurezza del presidente, che ricevette parte dei dividendi della Azercell senza averne apparente diritto. Al tempo Bester era uno dei tre direttori della Trident a Malta.
Queste ricostruzioni lasciano pesanti dubbi riguardo alla trasparenza di Trident Trust. Bester sembrerebbe essere il personaggio più coinvolto in procedimenti giudiziari – alcuni di questi legati alla Trident, altri no – anche se nessun documento ufficiale tra quelli consultati da Scomodo ne accerta la colpevolezza. Al di là di questo, la Trident Trust parrebbe invischiata in alcuni dei maggiori scandali finanziari del mondo, come il caso POINT o quello dei fratelli Wyly, e sembrerebbe avere legami con personaggi di un’élite politica quantomeno controversa, come la famiglia Aliyev o quella di Gheddafi e di un’altrettanto controversa aristocrazia finanziaria come lo studio legale Mossack-Fonseca. Uno schema come quello qui analizzato, che parte dal locale “Corriere di Malta” per arrestarsi di fronte allo schermo di una gigantesca fiduciaria in un paradiso fiscale – passando attraverso persone politicamente esposte e commercialisti con clientele scomode – è lo specchio delle dinamiche che regnano sovrane su un’isola che ha fatto della propria ambiguità motivo di attrazione di flussi finanziari internazionali opachi. Formalmente rispettosa delle regole di trasparenza europee, Malta è in realtà (ancora) crocevia di interessi economici e mire criminali che provengono da ogni parte del mondo.
Scomodo ha iniziato a cercare informazioni per questa inchiesta a settembre 2020. Da una verifica nel 2021, dal profilo di Tyke Holding sul registro imprese di Malta sono scomparsi sia il nome di Gonzi che quello di Ciantar. In Em@ney, invece, David Gonzi è stato sostituito in qualità di segretario dal commercialista italiano Stanislao Filice, vicepresidente della Camera di Commercio Italo-Maltese.
Scomodo ha pubblicato online, secondo i limiti consentiti dalla legge, i documenti raccolti nel corso di questa inchiesta. Sono consultabili a questo indirizzo.