Tra due mondi: l’arte di essere un mediatore culturale

Scuole, ospedali, istituzioni giuridiche non possono fare a meno dei mediatori culturali nei rapporti di comunicazione con persone straniere, eppure in Italia questa figura è ancora sottovalutata.

05/02/2023

Per entrare a fondo nel mondo della mediazione linguistico-culturale bisogna ricordare sempre che la propria cultura e il proprio modo di pensare non sono gli unici possibili. L’incremento del flusso migratorio e il conseguente bisogno di mettere a punto un sistema di accoglienza – non soltanto di carattere giuridico-formale ma anche rivolto all’individuo – hanno reso necessaria l’attivazione di servizi di mediazione linguistico-culturale volti a interporsi tra gli enti pubblici e tutti coloro che arrivano in un paese da stranieri, senza conoscerne la lingua. Nonostante l’importanza attribuita a questa professione, la mediazione linguistico-culturale in Italia oggi rimane un mistero per molti. 

Con Xheneta Lekiqi, mediatrice culturale e interprete di lingua albanese, abbiamo approfondito le caratteristiche del mestiere e le difficoltà che chi lavora in questo ambito affronta, ma anche le tante gioie che regala. Xheneta ci spiega che ad accomunare le storie e il vissuto delle persone con le quali lavora sono situazioni di fragilità, seppur diverse tra loro, quindi l’aspetto psicologico e la capacità di adattamento da parte del mediatore sono molto importanti, così come l’empatia, che, secondo Xheneta, è una caratteristica fondamentale per riuscire a mettere l’utente a proprio agio e in uno stato di tranquillità. 

I mediatori culturali vengono spesso chiamati anche a svolgere servizi di interpretariato presso le varie Commissioni Territoriali per il Riconoscimento della Protezione Internazionale, per tradurre le richieste d’asilo. È in questo contesto che si apprende quanto raccontare la propria storia e il proprio passato sia difficile e, spesso, doloroso. Xheneta ci confida: «Può succedere che le persone si mettano a piangere nel raccontare, e allora è necessario prendersi dei momenti di pausa per assicurarsi che la persona stia bene prima di poter andare avanti con la traduzione». Le udienze di un singolo richiedente possono durare diverse ore, a volte, anche giorni, è quindi possibile che l’interprete debba ritornare presso la stessa Commissione Territoriale più volte nell’arco di diversi giorni per portare a termine il lavoro. È importante evidenziare che mediatori culturali e interpreti sono spesso soggetti a contratti di collaborazione occasionale stipulati con cooperative sociali sparse in tutto il territorio italiano, e, proprio perché soggetti a questo tipo di contratti, si ritrovano a doversi spostare per lavorare, secondo quelle che sono le esigenze della cooperativa. Può succedere che un interprete non sia disponibile a ritornare nella stessa Commissione Territoriale per continuare a svolgere una traduzione già iniziata. Questa discontinuità e l’alternarsi di interpreti diversi che seguono uno stesso caso non è ottimale, né per il processo di traduzione né per l’utente che deve essere ascoltato.  

La ragione di queste scarse tutele è da rintracciare nella normativa che disciplina la professione. Manca infatti un ordinamento unificato al livello nazionale, in quanto la disciplina della professione di mediatore interculturale rientra, in generale, nell’ambito della materia “professioni”, di competenza regionale concorrente (art. 117, comma 3, Cost.). Questo significa che lo Stato fissa criteri e parametri generali, ma l’implementazione delle norme e l’attuazione delle stesse è rimessa alle Regioni, perciò la normativa sulla professione dei mediatori culturali varia da Regione a Regione, e, tra l’altro, solo alcune hanno istituito la figura del mediatore con un’apposita delibera. La prima a normare la figura professionale del Mediatore Interculturale è stata la Toscana nel 1997. Dal 2000 al 2006 è stata poi la volta di Abruzzo, Campania, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria,Piemonte, Alto Adige e Valle d’Aosta. 

In altre Regioni esiste un registro con gli elenchi dei mediatori culturali che però non costituisce un vero albo professionale, strumento molto importante per facilitare il reperimento dei professionisti in caso di necessità. Le fragilità di questo sistema sono evidenti: per fare un esempio, la Lombardia ha il tasso più alto di studenti provenienti da background migratorio, ma non esiste una delibera regionale che definisce la professione.

Tra gli ambiti in cui i mediatori culturali agiscono ci sono poi quello scolastico, quello socio-sanitario e quello delle strutture che operano per garantire sicurezza a minori stranieri non accompagnati. Il contatto con bambini e ragazzi fa quindi parte della quotidianità del mestiere. Nelle scuole italiane la mediazione culturale è uno strumento indispensabile per aiutare gli alunni stranieri ad orientarsi con lezioni e compiti a casa, ma anche in questo ambito, come per le Commissioni Territoriali, i mediatori culturali lavorano a chiamata e senza particolari tutele. 

Xheneta ci racconta un episodio della sua vita personale, avvenuto circa dieci anni fa, quando frequentava ancora il liceo. Nella sua scuola era arrivata una ragazza straniera di lingua albanese che non parlava l’italiano, e, in qualità di madrelingua, era stata chiamata per assistere la nuova arrivata, compito che lei ha svolto molto volentieri. Quest’esperienza fa riflettere sul fatto che, spesso, le istituzioni (quella scolastica, in questo caso), fatichino a cogliere l’importanza di rivolgersi ad un mediatore culturale esperto. Le funzioni di un mediatore, infatti, non si limitano alla mera traduzione linguistica: si tratta di compiere un percorso di comunicazione interpersonale in cui è necessario tenere conto delle differenze culturali, a volte enormi, tra il background di partenza e il contesto in cui l’individuo si inserisce. Il mediatore ha il prezioso compito di comprendere i codici culturali, ovvero i retaggi etnici, religiosi, di genere e di vissuto personale, e di facilitare uno scambio che sia il più inclusivo ed efficace possibile. L’esperienza di  Xheneta, d’altra parte, evidenzia anche quanti progressi si siano fatti in pochi anni, dimostrando che un’evoluzione virtuosa in questo settore sia possibile, nonostante la strada ancora da fare. 

In Italia la percentuale di comunità straniere che parla lingue rare è in costante aumento. Nel tempo è quindi diventata sempre più necessaria la disponibilità di interpreti e mediatori culturali di lingue come l’urdu, il pashto, e il punjabi, solo per citarne alcune. Reperire persone del settore esperte nel comunicare e nell’esprimersi in forma sia scritta che orale in queste lingue non è facile. Per questo motivo sono in molti a pensare che fornire un’istruzione nell’ambito dell’interpretariato e della mediazione linguistico-culturale a persone immigrate in Italia e interessate al tema possa essere una soluzione utile sia per ampliare le risorse sia per offrire nuovi sbocchi lavorativi. I primi corsi di formazione per Mediatori Interculturali prendono avvio tra il 1990 e il 1995: inizialmente i partecipanti erano unicamente italiani, successivamente si è resa chiara l’esigenza di includere quanti provenivano da un background migratorio, così da formare una figura che non fosse semplicemente un traduttore linguistico, ma, appunto un mediatore culturale. Il corso di laurea in Scienze della Mediazione Linguistica, confermato nel decreto 270 del 22 ottobre 2004, è un percorso di studi che sfocia soprattutto nell’ambito economico e nel quale spesso si tralascia lo studio di lingue cosiddette rare. Nonostante le tante difficoltà sono moltissimi i mediatori culturali che svolgono ogni giorno con soddisfazione e passione il proprio lavoro, forse perché la maggior parte di loro sono figli di immigrati e sanno cosa significhi trovarsi in un paese straniero, senza conoscere la lingua, e senza nessuno che ti aiuti. Con mezzi, indicazioni, e tutele concrete da parte del governo si potrebbe fare molto di più per migliorare un sistema dall’enorme valore sociale come questo. 

 

Consigli di lettura:

“Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversità umana” di Tzvetan Todorov, Giulio Einaudi Editore, 1989 

“La mediazione. Teorie e tecniche” di Stefano Castelli, Raffaello Cortina Editore, 1996 

“La mediazione culturale. Strategie per l’incontro di Massimiliano Fiorucci, Armando Editore, 2000

“L’altro” di Ryszard Kapuscinski, Feltrinelli Editore, 2006 

Articolo di Ludovica Di Sarro e Arianna Cerone