Mercure. Non tutto è oro quel che è “rinnovabile”

La centrale tra le valli

L’impianto a biomasse del Mercure sorge molto vicino ai comuni di Viggianello e Rotonda, in provincia di Potenza, ma, amministrativamente, si trova nel comune di Laino Borgo, in provincia di Cosenza. Il confine fra le due regioni passa a pochi metri dalla Centrale, poco più a monte della strada provinciale che la costeggia e che serve ai quasi 100 camion al giorno che la riforniscono e scaricano la biomassa necessaria al suo funzionamento continuativo.

Anche se non è paragonabile al gigantismo degli impianti a combustibili fossili, come petrolio o carbone, la Centrale del Mercure è un gigante nel suo genere. Il dato sulla quantità di biomassa è pari a 350.000 tonnellate ogni anno, che vengono accumulate nel piazzale retrostante l’impianto per essere poi bruciate all’interno. La biomassa utilizzata dalla Centrale è esclusivamente “cippato”, più o meno equivalente a del truciolato, di legno vergine proveniente da operazioni di deforestazione. Il legno vergine proviene da varie aziende fornitrici, che per la maggior parte raccolgono legname in Calabria e Campania. I camion, che provengono dall’autostrada, percorrono la stretta ex statale SS19 fino alla Centrale. Generando, peraltro, congestione e inquinamento.

Tuttavia, per quanto rappresenti una delle attività più inquinanti connesse all’impianto, insieme alla combustione della legna e alla dispersione aerea di polveri dagli stock di legname, l’autotrasporto della biomassa è stata anche una delle più decisive nelle operazioni di lobbyng che hanno portato al prevalere delle ragioni del “Sì” alla centrale su quelle del “No” dopo quasi quattordici anni di lotte giuridiche.

La Centrale del Mercure, infatti, era precedentemente un impianto a olio combustibile e nel 1997 viene spenta e dismessa. Nel 2002, però, Enel presenta per la struttura un progetto di riconversione a biomasse.

 

Intervento da Roma

Dopo la presentazione del primo progetto di riconversione della Centrale e in seguito ad una serie di valutazioni ambientali mai rese pubbliche, la Provincia di Cosenza rilascia immediatamente, nel settembre 2002, l’autorizzazione a riaprire la Centrale.

Nel luglio 2009, sempre la Provincia di Cosenza convoca una Conferenza di Servizi, momento concertativo tra le parti coinvolte previsto dalla legge, salvo poi, nel dicembre dello stesso anno, dichiararsi “non competente” sul procedimento e trasmettere la responsabilità alla Regione Calabria. A distanza di circa un anno, nel settembre 2010, la Regione, convalidando semplicemente l’iter messo in atto dalla Provincia, autorizza una seconda volta l’apertura della Centrale. Dopo una prima serie di ricorsi, il Consiglio di Stato annulla l’autorizzazione della Regione nell’agosto del 2012, chiedendo una nuova Conferenza di Servizi e l’esplicito coinvolgimento della Regione Basilicata, fin lì esclusa dai procedimenti.

Nell’agosto 2012 la Regione Calabria convoca quindi una Conferenza di Servizi, che si svolgerà nei mesi successivi, da settembre a ottobre, e sarà seguita dalla terza autorizzazione alla riapertura dalla Centrale, firmata dalla Regione. L’anno successivo tale autorizzazione viene annullata dal TAR della Calabria, riconoscendo la necessità di ricorrere al più alto organo competente, il Consiglio dei Ministri, a seguito del parere sfavorevole alla riapertura della Centrale dato in sede di Conferenza da parte dell’organo più vicino in tema di tutela ambientale, l’Ente Parco nazionale del Pollino.

Nel giugno 2013 la vicenda prende una piega diversa, nazionale, ed è il Ministero dello Sviluppo Economico a promuovere l’apertura di un tavolo tecnico di trattativa tra le parti, con l’obiettivo di sbloccare l’impasse creatasi sulla vicenda della Centrale del Mercure. Al tavolo partecipano la totalità degli enti locali coinvolti e alcune organizzazioni sindacali. Ad eccezione dell’organo direttivo del Parco del Pollino, che continua a dichiararsi sfavorevole alla riapertura della Centrale – applicando i divieti contenuti nel Piano del Parco – le parti si schierano unanimemente a favore. Nel gennaio 2014 si arriva quindi alla sottoscrizione da parte dei partecipanti al tavolo di uno schema di accordo di compensazione, volto a risarcire economicamente gli enti dei territori danneggiati dall’esercizio della Centrale del Mercure. Tale accordo verrà approvato, su sollecitazione degli organi politici del Parco (la Presidenza), anche dalla Comunità del Parco del Pollino nel marzo 2014.

Preso atto della convergenza raggiunta tra le parti, la Regione Calabria convoca una nuova Conferenza dei Servizi nel settembre 2014. Il parere finale è a questo punto ovviamente positivo, ma il permanere del parere sfavorevole degli organi direttivi dell’Ente Parco rende comunque necessaria la procrastinata trasmissione al Consiglio dei Ministri.

Infine, nel giugno 2015, a distanza di ben tredici anni dalla presentazione del progetto di Enel, il Consiglio dei Ministri delibera a favore dell’apertura dell’impianto a biomasse del Mercure, giustificando tale decisione con motivi di carattere superiore, e spianando la strada alla quarta e ultima autorizzazione che arriva nel novembre 2015 da parte della Regione Calabria.

A prevalere sono le ragioni degli operatori economici, che battono il tasto della mancanza di lavoro e di una supposta vocazione alle biomasse dell’area, e quelle degli enti regionali e amministrazioni locali calabresi, ammansite dagli accordi di compensazione ma tra le quali, comunque, non c’era mai stato un significativo dissenso.

Gli unici a dichiararsi sempre contrari alla riapertura della Centrale sono, oltre alla già citata direzione dell’Ente Parco, i comuni di Viggianello e Rotonda e il Forum Ambientalista “Stefano Gioia”, che ricorrerà al TAR nel novembre 2016 contro la riapertura, e, in seguito al respingimento da parte di questo del ricorso, al Consiglio di Stato. Quest’ultimo rigetterà infine l’appello nel novembre del 2018.

A muovere l’opposizione alla Centrale da parte del Forum “Stefano Gioia” sta una serie di criticità ambientali. Alcune di esse sono “strutturali” e legate all’essenza delle centrali a biomassa, tra cui le emissioni di anidride carbonica, diossina e polveri sottili. Altre invece sono endemiche del Mercure, e riguardano la precedente destinazione del sito, mai bonificato dopo la prima chiusura, l’inadeguatezza della strada adiacente alla Centrale ad ospitare il pesante traffico di automezzi, la prossimità al fiume Mercure – Lao le cui acque sono uno dei pochi habitat per la specie della lontra e che la Centrale invece utilizza per il funzionamento dei suoi impianti.

Un altro degli argomenti più spesso riportati dagli oppositori al sito è inoltre la giacenza della Centrale in una zona dal particolare microclima, che è caratterizzato dal fenomeno dell’inversione termica, una sorta di stagnazione dell’aria particolarmente severa che si concretizza nella formazione di forti nebbie anche in piena estate. A completare il quadro dell’impatto ambientale della Centrale stanno una serie di coltivazioni a Denominazione di Origine Protetta presenti nel territorio della Centrale, oltre al fatto che, come spesso ricordato, essa si trovi in un Parco Nazionale.

 

Interessi criminali

Nel Piano di Approvvigionamento Biomasse aggiornato da Enel nel 2008, viene definita un’unica “bozza [di] accordo triennale” con il Consorzio Legno Calabria “per la consegna di cippato di legno […] di origine […] prevalentemente calabra”. Nel 2014, però, si scopre che il presidente del Consorzio, Antonio Domenico Derenzo, era stato colpito da due interdittive antimafia del Prefetto di Vibo Valentia, nel 2011 e nel 2012. Negli stessi anni, all’imprenditore era anche stata revocata dall’Autorità Portuale l’autorizzazione a operare nel Porto di Gioia Tauro. E ancora, che le Forze dell’Ordine certificavano la sua frequentazione di soggetti coinvolti in “associazioni di tipo mafioso, estorsione, […] truffa aggravata, emissione di fatture per operazioni inesistenti, ricettazione”. La vicenda, come commentava all’epoca dei fatti “Il Corriere della Calabria”, sollevava ben “più di qualche dubbio sulle modalità di attuazione del codice etico tanto sbandierato” da Enel.

Questo non è l’unico incidente di percorso: Derenzo era infatti anche uno dei principali esponenti del Comitato per il Sì alla Centrale, con il quale, proprio nel 2014, aveva organizzato un blocco stradale in favore della riapertura dell’impianto. Nei video della protesta si nota una lunga fila di autotreni che bloccano la strada, tutti appartenenti alla stessa ditta: impresa boschiva F.lli Spadafora. Le motivazioni della protesta sono facilmente intuibili: per rifornire la centrale occorrono circa 350.000 tonnellate di cippato all’anno, con un via vai di oltre 100 tir al giorno. E proprio l’azienda della famiglia Spadafora, fra il 2016 e il 2017, fornisce biomasse alla Centrale del Mercure per oltre 42.000 tonnellate. Nel 2018, però, la DDA di Catanzaro arresta, per presunte connessioni con la ‘ndrangheta, 169 persone: fra queste anche Antonio, Luigi, Pasquale e Rosario Spadafora. La famiglia Spadafora – riporta il “Corriere della Calabria” – era ritenuta vicina alla ‘ndrina di Cirò e “in particolare Pasquale Spadafora aveva acquisito i gradi di picciotto, sgherrista e camorrista”. Gli esponenti della famiglia avevano il compito di corrompere le guardie forestali, per avvantaggiare le imprese vicine alla cosca. Persino una funzionaria di Calabria Verde, ente regionale che si occupa di forestazione, è accusata di aver incassato una “mazzetta” di 20.000 euro da Antonio Spadafora. Quest’ultimo, amministratore unico della F.lli Spadafora S.r.l., rientra anche nella lista di finanziatori della campagna elettorale 2014 del suo compaesano Mario Oliviero, presidente PD della Regione Calabria fino al 2020.

Insomma, intorno alle forniture della centrale hanno gravitato – fin quando Enel non ne ha sospeso i contratti – figure, tutte con interessi nell’industria boschiva, pesantemente compromesse con la criminalità organizzata. Figure che – circostanza fin’ora inedita – hanno portato avanti il loro business anche grazie all’(inconsapevole) aiuto dell’Unione Europea. Tanto Derenzo quanto gli Spadafora, infatti, risultano beneficiari di «pagamenti diretti nell’ambito del Fondo europeo agricolo di garanzia». Il solo Pasquale Spadafora, fra il 2007 e il 2009, ha ottenuto contributi per oltre 30.000 euro.

 

Biomasse dal mare

Un altro problema, strettamente collegato alle ingerenze criminali e mafiose, è quello legato alla provenienza della biomassa. L’intento di Enel era quello di attingere al «naturale bacino locale di approvvigionamento», nel raggio di circa 120 km dall’impianto: Calabria, Basilicata e Campania. Per queste regioni, Enel stimava una potenziale crescita della produzione di legname destinato all’energia fino a quasi 830.000 tonnellate (dati 2011). Quasi tre volte il fabbisogno della tanto contestata centrale. Peccato che in Calabria siano attivi altri 4 impianti a biomasse solide, per un consumo totale pari a 1.350.000 tonnellate annue. “Questa cosiddetta “filiera corta” delle biomasse – ragiona Ferdinando Laghi, presidente di ISDE che da decenni combatte contro la centrale – è, di fatto, assolutamente irrealizzabile”. La massiccia richiesta di cippato da combustione, prosegue Laghi, “aumenta il rischio di desertificazione e dissesto idrogeologico da tagli illegali”. Tagli illegali che, come denunciato da Libera e confermato nel 2017 dal commissario di Calabria Verde, Aloisio Mariggiò, “si verificano in una superficie” limitrofa al Mercure. È evidente che “le tanto incensate centrali a biomassa” rappresentano una ghiotta occasione di profitti; solo il legname illegale vale oltre 30 milioni di euro e viene spesso prelevato appiccando incendi nei boschi: nel 2017 in Calabria ne sono scoppiati 9000.

Enel ha acconsentito, grazie alla pressione delle associazioni ambientaliste, a pubblicare i quantitativi di biomassa acquistata, con relative provenienze e ditte fornitrici, degli anni 2016 e 2017. I dati del 2018 e 2019, invece, sono rimasti inaccessibili. Il Forum “Stefano Gioia” ha ripetutamente fatto domanda formale di accesso agli atti, ma la nuova proprietaria Mercure S.r.l. ha sempre rifiutato di fornire i documenti, fondamentali per garantire la trasparenza. L’unica soluzione sarebbe ricorrere al TAR, ma è una spesa che il Forum non può permettersi.

Dai dati 2016, nonostante il “bacino locale” fosse a dir poco burrascoso, emerge che solo 83.000 tonnellate di cippato su oltre 380.000 arrivano “da lontano”. E la cifra si abbassa ancora nel 2017, con circa 50.000 tonnellate su 300.000 totali. In entrambi i casi, la biomassa per il Mercure proviene dalla Toscana: nel primo caso è fornita dalla società Termas S.a.c., nel secondo quasi interamente dalla Massoni P&M. Le due società, con sede a Lucca, sono entrambe collegate alla famiglia Massoni: Maurizio Massoni, socio al 50% di Massoni P&M, siede infatti anche nel Consiglio d’amministrazione di Termas.

Tornando alla Centrale: come detto, nel 2017 la Massoni P&M rifornisce l’impianto Enel del Mercure. Il trasporto delle 42.430,94 tonnellate di biomassa toscana fino in Calabria solleva evidenti questioni sulla sostenibilità ambientale ed economica di una centrale costretta ad alimentarsi con materia prima distante oltre 700 km. E una domanda sorge spontanea: come vengono trasportati questi quantitativi – l’equivalente di più di 1.450 tir da 29 tonnellate di carico – da Lucca al comune di Laino Borgo, sede del Mercure?

La risposta sembrerebbe trovarsi fra le carte di Regione Calabria: fra i servizi appaltati nel 2017, infatti, si trova un appalto del valore di 800.000 euro, destinato a un “servizio di trasporto di biomasse legnose da banchina commerciale del Porto di Corigliano Calabro al deposito presso la Centrale del Mercure”. Anche nel 2018 troviamo lo stesso appalto: il valore è di poco inferiore, 750.000 euro, ma scompare il riferimento al porto di Corigliano, sulla costa ionica della Calabria. “Servizio di trasporto biomasse legnose per la C.le del Mercure”, si legge: l’itinerario rimane però sconosciuto.

L’appalto 2017 farebbe pensare a un trasporto via nave. Ma si possono fare solo congetture: la Massoni P&M, infatti, non ha voluto rispondere alle nostre domande, limitandosi a dichiarare che non sono autorizzati a rivelare i porti che utilizzano. Un dettaglio ulteriore però ci viene fornito proprio dalla stessa ditta: è di dominio pubblico, ci spiegano, che il porto di Livorno sia l’hub più importante per questo tipo di spedizioni. Gli approvvigionamenti per il Mercure, dunque, potrebbero (il condizionale è d’obbligo) avvenire lungo la tratta Livorno–Corigliano, attraverso lo Stretto di Messina. Un percorso, a guardare la mappa, che appare quanto meno bizzarro. Se così fosse, l’inquinamento derivante della spedizione del cippato via nave sarebbe molto maggiore rispetto al trasporto su gomma.

Utilizzando il database Thinkstep, approvato dalla Commissione Europea, è possibile farsi un’idea delle differenze di impatto ambientale delle due tipologie di trasporto. Queste valutazioni scientifiche vengono effettuate con dataset standardizzati e i risultati sono da considerare puramente indicativi. Trasportare le 42.430,94 tonnellate di biomassa dalla sede della Massoni a Lucca fino all’impianto del Mercure via tir (ipotizzando alimentazione a gasolio e peso totale 22 tonnellate) comporta, per un tragitto di 747 km, la produzione di circa 112.143 chilogrammi di CO2 (inclusa quella per produrre il combustibile). Ben diverso è l’impatto del trasporto via mare: se sommiamo la spedizione delle biomasse fino al porto di Livorno, la navigazione (per 743 km, con navi cargo con capacità di carico di 27.500 tonnellate alimentate a olio combustibile) e, di nuovo, il tragitto dal porto di Corigliano alla Centrale, arriviamo a 459.113 chili di CO2: quattro volte tanto rispetto al tir. La scelta di questo tipo di trasporto è peculiare: oltre ad essere maggiormente inquinante, richiede maggior coordinamento logistico. Per quale motivo viene scelto un porto sullo Ionio, quando la Centrale è molto più vicina alla costa tirrenica? Inoltre, stando al Piano di Approvvigionamento di Enel, gli accordi con i fornitori locali sono tutti «franco destino», ovvero con spese di spedizione a carico del fornitore: come si spiega dunque l’appalto per il trasporto Corigliano-Mercure? Tante domande, che vanno ad aggiungersi alla travagliata cronaca della Centrale.

 

Questo articolo è un adattamento dell’approfondimento Mercure. Non tutto è oro quel che è “rinnovabile” che potete trovare sul numero 37 di Scomodo abbonandovi qui.
Articolo di Edoardo Anziano e Giovanni Tucci