Nei Balcani occidentali i diritti dei migranti vengono violati sistematicamente

Tecnologie di sorveglianza, pattugliamenti di Frontex, respingimenti della polizia serba. Così l'Unione Europea ha militarizzato i suoi confini orientali.

07/04/2023

Lungo i confini orientali dell’Europa i diritti umani delle persone in movimento vengono sistematicamente violati. La pratica dei respingimenti è lo strumento con cui l’Unione Europea gestisce il flusso migratorio via terra. Il report pubblicato a gennaio 2023 dal network PRAB (Protecting Rights at Borders) riporta che, nel 2022, 5.756 persone, arrivate alle porte dell’Unione Europea attraverso la rotta balcanica, «sono state “accolte” […] con un rifiuto di accesso alle procedure di asilo, arresto o detenzione arbitraria, abuso fisico o maltrattamento, furto o distruzione di beni». L’anno scorso, la Commissione europea ha stanziato un totale di 171.1 milioni di euro per sostenere lo sviluppo di sistemi di controllo delle migrazioni nei paesi dei Balcani occidentali.

Tecnologie di frontiera

Droni, fototrappole, veicoli a visuale notturna e telecamere termiche: insieme alla militarizzazione delle frontiere, questi sono alcuni dei dispositivi che i paesi al confine orientale dell’Unione Europea stanno adottando per ostacolare l’ingresso nell’Unione alle persone in arrivo dai Balcani. A fine marzo, la Regione Friuli Venezia Giulia ha promesso di consegnare 65 fototrappole alle forze dell’ordine. Parte di queste fotocamere, che vengono di solito utilizzate per osservare i movimenti di animali selvatici notturni, verrà distribuita sul territorio al confine con la Slovenia per monitorare gli attraversamenti illegali di frontiera. Il presidente della regione Massimiliano Fedriga ha detto che le fototrappole serviranno ad intercettare i cosiddetti passeur, ovvero i trafficanti di persone migranti protagonisti del transito lungo la rotta balcanica. 

In un’intervista a Scomodo, Elisa, Giovanni e Teresa, membri del Collettivo Rotte Balcaniche dell’Alto Vicentino, raccontano la propria esperienza nei campi profughi informali, in cui attivano progetti igienico-sanitari, di monitoraggio e informazione. Gli attivisti del collettivo, che chiedono di non rendere pubblici i cognomi per propria tutela, spiegano che i passeur, nella maggior parte dei casi, sono membri di reti strutturate, più che soggetti che agiscono individualmente. «Reti di cui si vede solamente la punta dell’iceberg» dice Giovanni. In merito all’acquisto dei dispositivi da parte della Regione Friuli dichiara: «Sono operazioni di propaganda. Chi viene intercettato spesso sta a gradi di gerarchia molto bassi all’interno delle reti di smuggling e sicuramente non è il nemico da targetizzare per fermare i flussi migratori». Teresa aggiunge: «L’assenza di canali d’accesso legale fa sì che ci sia la necessità di creare questo tipo di reti informali. Più diventa difficile attraversare i confini in autonomia più aumentano le reti criminali».

l’Italia non è la sola ad aver investito in questi dispositivi e, insieme alle fototrappole, tecnologie ben più sofisticate ma con le medesime finalità sono state acquistate anche da Ungheria, Croazia e Romania. In molti casi, come appurato da un’inchiesta del Guardian è difficile rintracciare l’origine dei fondi utilizzati per l’acquisto di questi strumenti, anche se diversi esperti d’immigrazione sospettano che provengano dall’Unione Europea. I fondi comunitari diretti al controllo dei confini dei Balcani occidentali sono in aumento. La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, in una lettera rivolta agli stati membri il 20 marzo 2023, ha sottolineato che sono stati messi a disposizione 600 milioni di euro «per supportare gli stati membri nel controllo delle frontiere e per dispositivi tecnologici». Nella lettera, la presidente indica come un controllo efficace delle frontiere esterne sia una delle priorità, da realizzare con la collaborazione dei partner balcanici. 

Questa collaborazione si concretizza in una strategia che, a partire dall’accordo siglato tra la Turchia e l’Unione Europea nel 2016, sembra rimanere immutata nel tempo. Consiste in una serie di finanziamenti diretti ai paesi dei Balcani occidentali affinché questi si allineino agli standard europei nella gestione del flusso migratorio. I paesi che percepiscono questi finanziamenti sono inseriti in un programma di assistenza preadesione, il così detto IPA (Instrument for Pre-Accession Assistance). L’obiettivo è quello di sostenere i paesi candidati nella loro trasformazione in vista di una possibile adesione all’Unione Europea. Il 25 ottobre 2022 la Commissione ha varato un pacchetto di 39,2 milioni di euro sotto il programma IPA III per «rafforzare la gestione delle frontiere nei Balcani occidentali»

Il ruolo di Frontex

L’assistenza, oltre che finanziaria, è anche operativa. Su questo fronte, a operare su mandato dell’Unione Europea è Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera. Nei Balcani occidentali, Frontex si occupa di offrire assistenza, coordinando operazioni congiunte con le autorità nazionali degli Stati membri dell’Unione Europea. Il Collettivo Rotte Balcaniche, durante gli scorsi mesi invernali, è stato in Subotica, località nel nord della Serbia, per attivare progetti igienico-sanitari per le persone in movimento presenti negli squat, gli accampamenti informali. Hanno testimoniato a Scomodo la presenza di forze di polizia non solo serba ma anche, in uniforme nazionale tedesca e austriaca. Frontex infatti dispone di un corpo permanente composto da funzionari dell’agenzia e anche da agenti provenienti dagli Stati membri

Giovanni spiega a Scomodo che Frontex «ha un ruolo di strategia e di orientamento delle politiche migratorie e una funzione non solo di polizia ma soprattutto politica. È quasi un’agenzia di azione di politica estera perché è presente all’esterno dei confini europei, nei luoghi in cui l’Europa esternalizza i confini».

L’agenzia è stata più volte accusata di aver operato respingimenti e deportazioni di migranti, violando così il diritto all’asilo e al non respingimento. Nel 2021 il Parlamento europeo ha decretato il fallimento di Frontex nella protezione dei diritti dei migranti. Non sono state trovate evidenze del suo coinvolgimento diretto, ma l’agenzia non avrebbe denunciato una serie di casi di respingimenti illegali ed espulsioni collettive di cui possedeva le prove. Nonostante ciò, Frontex può contare su ingenti finanziamenti – 543 milioni di euro nel 2021 – e un ventaglio di poteri e competenze in continuo aumento. «La narrazione che non ci sia una strategia europea per le migrazioni è sbagliata. La vediamo: è Frontex , è il costante respingimento anche illegale delle persone in movimento. É una strategia organica e sistemica. È il volto dell’Unione Europea che abbiamo visto palese e chiaro su quei confini».

Chi passa e chi resta

Il flusso di persone che, dalla Turchia, attraversa Grecia, Bulgaria, Macedonia, Serbia, Croazia e Bosnia per affacciarsi al confine con i paesi dell’Est Europa, ha raggiunto il picco nel 2015, anno in cui Frontex ha registrato quasi 900.000 ingressi irregolari attraverso il confine orientale. Negli anni la portata del flusso è cambiata, ma la via terrestre di ingresso nell’Unione è rimasta uno dei principali percorsi migratori. Frontex riporta che i tentativi di attraversamento intercettati nel 2022 sono aumentati di circa il 40% rispetto al 2021. I dati sono relativi ai singoli tentativi di ingresso via terra ma possono essere fuorvianti in quanto una stessa persona riprova il cosiddetto game più e più volte. Sono infatti in contrapposizione con quelli di UNHCR, che rileva una diminuzione dei transiti e degli arrivi.

Le stesse persone fanno più tentativi proprio perché oltrepassare il confine è sempre più difficile. Chi non ce la fa rimane bloccato nei paesi di frontiera con l’Unione Europea. A marzo 2022 erano 7.768 le persone migranti presenti nei Balcani occidentali. Di queste, il 63% si trovava in Serbia. Il Commissariato serbo per i Rifugiati e la Migrazione ha riportato che, a inizio febbraio, erano presenti più di 3000 migranti nei 17 centri di accoglienza del paese. La restante parte vive negli insediamenti informali. Spesso si tratta di edifici abbandonati o di accampamenti nei boschi dove le persone in movimento si stabiliscono per mancanza di spazio nei campi governativi o perché le condizioni dei centri sono tali da rendere molti rifugiati restii all’idea di andarci. Teresa descrive i campi formali come «luoghi di completo annullamento, sovraffollati, dove manca l’igiene di base. Questi posti rappresentano un limite totale alla libertà di movimento per le persone che vorrebbero continuare il proprio viaggio». Un fenomeno che raccontano di aver visto accadere con grande frequenza in Subotica è quello delle evictions, ovvero gli sgomberi dei campi informali. «Il rito è sempre quello: la sera o la mattina presto un’ingente quantità di polizia si reca negli squat e con dei bus deporta le persone verso il sud della Serbia e le allontana dal confine con l’Ungheria e la Romania».

L’associazione NoName Kitchen ha comunicato che, il 15 marzo, lungo tutto il confine settentrionale della Serbia, è avvenuto lo sgombero più importante dall’inizio del 2023. Gli agenti di polizia serba hanno poi spostato circa 700 migranti nei centri governativi. Il giorno successivo la Commissaria per gli affari interni dell’Unione Europea, Ylva Johansson, si è recata presso il confine serbo con l’Ungheria e ha ringraziato le autorità serbe per la loro gestione delle politiche migratorie, congratulandosi per «l’umana ed efficace» gestione dei confini. Il 16 marzo il ministro dell’interno serbo Bratislav Gasic ha dichiarato che, dall’inizio del del 2023, ha impedito 881 oltrepassamenti al confine ungherese, dove pattugliano anche ufficiali di Frontex. Numerose associazioni e organizzazioni, come la Border Violence Monitoring Network, hanno documentato e denunciato la violenza con cui avvengono i pushback e gli sgomberi

Violenza che, spiegano Elisa e Giovanni, è fine a se stessa in quanto non porta a una vera e propria chiusura dei confini. «Il confine può diventare molto difficile da oltrepassare ma una porosità c’è sempre, ed è dettata dalla disperazione della gente. Prova e riprova alla fine qualcuno passa. Perciò più che un meccanismo di chiusura è un meccanismo di selezione. Ha anche una funzione di deterrenza e di scoraggiamento delle partenze. La violenza sul singolo è in realtà rivolta a tutti i possibili futuri transitanti. Per quanto possa essere legata al razzismo dei corpi di polizia nazionalisti, è sistemica e non può essere attribuita alla singola mela marcia. È una strategia politica che non si può sempre attuare strumentalizzando la geografia. In Nord Africa basta lasciare le persone annegare in mare. Nella rotta balcanica c’è bisogno di perpetuarla direttamente».

Articolo di Anna Bonzanino