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Milano: il fenomeno delle squadre antiborseggio
Tra giustizia fai da te e shitstorm sui social
Nell’ultimo periodo a Milano si sta verificando un exploit di borseggi sui mezzi pubblici: “tra i furti quello che registra un aumento significativo con un 21,59% è lo scippo ovvero il furto con strappo”, recita il report del Ministero dell’Interno. È un dato che va in controtendenza rispetto a quelli registrati per i furti, che registrano un -37,96% dal 2011 ad oggi e un -21,94% negli ultimi tre mesi. Per fronteggiare questa situazione sono nate una serie di pagine Instagram che coordinano gruppi di persone che, di fronte a questo fenomeno, tentano di farsi giustizia da soli. Con la locuzione “giustizia fai da te” intendiamo raggruppare tutta una serie di fenomeni in cui un cittadino agisce in solitaria, senza richiedere l’intervento delle forze dell’ordine, per riparare a un torto subito o difendersi da un qualche sopruso. È un fenomeno estremamente composito, che spazia in ambiti molto differenti e che non è facilmente controllabile. Quello che colpisce di questo fenomeno è la sistematicità con cui tutto questo è organizzato: tramite la pagina Instagram @milanobelladadio la scorsa estate si è formata “Squadra antiborseggio” che agisce sia sui social raccogliendo segnalazioni, sia nelle metropolitane milanesi agendo in prima persona per contrastare i furti. Una vera e propria forza di polizia che non dispone di armi, ma utilizza voce e cellulari per intimidire le borseggiatrici sperando che questo possa servire per farle smettere.
C’è quindi un gruppo organizzato, prettamente composto da individui di sesso maschile, che quotidianamente agisce compiendo azioni intimidatorie nei confronti delle borseggiatrici.
D’altra parte sulle loro pagine social è scritto chiaramente: agiscono in questa maniera di fronte all’assenza delle forze dell’ordine, che sembrano a detta loro non fare niente per contrastare il fenomeno dei borseggi.
Nulla poena sine “sentir comune”: i social come nuovo strumento per farsi giustizia da sé
La “giustizia fai da te” ha trovato terreno fertile sui social i quali, garantendo una comunicazione immediata con decine di migliaia di utenti, hanno facilitato la creazione di una “giustizia” fondata su consensi e approvazioni istintive popolari. Una concezione di legalità promossa dal basso, alimentata dall’insoddisfazione generale e dalla convinzione ormai consolidata che con fatica le forze dell’ordine siano capaci di svolgere le proprie funzioni in maniera rapida ed efficace. In questo panorama, il social prediletto per questo genere di rivendicazione è Instagram. In particolare, nel capoluogo lombardo, la pagina @milanobelladadio assolve alla propria funzione in quanto, attraverso la propria squadra anti-borseggio, è in grado di documentare i numerosi casi di furto sui mezzi pubblici o nelle aree cittadine più affollate.
I soggetti principali sono delle donne, ritratte spesso accompagnate da minori oppure in stato di gravidanza. L’eterogeneità dei contenuti condivisi, che spaziano da filmati di borseggi ripresi in diretta all’inseguimento delle donne che tentano di scappare coprendosi il volto, non sembra però limitarsi alla sola denuncia imparziale e oggettiva dell’accaduto, ma sottende spesso un intento ulteriore di chiara matrice diffamatoria nei confronti delle suddette borseggiatrici. Quanto detto trova conferma nei commenti degli admin sotto i post che, attraverso emoji come un topo oppure con commenti ironici come “la nostra regina”, ledono la reputazione delle donne ritratte in filmati o fotografie caricati sui loro profili personali e poi riportati sulla pagina @milanobelladadio. Si tratta di contenuti in cui queste ultime si ritraggono mentre ballano, sorridono o mostrano il loro volto. Una condivisione che nulla ha a che vedere, dunque, con la funzione primaria della pagina di denunciare i casi di borseggio, ma sembra invece voler alimentare un dissenso e odio nei confronti di queste ultime. Implicito il significato secondo cui queste vivano in libertà e conducano una vita tranquilla sulle spalle delle persone derubate. L’evidente assenza di un codice morale comporta l’impossibilità di porre un limite oltre il quale la condivisione non è più di denuncia ma di mera diffamazione: lo spirito che anima la quête di questi neo-paladini del capoluogo lombardo non è la giustizia, quanto un goliardico desiderio di vendetta. Tant’è che in un video caricato sotto la dicitura di “borseggiatrice borseggiata”, sono gli stessi admin a borseggiare la donna, mettendole le mani dentro la borsa, in linea con l’idea di una giustizia ormai popolare che non passa attraverso l’intervento di alcun organo istituzionale. Una dimensione distorta di legalità che si declina in un regolamento dei conti basato sul consenso generale, espressione di una visione punitiva alimentata dall’idea che determinate persone si meritino di essere messe alla gogna mediatica per quello che hanno fatto. Sui social non vale nessun principio di legalità, come ci dimostrano i commenti offensivi e lesivi sotto ai post: da auspici che qualche disgrazia le colpisca a insulti razzisti “rom di m***” fino a un numero notevole di emoji di escrementi e faccine che vomitano. Insomma, un chiaro fenomeno di shitstorm che ha obbligato gli admin semplicemente a limitare i commenti, mantenendo però inalterato il proprio format e le modalità di condivisione.
La stessa consigliera comunale Monica Romano ha giudicato «violento» e lesivo della privacy il metodo della pagina, ma gli admin la pensano diversamente. Nicholas Vaccaro, uno dei principali “fornitori” di questi video, si reputa un ragazzo «particolare». In un’intervista al “Corriere della Sera” afferma «molti miei coetanei giocano a calcio, si ritrovano all’oratorio, vanno a ballare. Io preferisco spendermi per la sicurezza della mia città, Milano, documentando scippi e degrado, spaccio e occupazioni abusive».
Influencer di giustizia sociale: quando il razzismo diventa contenuto
Come in molte altre metropoli del mondo, i pickpockets abitano gli spazi di soglia e creano scompiglio tra abitanti e turisti. L’evento collaterale, ovvero la nascita di figure che si autoproclamano ”volontari per la sicurezza” e che scelgono di scavalcare le forze dell’ordine agendo in solitaria, potrebbe suggerire che ci troviamo davanti a una mancanza di controllo statale, una falla nella gestione urbana in cui le istituzioni vengono meno ai loro doveri e che invita gli abitanti ad arrangiarsi.
Questo genere di narrazione, che ricorda scene fumettistiche in cui il supereroe arriva prima della polizia e scaccia i cattivi servendosi dei suoi poteri, trasmette un certo senso di rassicurazione ad una specifica fascia dell’opinione pubblica: dove non arriva lo stato, arrivano i cittadini.
Cittadini che, privi di alcun tipo di autorità, agiscono – a detta della squadra antiborseggio – per il bene della comunità, rispondendo in forma autonoma e arbitraria ad un reato.
Una legge del taglione 2.0, che, aggrappandosi all’onda della pubblica risposta alla paura, legittima l’intraprendenza personale.
Il fine, ovvero l’assicurare sicurezza, giustifica i mezzi utilizzati alimentando quella profonda voragine già esistente tra i buoni – o di chi si dichiara tale – e quella dei cattivi che non sono più persone ma contenuti da filmare e fotografare senza autorizzazione. Pubblicare materiale fotografico e video senza consenso è una molestia perseguibile penalmente ma, a quanto pare, alimenta così bene i nostri desideri di voyeurismo che nemmeno ce ne accorgiamo.
Esiste un altro tema, più scomodo del binarismo appena citato ma non per questo meno evidente: ci troviamo di fronte ad una vetrina creata ad hoc per alimentare commenti di stampo razzista.
Chi filma e posta questo genere di contenuti possiede un’intenzionalità non dichiarata ma specifica: si pone sul gradino più in alto in nome di quell’ingiustificabile superiorità fatta di discriminazioni e persecuzioni reiterate volte a creare una segregazione razziale.
Essere spettatori tra la platea dei giusti ci gratifica, come mostrano queste pagine che godono di un engagement altissimo e di un numero spropositato di followers (@milanobelladadio, 164.000 followers).
Verrebbe da chiedersi quale sia l’obiettivo di un progetto del genere: diventare influencer di giustizia sociale autonoma reiterando pratiche di stigmatizzazione potrebbe essere un’ottima idea imprenditoriale, ma ha poco a che vedere con un’ottica di riduzione del reato.
Ci troviamo di fronte ad un esempio chiaro di come tra le cornici di Instagram tutto possa diventare contenuto: anche il razzismo travestito da senso civico.
Articolo di Beatrice Puglisi, Aurora De Toffoli e Idarah Umana