Il Cremlino teme la musica sovversiva!

Storie di censura, protesta e pirateria in Russia

Il 2021 è appena iniziato e già la Federazione Russa guidata da Vladimir Putin ha nuovamente indignato l’opinione pubblica occidentale e i protagonisti della musica di protesta in Russia. Il 2 febbraio Alexei Navalny, l’oppositore putiniano che per anni si è distinto denunciando la corruzione nel Paese, è stato condannato a due anni e otto mesi di reclusione per aver violato i termini per la libertà vigilata imposti da una sentenza di condanna, sospesa nel 2014.

 

Il caso Navalny e la musica di protesta in Russia

L’accusa mossa all’epoca verso il politico, era quella di frode e riciclaggio di denaro nei confronti della Yves Rocher Vostok, la filiale russa della compagnia francese. Alla base dell’incriminazione ci sarebbe stato uno sbilanciato accordo tra la società gestita dai Navalny, Glavpodpiska, e la succursale di Yves Rocher, tutto a favore della prima. Secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo, alla quale il politico si era rivolto, la condanna era fondata su un’applicazione imprevedibile del diritto penale, e pareva essere un’eclatante, oltre che ingiusta, mossa politica. Il leader del partito La Russia del Futuro, Alexei Navalny, però per aver trasgredito quei termini, dopo l’avvelenamento, si trova incarcerato nella colonia penale IK-2 di Pokrov nella provincia di Vladimir. Nel breve periodo di reclusione precedente alla convalida dell’arresto, gli esponenti dell’organizzazione da lui fondata nel 2011, la Fondazione per la lotta alla corruzione, hanno rilasciato un documentario su YouTube. Il video, intitolato Il Palazzo di Putin, storia della più grande corruzione mondiale, informa la popolazione russa della lussuosa reggia che il presidente della Federazione avrebbe fatto costruire, tramite denaro di dubbia provenienza, sul Mar Nero, a Gelendzhik. Il filmato, l’ultimo di una serie di indagini portate avanti da Navalny, si è dimostrato essere la scintilla che ha scatenato le proteste e lo scalpore suscitato ha fatto infuriare il mondo dell’opposizione e soprattutto chi il dissenso lo canta e suona. Il 23 gennaio Mosca, San Pietroburgo e altre città hanno così visto la mobilitazione di migliaia di cittadini e cittadine nelle maggiori piazze, manifestazioni culminate in scontri con le forze dell’ordine e stando ai dati riportati dall’agenzia indipendente per i diritti umani, OVD-Info, gli arresti ammonterebbero a quattromila persone. Al corteo moscovita hanno partecipato anche i rapper Mc Noize, Vladi e le attiviste del collettivo punk rock Pussy Riot, di cui gli agenti hanno fermato e arrestato Masha Alekhina, Viktoria Naraxsa e Lucy Shteyn. A tre giorni dall’incarcerazione delle compagne, Nadya Tolokonnikova, forse il volto più noto del progetto, pubblica il singolo Бесит– Rage e richiede l’immediato rilascio di Alexei Navalny, della militante Alekhina (per la quale è stato confermato l’arresto presso domicilio) e le dimissioni immediate di Putin dal Cremlino. Il video musicale registrato a febbraio 2020, a canzone finita, contiene le immagini del fermo da parte dalle forze dell’ordine.

 “Filmando ‘Rage’ a San Pietroburgo siamo state accusate di fare propaganda gay, la polizia ha staccato l’elettricità e il riscaldamento*. Sono state arrestate tredici persone.”

*Si riferisce all’edificio che ha ospitato le riprese.

All’interno della discografia dell’agguerrito collettivo femminista, il nuovo singolo è certamente un ulteriore canto di protesta contro l’austero governo russo e a detta dell’autrice anche il migliore in termini di contenuti e di scrittura. Si tratta di un brano abrasivo, un pezzo elettronico dall’attitudine punk, che stride contro la patina di perbenismo dei fedelissimi di un regime ultraconservatore, uno Stato che imprigiona gli oppositori e le oppositrici e che viene spesso tacciato dalla stampa occidentale di procurarne la morte (si veda il tragico caso dell’omicidio della giornalista Anna Stepanovna Politkovskaja nel 2006). Tolokonnikova, in un’intervista riportata da “The ARTery”, spiega molto schiettamente le ragioni della furia descritta nel brano:

«La rabbia, l’infuriarsi, è del tutto normale. Non sai mai cosa potrebbe capitarti dal momento in cui ti alzi al mattino. La rabbia arriva naturalmente, perché il mio governo non è ideale, è oppressivo.»

Per comprendere meglio quale sentimento una fetta di società, soprattutto giovane, nutra nei confronti dell’attitudine autoritaria del governo, basta immergersi nel testo di Rage:

Nella metro il ratto mi sospirava: ‘eretico’,

Nell’OVD* mi hanno stampato sul passaporto: ‘eretico’,

Ahi, con il manganello sulle mie costole, oggi canto con il sangue,

Fa infuriare, inizio a gridare,

Mi prendo il potere, posso essere pericolosa, volo da te sulla scopa,

Tu ci dici che la guerra è la luce ed io rido sul rogo,

Io riderò forte nel giorno dell’esecuzione, scoprendo i vostri abomini,

Chi condannerà, scomparirà nel nulla,

Io rido sul rogo, non farti beccare da me”.

*il ministero degli affari interni.

Il Cremlino teme e combatte da anni fenomeni o movimenti quali il collettivo Pussy Riot, anche con un certo imbarazzo per le reazioni suscitate dalla stampa internazionale. Nel 2012 Vladimir Putin in visita a Londra, davanti ai microfoni, commentava che la giustizia potesse considerare con clemenza il caso giudiziario delle Pussy Riot, allora incriminate per l’esibizione ritenuta blasfema presso la Cattedrale del Cristo Salvatore di Mosca. L’imputazione si tradusse però nella condanna di un anno e sei mesi per Tolokonnikova, Yekaterina Samutsevich e Maria Alyokhina. Nel corso di un decennio sono stati presi diversi provvedimenti nei confronti della musica sovversiva e oltre al già citato punk rock, anche il rap è finito sotto accusa. In effetti, allusioni al consumo di droga e al sesso suonano ancora molto scabrose nella Federazione Russa. I tribunali temono che possano sviare i giovani da una sana morale e radicalizzarli su posizioni “sbagliate”, poco gradite dal Cremlino. Dal 2008 esiste un Organo apposito che vigila e censura: il Roskomnadzor, il Servizio federale per la supervisione nella sfera della connessione e comunicazione di massa. Tra gli atti recenti più significativi condotti dall’apparato, c’è la battaglia contro Dmitry Kuznetsov, in arte Husky, il rapper più popolare di Russia. Nel 2018 Husky si è visto annullare un concerto a Krasnodar e oscurare un video presente sul suo canale YouTube. Volendo manifestare il suo dissenso, Husky si è esibito sul posto, in strada dal tettuccio della sua macchina, davanti ai suoi fan. Questa iniziativa gli è costata un processo per teppismo con annessi dodici giorni di carcere, di cui quattro scontati. Stando al canale televisivo Rt, la pressione per la scarcerazione è arrivata da Mosca. Difatti se prima impedire le esibizioni degli artisti era la prassi e imprigionarli era la norma (famosi i provvedimenti presi nei confronti di artisti quali Ic3peak, Egor Kreed, Allj, Aleksandr Zaharov o verso il gruppo Friendzone) ora la linea putiniana, ben conscia che questa decennale condotta di censura ha molto screditato la percezione del Paese all’estero, è quella di inglobare il fenomeno per controllarlo, per mezzo del Ministero della Cultura.

«Il rap e altre forme d’arte moderne poggiano su tre pilastri: sesso, droga e protesta. Sono molto preoccupato per la droga. Questa è la via verso il degrado di una nazione. Il problema deve essere trattato con grande prudenza, tuttavia, se la musica rap è impossibile da fermare, dovrebbe essere controllata

(Estratto del discorso tenuto da Vladimir Putin durante l’incontro del Concilio presidenziale per la Cultura e le Arti svoltosi a San Pietroburgo nel 2018)

La censura rivolta contro questi artisti si ricollega, con una certa linearità, ai provvedimenti volti a silenziare musica sovversiva e pericolosa attuati in Unione Sovietica fin dal secondo dopoguerra. Per sviare ed eludere tali divieti, nello Stato, si sviluppò un florido mercato nero di dischi piratati, che ben presto divennero i principali mezzi di diffusione della controcultura.

 

La Russia e la musica di protesta nelle ossa

I rebra (in russo рёбра, letteralmente “costole”) erano dei dischi ottenuti da lastre radiografiche usate. I creatori di questa invenzione, capace di sfuggire all’occhio onnipresente del PCUS (Partito Comunista dell’Unione Sovietica), sono storicamente considerati Ruslan Bogoslovskij e Boris Taigin che, a partire dalla fine degli anni ‘40, riuscirono a incidere musica, osteggiata e censurata dal Partito, su lastre radiografiche recuperate o comprate. Il metodo di produzione dei rebra si discosta di poco da quello di un classico vinile, ma in una versione molto più spartana: recuperate le lastre, queste venivano ritagliate per assumere la forma di dischi da sette pollici e poi incise grazie a vecchi fonografi riadattati. Infine, come ciliegina sulla torta, il buco al centro veniva creato spegnendo il tizzone ardente di una sigaretta accesa. Ovviamente la qualità non era delle migliori: la musica poteva essere riprodotta per un numero di volte che si conta sulle dita delle mani per poi rovinarsi definitivamente; tuttavia, con un rublo chiunque poteva ascoltare generi musicali come il folk o il jazz, non presenti tra le offerte dei vinili autorizzati perché considerate musiche capitaliste. Tuttavia, l’offerta musicale dei rebra non si fermava solamente ai genitori sopracitati: si andava dai Beatles per arrivare a personaggi come Petr Leschenko, artista sovietico emigrato in Occidente, e altri musicisti non cari al partito perché non conformi all’idea “rivoluzionaria”, omosessuali oppure non iscritti all’Unione dei compositori sovietici. Il fenomeno diventò così usuale e di massa che nel 1958 il regime si trovò costretto a vietare la produzione casalinga dei dischi perché vicina a subculture controrivoluzionarie ed eversive, pena il licenziamento dal posto di lavoro e l’arresto. Tuttavia, era molto difficile non trovare in una casa un disco raffigurante un pezzo di scatola cranica, almeno fino a prima della moda dei “magnitizdat”.

 

Lo sviluppo del Magnitizdat

Per propaganda controrivoluzionaria o agitazione (con incitamento a sovvertire, minare, indebolire lo Stato o a compiere le attività controrivoluzionarie indicate negli altri articoli o distribuzione o preparazione di scritti che contengono tali incitamenti) sono previsti almeno sei mesi di prigione. In stato d’emergenza si può arrivare fino alla pena di morte”. 

(Articolo 58-10 del Codice penale della Repubblica Sovietica Federale Socialista Russa)

A partire dagli anni Sessanta, nel pieno della Guerra Fredda, si sviluppa il fenomeno di Magnitizdat, un termine etimologicamente composto da due parole, -magnit (forma abbreviata per magnitifon, ovvero ‘registratore’) e -izdat (cioè il verbo ‘pubblicare’), e che consiste nella pratica, non ufficiale, del registrare o riregistrare musica o parlato su audiocassette, poi distribuite sul territorio. Le musicassette prodotte tramite l’uso di registratori a nastro contenevano cantautori, musica punk come quella di Yegor Letov, serate poetiche, interi romanzi letti ad alta voce (una sorta di ‘audible’ ante litteram), interviste, trasmissioni radiofoniche dall’Occidente e persino eventi politici di risonanza internazionale. La disponibilità nel mercato sovietico di registratori soppiantò la tecnica dei rebra e se, inizialmente, la produzione era limitata a poche centinaia di unità, negli anni Sessanta crebbe esponenzialmente, per arrivare, negli Ottanta, a milioni di esemplari prodotti. I magnitizdat, seppur fondati sull’uso di apparecchi rudimentali, avevano il potenziale di una riproduzione infinita e condivisibile e ciò li rendeva uno strumento di controcultura forte, chiaro e che poteva quindi circolare velocemente. A volte la musica registrata era sovversiva per scelta, altre volte lo diventava in quanto solamente non impegnata: le canzoni non intrise di propaganda e slogan e che non trovano motivo di applicazione in nessun contesto patriottico erano considerate inutili dal regime, denigrate e addirittura sconsigliate. I nastri si trovano a essere pericolosi per la loro natura di non sottomissione alle dinamiche politiche e anche quando lontani dall’essere controrivoluzionari puntano l’attenzione su un’esperienza depoliticizzata e più personale della realtà. I contenuti portati avanti sono molteplici e seguono lo sviluppo sociale dei giovani nella sua interezza. Negli anni ‘80, nel mezzo della perestrojka, le cassette autoprodotte diventano così il principale mezzo con cui il rock dilaga in Unione Sovietica, come confermato dal quotidiano “Sovetskaya Rossiya” dove si scrive che “si diffondono peggio di un virus”, soprattutto per il loro essere a buon mercato visto che i vinili ufficiali erano costosissimi e più ci si allontanava da Mosca, più erano introvabili.

 

Censura e protesta, due estremi di un indice

Se nella Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa è esistita una forte connessione tra pirateria come conseguenza della censura, nella Federazione Russa odierna vi è certamente una continuità nella pratica di censurare, ma nello specifico quella immediata consequenzialità tra i due fenomeni viene a mancare. Sembra, infatti, che la pirateria, che pur si dimostra essere un fatto profondamente radicato in tutta la CSI (la Comunità degli Stati Indipendenti nata dopo la dissoluzione dell’Urss), non abbia tra i suoi motivi esclusivamente quello di diffondere musica sovversiva e di controcultura. Certo, non è difficile immaginare che su VKontakte si possa risalire (peraltro lecitamente) ai brani di Husky o delle Pussy Riot, tuttavia analoghi contenuti possono benissimo trovarsi su altre piattaforme di distribuzione e condivisione di file in rete usati spesso anche in Europa come BitTorrent. Dunque, la pirateria di oggi giorno in Russia si inserisce più in un contesto mondiale e spicca per il poco controllo e attenzione riposta nei suoi confronti dal governo mentre invece è stato appurato il ruolo del social network Vkontakte, nell’organizzazione dei cortei del 23 gennaio. Stando alla stampa russa, le autorità hanno provato anche a oscurare il sito ma avrebbero poi desistito perché convinte dai gestori del social che ciò avrebbe spostato la circolazione delle informazioni sui concorrenti occidentali quali Twitter. Lo sforzo del Cremlino di controllare il traffico web e di affrancarsi dai server di compagnie straniere, una mossa politica a difesa della comunicazione russa rispetto possibili attacchi informatici statunitensi, e l’incremento dell’autoritarismo anche verso l’aggregazione e manifestazioni pubbliche, mettono però in seria difficoltà il futuro di tutta l’opposizione a Putin e certamente scoraggiano chi l’opposizione la fa in musica. Da un lato gli artisti sono forti dell’appoggio e delle simpatie internazionali ma dall’altro ogni loro parola, ogni loro brano può significare la condanna a uno o due anni di reclusione e quindi l’imprigionamento. Si tratta di pene “leggere” se considerate con poco interesse verso la faccenda ma che nella loro fermezza e reiterazione costituiscono una seria intimidazione e un danno psicologico verso gli artisti. Con queste armi Putin proverà a debellare musiciste sovversive come le Pussy Riot o oscurare rapper osceni come Husky e le leggi attuali gli consentiranno forse di inglobare questa controcultura ma a ogni incriminazione corrisponde un nuovo singolo, una nuova strofa, un pezzo che porterà avanti l’indignazione dei giovani. Censura e protesta sono dunque i due estremi di un indice, in cui all’azione dell’una corrisponde la reazione dell’altra.

 

Si ringrazia Pavel Gavrilin per la traduzione del brano ‘Бесит’ (Rage)

 

Articolo di Dario Limongelli, Gabriele Vallin e Geremia Trinchese