Questo natale si è presentato come comanda iddio

Casa Cupiello apre il dibattito sulle tradizioni e la loro apparente scomparsa

Passeggiando per via Bellini e piazza del Plebiscito, ci si imbatte in alcuni dei più belli teatri napoletani, come il celebre teatro San Carlo, in questo momento chiuso agli spettatori. “L’apertura al pubblico dei luoghi della cultura resta sospeso”, sancisce di fatti il DPCM del 15 gennaio. La magra consolazione è “poter utilizzare gli spazi come ambienti per riprese cinematografiche e audiovisive”, si legge sul sito del governo italiano. La tendenza è chiara e il teatro sul piccolo schermo quest’anno non solo è una sperimentazione ma una scelta quasi obbligata per salvarlo. Al nuovo film di Edoardo De Angelis, Natale in Casa Cupiello, manca naturalmente il calore del pubblico, il vivo coinvolgimento degli spettatori, un panorama completo fatto di odori e fermento.

 

“Natale in casa Cupiello”

25 dicembre 1931, per la prima volta in scena al Teatro Kursaal di Napoli, Natale in casa Cupiello segnava l’avvio della felice esperienza della compagnia del “Teatro Umoristico I De Filippo”. Quel “parto trigemino con una gravidanza di quattro anni”, come lo definì lo stesso Eduardo, racconta una storia tanto tradizionale quanto contemporanea: una casa in preda ai disordini e agli ordini delle festività natalizie. 

Il film di Edoardo De Angelis andato in onda il 22 Dicembre su Rai1, con una colonna sonora d’eccezione firmata da Enzo Avitabile, è un omaggio per il centoventesimo anniversario di Eduardo de Filippo, autore dell’opera. Vede protagonista Sergio Castellitto nelle vesti di Luca Cupiello, Marina Confalone in precedenza personaggio secondario in scena con Eduardo ne “Le voci di dentro” nel 1978, ritorna sullo schermo interpretando Concetta, Adriano Pantaleo scelto per il ruolo di Tommasino (già precedentemente impiegato in un altro adattamento ispirato a un’altra commedia di De Filippo, “Il sindaco del rione Sanità” di Mario Martone).

La cena della famiglia Cupiello diventa il cenone simulato un po’ di tutti, in un contesto come quello dell’ultimo Natale, in cui i cenoni proprio non si possono fare. “Una casa distrutta e una famiglia in frantumi vengono tenute in piedi dall’ostinazione di Luca e dai suoi strumenti patetici: colla di pesce puzzolente e il sogno pulito del presepe”, proprio nello stesso modo una tradizione momentaneamente impossibile da celebrare è tenuta insieme e riproposta, anche se virtualmente, dice il regista Edoardo De Angelis. Inutile, discutere su eventuali paragoni con l’originale, in primis perché Eduardo de Filippo è una stella inarrivabile del firmamento teatrale, in secundis, perché l’opera di De Angelis non ha l’intenzione di confrontarsi con l’opera del ‘77, bensì di omaggiarla. Sembra andare in questa direzione anche l’interpretazione di Castellitto, che ci mostra un Lucariello più duro e a tratti meno affettuoso rispetto a quello recitato da De Filippo. Il primo adattamento diretto e interpretato da Eduardo stesso, andò in onda nel 1962 sempre su Rai1 quando la televisione italiana contava solo due canali, avendo un successo tale da renderlo un must natalizio da quell’anno in poi, fino ad oggi. 

Il fenomeno televisivo dello scorso dicembre lo conferma, avendo dominato in maniera incontrastata la prima serata, con uno share del 23,89%, numeri che in sé racchiudono un pubblico vasto, dato dalle incredibili circostanze in cui ci siamo trovati durante il periodo natalizio, e quanto mai eterogeneo. Riunite fisicamente sui divani di tutta Italia, ma divise nella critica, troviamo sia le generazioni che poterono godersi il primo adattamento del 1962, con protagonista lo stesso Eduardo, mandato anche all’epoca su Rai 1, sia quelli che con la commedia ci sono letteralmente cresciuti, e ancora quelli che sono riusciti ad avvicinarvisi soltanto nella sua chiave più moderna. Ci siamo trovati tutti a parlare dello stesso programma come si faceva un tempo con la trasmissione di prima serata. A prescindere dai favorevoli o dai contrari, una cosa è certa: la scrittura di Eduardo riesce a parlare e ad arrivare proprio a tutti, ed è probabilmente questa la più grande capacità del drammaturgo, che lo rende praticamente indifferente al tempo.

Il film di De Angelis è ambientato 20 anni dopo rispetto all’originale, negli anni ‘50, “Un anno emblematicamente sospeso tra la guerra e il benessere. Napoli è ancora ferita dalle bombe ma si sentono i primi vagiti di una classe media che si affermerà negli anni successivi. Un anno sospeso tra distruzione e ricostruzione, proprio come il 2020”, chiarisce il regista spiegando la scelta. La trasposizione cerca di essere un distillato dei vari adattamenti dell’opera. De Angelis, rimodellandone il contesto, lo rende più facilmente comprensibile a un pubblico del 2020, senza però modificarne il messaggio portante che affiancato da un nuovo linguaggio trasforma il copione teatrale in cinema, e ne adatta la tempistica ai ritmi del contemporaneo.

Il film si mostra abbastanza fedele seppure con alcune licenze, come l’inquadratura della macchina da presa che nel lungometraggio girato a teatro era frontale, mentre ora segue gli attori tra le stanze. La scenografia si concentra su un elevato numero di pezzi d’arredo, che volutamente appesantiscono l’intera scena; se a teatro erano permessi tre scenari, ora la povera casa Cupiello è scoperta dal sipario che la limitava e se prima c’erano muri di tessuto rosso ora sono muri di pietra spoglia, senza intonaco, tesi a simulare “il vascio”, “lo scasso”. Il terrazzo affaccia sul mondo fuori, il mondo dove Castellitto, travestito da napoletano, si appresta a comprare i suoi Re Magi e a respirare gli odori del negozio del suo artigiano di fiducia. 

La sceneggiatura risulta praticamente inalterata ma non senza qualche eccezione, come alcune aggiunte che non possono che rimandarci al nostro secolo: basti pensare al riferimento a Cinecittà, impossibile nelle prime trasposizioni, e alla conversazione dal balcone. Il dialogo è la prima scena inedita, che sembra riallacciarsi al periodo in cui l’opera è stata riproposta, quando le finestre erano l’affaccio sul mondo.

 

“Te piace o presepio?”

Il presepe, ritornello ridondante del testo, diventa espressione del dualismo realtà – sogno, rapporto che Luca Cupiello ci espone parlando del pastore assopito e che segna proprio l’ingresso nella dimensione onirica di questo mondo di carta e statuine.

Don Luca Cupiello, il padre, un uomo-bambino la cui unica preoccupazione tra i mille trambusti è quella di costruire minuziosamente il presepe, che “vorrebbe mescolarsi coi pastori (…)ma le montagne sono di cartone e quei pastori son di terracotta” come dice De Filippo; Donna Concetta, la madre, pragmatica, diretta, sfacciata, ma allo stesso tempo forse il personaggio più tragico dell’intera commedia,  costretta alla conoscenza e contemporaneamente alla protezione della famiglia e maggiormente a quella del marito; Tommasino, il figlio, anche detto “Nennillo”, si configura inizialmente come il piantagrane della famiglia, sfaticato, fannullone, a tratti disadattato ma che nel terzo atto sembra perdere le sue caratteristiche trasformandosi in un figlio quasi devoto; Pasqualino, “l’eterno scontento”, bersaglio preferito di Tommasino; E infine Ninuccia, prima figlia di Luca e Concetta, personaggio che si muove tra il malinconico e l’aspro, intrappolato in un matrimonio infelice con Nicolino, un imprenditore, borghese arricchito, e innamorata di Vittorio Elia personaggio speculare a Nicolino, povero ma distinto ed elegante.

Una famiglia falsamente patriarcale, dove i personaggi maschili sembrano vivere in una dimensione di minori ansie, mentre le donne incarnano nella loro tragedia la realtà. Don Lucariello, nel suo essere consapevole-inconsapevole di non riuscire ad andare al passo coi tempi si estranea alla vita, e si rinchiude in un mondo fatto di pastori e colla da riscaldare, ma quando un uomo decide di estraniarsi dalla vita che lo circonda inevitabilmente questo soccombe alla vita stessa. D’altro canto Ninuccia sembra impersonare questa modernità da cui il padre vuole fuggire, diventando il perno su cui si reggono i tumultuosi eventi che accompagnano il natale della famiglia Cupiello.

La continua ricerca del verosimile è uno dei punti cardine dell’intera opera teatrale.  Sulla scena gli attori formano un microcosmo, il quale racchiude al suo interno tutte le peculiarità della società, gli aspetti comuni della vita, che si evolvono attraverso azioni plausibili, possibili, ma anche compensatorie rispetto a una realtà molto più cruda e meno ilare. 

Mentre l’Italia viveva le deliranti ed edonistiche feste fasciste, De Filippo rappresentò un’altra Italia raccontata dal Meridione. Per Fellini la visione dello spettacolo fu una rivelazione, d’altronde la miseria della casa dei Cupiello fu allora molto criticata da giornali come il corriere della sera e il Messaggero proprio per la controtendenza che essa rappresentava.

Da Natale in Casa Cupiello, passando per Napoli Milionaria, fino ad arrivare a Sabato, Domenica e Lunedì il compito di ricreare questo microcosmo è della famiglia, mezzo con cui De Filippo racconta i rapporti umani, rapporti crudeli fatti di tensioni, di cattiverie, di ipocrisie, di benevole menzogne.

È il presepe la partenza della commedia perché si esibisce dalle prime scene, quando Titina rincasando lo guarda stizzita, e ne è anche la meta, quando si ripresenta nell’ultimo quesito di Luca al figlio. 

L’ossessione verso l’oggetto, i continui richiami a Spaccanapoli, a San Gregorio Armeno, rendono chiari l’attaccamento a una tradizione, che nel testo originale sembra essere estranea a tutti tranne che a Lucariello, il quale cerca in ogni modo di completare e tenere insieme il suo presepe, attività che lo coinvolge ogni anno e a cui si dedica sempre con la stessa cura e maniacalità. Ad un occhio più sensibile, il motivo è chiaro: non si parla ovviamente solo di tradizione. Il presepe in questo caso rappresenta metaforicamente il collante con cui il protagonista tenta disperatamente di tenere unita la propria famiglia. Elemento dagli aspetti sacri piuttosto che consumistici, il cui pensiero non abbandona il capofamiglia neanche in punto di morte. 

Il presepe di Casa Cupiello diventa il presepe di tutti, l’artigiano di Lucariello diventa un qualsiasi artigiano e le tradizioni sembrano restare le stesse.

 

Ma “Le tradizioni cambiano”

E così, come Lucariello prima negli anni ‘30 e poi negli anni ‘50, ancora oggi il presepe sembra un mondo a parte, una dimensione irreale da visitare che a Napoli si materializza in una strada: San Gregorio Armeno. La differenza è che, col passare del tempo, “le tradizioni cambiano”.O almeno così recitava nel 2019 lo spot Netflix diretto da Francesco Lettieri, con protagonisti sempre San Gregorio Armeno, ma in una versione opposta rispetto a quella romantica che De Angelis propone :il presepe, il mondo di cartone è sempre lì, ma scompaiono i pastori ed appaiono Spadino, Undi, il Demogorgone di Stranger Things, il Pablo Escobar di Narcos ed altri personaggi che senza troppo sforzo ci ricordano il paese della modernità, anche in un mondo che non conosce il tempo. I protagonisti delle serie Tv si ritrovavano a chiacchierare con Marco Ferrigno, uno dei più famosi artigiani di San Gregorio Armeno ed uno dei primi ad aver accettato che “le tradizioni cambiano” e che anche nel presepe potevano essere aggiunte delle novità, novità che a Lucariello non sarebbero piaciute ma che forse lo avrebbero avvicinato a Nennillo.
Le tradizioni cambiano e così cambia San Gregorio Armeno, schiacciato da un anno difficile. ‘’Quest’anno abbiamo avuto un calo del 70 – 75 % degli introiti’’, dice  a Rai News Gabriele Casillo, presidente dell’associazione botteghe di San Gregorio Armeno, e la paura che possa scomparire è tangibile e reale, portando con sé tutti gli artigiani che lo tengono vivo, come i pastori con il presepe. Napoli vanta una storia di artigianato secolare che continua a respirare a fatica e che, nonostante questo, non rientra nei sussidi statali. Una strada silenziosa, un ritorno agli inizi degli anni 80, quando la città non era ancora centro del turismo internazionale ma con gli affitti che non tendono a cambiare o arrestarsi. 

E se nessuno compra più nulla, quella strada che dovrebbe essere monumento storico rischia di perdersi, di omologarsi, “Il suo mondo dissolve”, e facendolo spaventa tutti. Già a Maggio, dopo aver chiesto un incontro con la giunta comunale, i bottegai sono stati rassicurati da De Magistris sul fatto che «non esiste la benché minima possibilità che San Gregorio Armeno chiuda, o che riapra in parte, o che venga offesa nella sua unicità da attività estranee all’arte del presepe», ma per adesso l’unica soluzione sembra accontentarsi del “Bonus Presepe”, gli 1.3 milioni stanziati dalla commissione di Bilancio per l’ottavo centenario del presepe, che ricorrerà nel 2023. Lucariello raccoglie la colla che cade, i pastori che volano, ed aggiusta il disastro in quella stanza piena di gente. Come lui, e con lui, San Gregorio Armeno raccoglie le ultime statuine, dai Re Magi a Pino Daniele, ed aspetta, provando reinventarsi ancora una volta. 

 

CC Foto Orizzontale
“Via San Gregorio Armeno – Napoli” by garagolo is licensed with CC BY-NC-ND 2.0. To view a copy of this license, visit https://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.0/
Articolo di Marzia Caramiello, Paolina De Notaris, Giulia Renzi, Geremia Trinchese