L’opposizione della Turchia all’allargamento della NATO

25/05/2022

È un passo storico imperdibile”: così il Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg ha salutato le formali richieste d’ingresso all’interno dell’alleanza militare atlantica firmate da Svezia e Finlandia, consegnata nelle sue mani il 18 maggio. Le parole del Segretario Generale sono esemplificative della portata storica dell’evento: fin dalla fondazione della NATO nel 1949, entrambi i paesi nordici avevano optato per una posizione neutrale all’interno del complesso scacchiere geopolitico rappresentato dall’Europa durante la Guerra Fredda, pur collaborando spesso in ambito militare con l’alleanza nata a scopo difensivo.

Questa decisione non è frutto di un tentativo di espansione dell’Alleanza Atlantica all’interno della penisola scandinava, ma è diretta conseguenza dell’aggressiva politica estera promossa dal Presidente della Federazione russa Vladimir Putin. A partire dal 2014 infatti, a seguito dell’illecita annessione da parte della Russia della Crimea e dell’inizio del conflitto a bassa intensità nel Donbass, si è assistito ad una costante crescita nei sondaggi promossi nei due paesi della percentuale di popolazione favorevole all’ingresso nella NATO, passata dal 20-25% in Svezia a ben il 70% odierno. Sotto la spinta di questo radicale cambio di posizione e dinanzi al tentativo d’invasione dell’Ucraina lanciato da Mosca a partire dal 24 febbraio, le leader dei due paesi, la Ministra Capo Sanna Mirella Marin e la Premier svedese Magdalena Andersson, hanno optato per dare immediatamente inizio al processo burocratico per far parte dell’alleanza militare, nella speranza che l’ingresso nella NATO rappresenti un deterrente fondamentale per evitare di subire lo stesso destino dell’Ucraina e tenere a bada lo scomodo vicino russo.

Una notizia salutata con favore da alcuni dei principali esponenti del mondo occidentale, come dimostrato dalle parole del Premier italiano Mario Draghi in seguito alla dichiarazione stampa congiunta rilasciata da lui e da Sanna Marin durante la visita della Prima Ministra finlandese a Roma, prima di un lungo tour istituzionale per ottenere tutte le rassicurazioni necessarie per l’ingresso dei due paesi nella NATO. L’Italia appoggia con convinzione la decisione della Finlandia così come quella della Svezia. Vogliamo velocizzare le procedure interne per rendere l’adesione effettiva nel più breve tempo possibile. E intendiamo sostenere la Finlandia e la Svezia in questo periodo di transizione”: con queste parole il Primo Ministro italiano ha mostrato tutto il suo sostegno all’iniziativa promossa dai due paesi scandinavi. Al coro di sostegno dei leader occidentali non si è però unito il leader turco Recep Tayyip Erdoğan, il quale ha reso noto che Ankara non è favorevole all’ingresso dei due paesi. Una posizione apparentemente incomprensibile, ma che rivela molto della strategia geopolitica di Ankara. 

 

Perché Erdoğan dice no all’allargamento della NATO

Fin dallo scoppio del conflitto, la Turchia ha dovuto far i conti con il proprio complicato posizionamento sul piano internazionale, in quanto paese non solo membro della NATO ma anche strettamente legato tanto all’Ucraina quanto alla Russia. Questa congiuntura ha giocato a favore della politica estera di Erdoğan, fondata spesso sull’opportunismo e sulla capacità di cogliere l’attimo, permettendo al paese di porsi immediatamente come primo mediatore per un cessate il fuoco tra le parti coinvolte. Lo stesso opportunismo ha mosso la mano del leader turco dinanzi alla richiesta d’ingresso nell’Alleanza Atlantica da parte di Svezia e Finlandia. Conscio che per approvare tale richiesta è necessario il voto unanime dei 30 membri della NATO, il Presidente turco non ha perso una simile occasione per saldare i propri conti con i due paesi scandinavi. L’accusa principale utilizzata dal governo turco per mostrarsi rigido dinanzi alla richiesta d’ingresso è che i due paesi abbiano offerto rifugio politico a membri del partito paramilitare curdo PKK, Partito dei Lavoratori del Kurdistan, movimento politico di estrema sinistra che dal 1984 combatte contro il governo turco e da sempre al centro del suo operato repressivo, in quanto indicato come organizzazione terroristica.

La posizione turca, passata inizialmente come intransigente, pare invece essere meno rigida, considerato che, se inizialmente Erdoğan ha definito la Svezia come un “vivaio” per le organizzazioni terroristiche e dicendo che lo stesso parlamento svedese ha terroristi nel suo parlamento (il parlamento svedese ha sei parlamentari di origine curda), successivamente la posizione di Ankara è slittata, attraverso le parole del portavoce del presidente che dichiara che la Turchia non ha chiuso la porta alla Svezia e alla Finlandia, ma richiede che vi siano delle negoziazioni su ciò che etichetta come attività terroristiche. 

 

Le necessità turche

Entrata all’interno della NATO nel 1952, su precisa richiesta del Presidente americano Truman per il perseguimento della sua dottrina di contenimento dell’URSS, la Turchia non poche volte ha rappresentato un problema per l’Alleanza Atlantica, in quanto paese che ha spesso posto davanti a tutto il proprio interesse nazionale anche a scapito dei propri partner militari. Tra gli innumerevoli esempi che possono esser fatti, meritano di esser citati l’invasione di Cipro nel 1974, che costrinse la Grecia ad abbandonare temporaneamente l’alleanza, il rifiuto turco di far stazionare l’esercito Usa sul proprio territorio per l’offensiva verso Baghdad durante la prima guerra del golfo nel 1990-91, oppure il recente episodio di ostilità avvenuto nel Mediterraneo dove una fregata turca ha illuminato per ben tre volte la francese Courbet durante una operazione NATO. Nonostante gli sgarbi turchi, “la Turchia ha chiarito che la sua intenzione non è quella di bloccare l’adesione”, ha affermato il segretario generale della Nato Stoltenberg. “Sono fiducioso che saremo in grado di trovare un terreno comune”, conclude. Anche il presidente finlandese si è detto disposto a incontrare Erdoğan per discutere delle obiezioni avanzate. Le perplessità turche si spingono oltre al sostegno del PKK da parte dei due paesi nordici. Soner Cagaptay, direttore del Programma di ricerca turco presso il Washington Institute, ha dichiarato che Erdoğan sta cercando certamente terreno fertile per “passi concreti sul PKK”, ma anche concessioni in vista dell’incontro NATO a giugno e sullo sblocco delle vendite militari di F-16 americani alla Turchia. Inoltre, Erdoğan dovrà affrontare le elezioni l’anno prossimo, e avanzare causa contro le organizzazioni terroristiche fa parte del tentativo di guadagnare terreno nella politica interna: “Erdoğan ha deciso di rendere ciò ampiamente pubblico e di annunciare la posizione turca, con l’intento di ottenere supporto internamente”, ha detto al Wall Street Journal Sinan Ulgen, un ex-diplomatico turco. La Turchia, quindi, si trova in una posizione ambivalente; tale posizione l’ha ricoperta in passato o anche recentemente riguardo alla guerra in Ucraina, dove si è posta come mediatrice, mantenendo da un lato importanti relazioni con la Russia, ossia affidandosi al gas russo attraverso il TurkStream pipeline, acquistando da Mosca sistemi di difesa e aerei militari e svolgendo cooperazioni economiche in particolare in Armenia, Georgia e Azerbaijan. D’altrocanto, la Turchia si è avvicinata all’Ucraina con la firma di un accordo di libero scambio e trasferendo tecnologia militare in Ucraina.

Erdoğan si trova al centro di un intreccio di rapporti da calibrare, mentre contemporaneamente necessita di mantenere saldo il suo rapporto con la NATO, in questo caso facendo sentire la propria voce, chiedendo “garanzie di sicurezza” come detto dal ministro degli esteri turco Çavuşoğlu. La Turchia dovrà essere abile nel mostrare, comunque, flessibilità nelle trattative, poiché altrimenti rischia di essere spinta ancora più a lato dell’alleanza, perdendo così i benefici politici che ha guadagnato recentemente e che ha tentato di capitalizzare come mediatore nella guerra russa all’ucraina.

 

Nulla di cui sorridere

Analizzato dunque i motivi dietro la posizione turca, rimane il tempo di interrogarsi su un aspetto solo apparentemente marginale. Sia su molte testate italiane che sui social si è assistiti ad una eccessiva celebrazione dell’avvenimento, nella quale l’ingresso dei due paesi nella NATO è stato salutato come un eccezionale vittoria per l’Occidente e uno smacco mortale a Putin e ai putinisti italiani. Articoli come quello de Il Foglio nel quale si celebrano i 1300 chilometri di confine in più tra NATO e Putin o tweet nei quali la figura di Sanna Marin viene santificata in maniera quasi eccessiva si possono tranquillamente trovare ovunque online.

La domanda che ci dobbiamo porre dinanzi a simili opinioni è solo una: cosa dobbiamo celebrare? Dopo la dovuta premessa che l’operato di Svezia e Finlandia è inattaccabile, in quanto l’ingresso nella NATO è l’unica certezza per i due paesi di non subire lo stesso tremendo destino dell’Ucraina e praticamente azzerare il rischio di un tentativo d’invasione da parte russa, è impossibile non riflettere su cosa questo significhi sul piano delle relazioni internazionali. Parliamo infatti di due paesi che hanno sempre fatto propria una chiara posizione neutrale all’interno dello scacchiere internazionale e che oggi si sentono talmente minacciati da doverla mettere in discussione e prossimamente abbandonare. Uno sconvolgimento di portata storica, che dimostra come l’aggressività russa stia radicalmente cambiando lo scenario internazionale odierno. Un cambiamento che spinge anche potenze come la Turchia a muoversi con sempre maggior forza sullo scacchiere globale per perseguire i propri interessi nazionali, seppur innalzando sempre più la tensione.

L’ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO, unito alle costanti notizie di aumento delle spese militari all’interno dei vari paesi europei, rivela due elementi fondamentali. Da un lato, viene messa in luce la fallimentare strategia geopolitica di Vladimir Putin, mosso dalla necessità, secondo la propaganda del Cremlino, di contenere l’espansione della NATO all’interno della ex-sfera d’influenza sovietica e che si ritrova oggi con due paesi neutrali che decidono di entrare nell’alleanza proprio a causa del suo operato. Ma l’elemento centrale sul quale riflettere rimane la direzione generale verso la quale si stanno incamminando le relazioni internazionali, per lungo periodo dominate dalla diplomazia e dalla risoluzione pacifica delle controversie internazionali, almeno tra le maggiori potenze globali. L’invasione ucraina e la decisione di Svezia e Finlandia, per quanto unica scelta possibile, apre le porte a un futuro segnato dal sempre maggior peso della potenza militare e dalla possibilità che ogni momento di tensione internazionale possa risolversi in uno scontro armato. Uno scenario pericoloso, che appare però sempre più probabile dinanzi al corso degli eventi.

Articolo di Luca Bagnariol, Nicolò Benassi